della musica, dell’ambiente, dei rifugi di Roberto Masoni

Annuario 2012

Sto viaggiando nella pancia della Toscana.
Fa caldo, un fragile strato di nebbia accarezza la terra dei campi che corrono veloci ai bordi della strada. All’orizzonte, l’orlo dell’Appennino che emerge conquistandosi lembi d’azzurro. Sto viaggiando in compagnia dell’inconfondibile voce di Bruce che copre ogni suono dell’auto, come se l’abitacolo fosse una zona protetta fuori dal mondo, le note di If I should fall behind penetrano ovunque, è storia del rock allo stato puro, la sensazione di volare con la mia moto sopra le praterie del Missouri. Piccole, innocenti gioie della vita.

L’Abetone è ormai vicino. La mia seconda casa, il mio rifugio, il posto più bello al mondo. Anche lì c’è musica ma è una musica diversa, eppure anche questa finemente da intenditori. E’ musica composta con le note del silenzio, suonata da un unico strumento: la Montagna.

Lascio un paio di borse a casa, il tempo di togliere i sandali e mettersi le scarpe e sono già fuori. Salgo in piazza a prendere i giornali, un caffè, saluto qualche amico e mi incammino verso la Verginetta. Il sentiero, un paradiso ombreggiato, è affollato da persone di ogni tipo che paiono pazientemente godersi quel sogno, chiamato libertà, che la Montagna rappresenta. Molti lasciano spazio a maligne considerazioni ma non è questo il momento di scontrarmi con certe mie convinzioni, mi soccorre, infatti, una frase di quel sorprendente, inquietante pittore irlandese, Francis Bacon, che sosteneva come fosse inevitabile per un uomo finire nei dubbi se “parte con delle certezze” mentre “se si accontenta di iniziare con qualche dubbio, arriverà alla fine con delle certezze”. Mi accontenterò perché, a pensarci bene, aveva ragione, questo è il motivo per cui l’aristocrazia del camminare, il più delle volte solo presunta, non è mai una buona compagna di viaggio. Passato il bivio di Monte Maiori odo l’ormai leggendaria tromba di Lapo, dell’omonima Casetta. E’ una trombetta da due soldi, plastica di poco valore che emette un unico suono ma che ben si mescola con l’ambiente. Suona le incerte note di una sinfonia universale che, se esistesse, dovrebbe chiamarsi: “venite … il pranzo l’è pronto”, una sinfonia compresa da tutti e con tale trasporto che la Casetta diventa per incanto il ring del Madison Square Garden di New York come nemmeno per un incontro di Joe “Smoking” Fraizer. Anche la tromba di Lapo è musica, musica d’Autore, ma solo per chi la sa apprezzare.

Arrivo alla casetta, saluto qualcuno, solo il tempo di fare dieci passi ed eccolo, dal profondo: “Dove andiamo ragazzo?” E’ l’amico che alloggia in me da una vita. “Ah … eccoti qua. Cominciavo a stare in pensiero. Che ne dici se andassimo verso Monte Lagoni? Anzi no, facciamo così: si scende da Fernando a Bellagamba, pranziamo a formaggio. Oppure … ma sì, andiamo al Libro Aperto, vai”.
Ancora … “
Sì … ancora, perché?”.
Salgo all’ombra lungo il sentiero dei casotti dell’acqua. La folla è sparita, cammino come piace a me, con il mio ritmo che non è particolarmente veloce, anzi direi lento, circondato dalle “mie” Montagne. Fatti qualche centinaio di metri trovo tre esemplari di razza umana, di sesso maschile, ricoperti di tatuaggi. Non ho niente contro i tatuaggi, ce l’ho invece con quello che stanno facendo. Stanno strappando, sbrindellando dal suolo delle frasche che hanno l’unica colpa di essere frondose.
Scusate, sono piante verdi, non lo vedete?”
“Certo che lo vediamo, lo facciamo proprio per ripararci dalle mosche!”
“Che c’entrano le mosche? Ci si ripara dal freddo, dall’acqua, dal vento ma mica dalle mosche … “
“Ma vai … vai. Non ci rompere … “
“Complimenti, bell’esempio”.

