Il Conte e il montanaro di Sergio Cecchi

Annuario 2012 – Ricordo di Ugo Ottolenghi di Vallepiana

Arriviamo a piedi dal Col Becchei, dopo essere partiti la mattina da La Varella; salita alla Forcella da Lago, discesa sul ghiaione, riposo in riva al laghetto di Lagazuoi; infine lunga salita sotto il sole e arrivo al rifugio Lagazuoi, 2.750 metri, la nostra seconda tappa … stiamo facendo un tratto dell’Alta Via n° 1, cinque giorni d’immersione dolomitica. Siamo i soliti sei amici, siamo venuti con due auto, una l’abbiamo lasciata a Cortina, a La Villa ci siamo andati tutti pigiati dentro l’altra.

Domani, 3 settembre, abbiamo in programma la ferrata Giovanni Lipella alla Tofana di Rozes; faremo il giro e torneremo a pernottare qui, in modo da avere lo zaino leggero …. leggero un cavolo, è un giro troppo lungo per un giorno solo! Vabbè, se volete ci dividiamo, voi fate il giro della Tofana e fermatevi al rifugio Giussani, noi due faremo la ferrata e torneremo al Lagazuoi.

Saliamo la Tofana di Rozes dalla ferrata, che, come sapete, ha un tratto iniziale che è proprio dentro il Castelletto, passando attraverso delle gallerie di guerra e agli allestimenti che ricordano il sacrificio di tanti alpini per la liberazione di questa regione. Il Castelletto è un colle roccioso, addossato alla Tofana, che adesso è più basso rispetto a come era prima della guerra. All’ingresso della galleria, accanto agli scalini di ferro, ci sono ancora i resti delle scale in legno di novant’anni fa; all’interno è stata ricostruita una postazione degli alpini, sono cose interessanti per capire come si viveva in quelle gallerie.

Anche la sera successiva siamo alloggiati nello stesso rifugio, e prima della cena diamo un’occhiata ai reperti della prima guerra mondiale nell’ingresso del rifugio: ci sono delle foto delle gallerie, c’è un libro fotografico, tradotto anche in tedesco, sulla “guerra di mine” che si è svolta in questa zona e sulla famosa cengia del maggiore Ettore Martini … «le truppe italiane e quelle austro-ungariche scavarono complesse reti di tunnel e gallerie all’interno del Piccolo Lagazuoi e per due anni tentavano a vicenda di far saltare in aria o di seppellire le posizioni avversarie con il metodo della guerra di mina. Nel 1915 gli alpini occuparono alcune posizioni sul versante sud del Piccolo Lagazuoi, tra le quali una sottile cengia ribattezzata Cengia Martini (che attraversa la parete da ovest a est) e la fortificarono, e avevano scavato una galleria di duecento metri di dislivello all’interno della montagna, fino all’anticima del Piccolo Lagazuoi e il 20 giugno 1917 fecero brillare sotto di essa 30.000 chili di esplosivo e successivamente, attraverso la galleria, occuparono ciò che ne rimaneva. Il cratere provocato da quest’esplosione è tuttora visibile» … allora si potrebbe fare un cambio di programma, che ne dici ? domani, per andare al rifugio Palmieri alla Croda da Lago, scenderemo al Falzarego passando dalle gallerie militari, non c’è bisogno di mettersi l’imbrago e poi è tutta discesa. Continuando a sbirciare il librone sugli eventi del 1916/17, ci casca l’occhio sul nome di un ufficiale degli alpini … l’ho già sentito nominare, Ugo di Vallepiana …. ma non era di Firenze ? no, che dici, era un piemontese, una guida alpina, è stato anche presidente del CAI. Guarda che ti sbagli con un altro, io ho letto da qualche parte che era socio della sezione di Firenze. Alla fine della nostra “alta via”, torniamo