Argomenti, questi, che spesso affrontiamo tra amici. Amici con i quali ho la fortuna e il piacere di condividere non solo alcuni momenti di alpinismo ma anche certi valori. Il problema è capire perché, ancora oggi, nel terzo millennio, non vi sia una diffusa cultura ambientale. Sembra impossibile eppure è così. Credetemi non è ambientalismo bigotto e, purtroppo, non è nemmeno una questione limitata all’episodio di cui racconto. Buttate ad esempio un occhio ai bordi della strada quando, e se, vi capiterà di stare in coda con l’auto; c’è di tutto: bottiglie, giornali, carta straccia, pacchetti di sigarette, bicchieri di plastica …

Anni fa l’amico Romano Resti, allora Presidente della Sezione del Valdarno Superiore, inaugurò una bella iniziativa: puliamo il Pratomagno. Fu un successo di partecipazione e richiamò soprattutto l’attenzione sul fatto che il CAI non è solo il Sodalizio che ha per scopo l’alpinismo, la conoscenza e lo studio della Montagne ma anche “la difesa del loro ambiente naturale”. Difesa … un termine puntuale, al posto giusto. Un termine che ci deve far riflettere, io credo, anche sul ruolo del CAI, un sodalizio costituito da Soci che hanno, senza alcun ombra di dubbio, un alto valore e un’ampia cultura ambientalista ma che, spesso, in quanto a iniziative tende un po’ a dimenticare l’importanza di questo ruolo che, comunque, gli compete. Dobbiamo fare di più, ognuno di noi.

Pensieri che mi seguono fino al Libro Aperto, la giornata è splendida, mi fermo su Cima Belvedere a leggere il giornale. Intorno a me un panorama che emoziona, una fetta esaltante di Appennino nonostante l’opinione di molti che considerano questi monti una seconda scelta. Lascio lentamente girare le lancette dell’orologio fintanto non mi persuado che è ora di scendere. Dei tre energumeni nessuna traccia, saranno stati sopraffatti dalle mosche. Scendo per la via di cresta con la mente protesa al prossimo inverno quando sarò ancora qui con gli sci ai piedi. In breve sono finalmente a casa, è tardissimo per l’ora di pranzo e presto per l’ora di cena, ma va bene così.

Passo una notte serena, di quando in quando mi sveglia il rumore della caldaia, anche se è agosto, di notte non scomoda. Mi alzo di buon’ora, cincischio un pò prima di partire; un caffè, una sigaretta in terrazza con l’occhio ai rami degli abeti che si muovono al suono di un debole vento. Anche questa è musica. Oggi ho della strada da fare, ho deciso di andare fino al Lago Santo Modenese, ho deciso di fare un saluto agli amici del Rifugio Vittoria. Salgo la Valle delle Pozze in auto fin dove termina la strada. Anche qui grandi opere e naturalmente … grande ferocia ambientale. Salgo veloce lungo il comodo sentiero che porta al Farinati, da qui scelgo la vecchia pietraia proprio dove saliva lo skilift che raggiungeva il Passo d’Annibale. Un impianto che colma i ricordi, che sollecita la memoria di grandi discese in neve fresca attraverso improbabili botafoghi alberati larghi, al massimo, un paio di metri, che ci proiettavano poco sopra il progresso, cioè l’autobus per risalire. Ricordi che mi fanno compagnia fino al Passo d’Annibale da dove, quasi di corsa, scendo fino a Foce di Giovo.

Arrivo alla Foce, è un disastro. Ci saranno almeno una trentina di auto parcheggiate alla meglio, cioè dove capita. Salgono da Casa Coppi dove, manco a dirlo, c’è un cartello di divieto d’accesso. Il risultato è che stanno finendo di distruggere la “via del Duca”, un’itinerario che tutti Voi sicuramente conoscete. Certo non è un’opera d’arte minimamente paragonabile ad altri straordinari capolavori di cui la Toscana è ricca ma è pur sempre una testimonianza autentica, un frammento storico che fa parte di quella significativa eredità che ci è stata lasciata e che era alla base di quel progresso che ha permesso l’evoluzione viaria di un preciso periodo storico contraddistinto da un continuo sviluppo e da un’importante crescita sociale. Trovo francamente odioso che oggi sia ridotta ad un circuito a disposizione di improbabili piloti di safari. Resta il fatto, purtroppo, che nessuno alza un dito.

Ho deciso di non arrabbiarmi, in breve lascio l’improvvisato parcheggio e, dopo una breve salita, scendo al Lago Turchino. E’ più di un’ora che cammino, i morsi della fame cominciano a farsi sentire a tal punto che anziché il sentiero nel bosco decido per la scomoda pietraia, Parigi val bene una messa. Al termine della pietraia tutto diventa una piacevole passeggiata fino al Lago Santo Modenese.

Entro nel Rifugio, c’è una bolgia incredibile, Massimo riesce ugualmente a vedermi. Si fa strada fra la gente, mi abbraccia con calore, come sempre.
Roberto ciao, che piacere … come va?”
“Bene, bene, grazie Massimo. Te come va? La mamma sta bene?”
“Si grazie”
Poi … tagliatelle fatte in casa ai funghi, un quartino di vino, caffè, come al solito tutto delizioso condito dalla solita ospitalità. Esco fuori, fumo una sigaretta mentre discuto con la mamma di Massimo che è amareggiata da molti comportamenti: “Non è più come una volta, fino a qualche anno fa c’era rispetto. Per noi, per le cose, per l’ambiente. Oggi ti viene voglia di smettere. C’è un’ignoranza incredibile, per questa gente sei solo un servo e come tale ti trattano, persone a modo ne sono rimaste veramente poche”.

Anche questo, purtroppo, è un problema. I tempi sono cambiati, il Rifugio, contrariamente a come lo abbiamo sempre inteso, non è più considerato un ricovero ma un’azienda di servizi, molti hanno assunto, nel tempo, le sembianze dell’albergo. Stiamo pagando un prezzo altissimo in termini di cultura alpina. E poi è vero, è cambiata anche la gente che li frequenta, sono cambiate le vie d’accesso, in molti casi si arriva in auto fin nelle prossimità del rifugio. L’ignoranza invece è un fenomeno quotidiano che niente ha a che vedere con i rifugi i quali, piuttosto ed inevitabilmente, la subiscono. Mi piace ricordare i rifugi come un punto d’approdo, come il luogo dove si mangiava il peggior minestrone al mondo salvo poi rientrare al lavoro dopo un giorno di Montagna per sentirne subito la mancanza, come il luogo dove c’erano i peggiori, impensabili letti a castello eppure il miglior giaciglio dopo un giorno di fatiche. Purtroppo, salvo rari casi, non è più così.

Saluto gli amici del Vittoria e riprendo il cammino. Guardo l’orologio, non è così tardi, decido di rientrare passando per il Rondinaio. Salgo fino al Lago Baccio dove, ohibò, sembra di essere al Bilancino: ombrelloni, sdraio, bagnanti che svolgono con dovizia il loro compito, quello cioè di bagnarsi nelle acque del lago. Accanto a loro nuotano spensierati i loro cani. Manca solo il bagnino ma sono convinto che, prima o poi, qualcuno ci penserà sul serio. A meno che, facendo le corna, qualcuno non ci affoghi prima.

Salgo fino in vetta al Rondinaio Lombardo, il panorama è splendido, la croce è salda, il libro di vetta è vecchio di oltre dieci anni. Sento delle voci vicine, mi giro intorno … nessuno!
Ragazzo, starai mica impazzendo?”
“No perbacco, son sicuro di sentire delle voci
Mi affaccio sul versante delle Tagliole, quello più ripido, ed ecco la provenienza delle voci. Due tipe “diversamente giovani”, strane all’apparenza, si godono il sole seminude con i piedi nel vuoto. Evviva, ho fatto bingo. Riprendo velocemente la via di ritorno lungo la cresta fino alla Finestra del Rondinaio. Da qui scendo di nuovo fino al Turchino, poi finalmente mi rimetto sulla via del ritorno, ritrovo l’auto, mi incammino a bassa velocità verso casa. E’ stata una bella giornata, saluto le “mie” Montagne, saluto l’Abetone, il posto più bello al mondo.

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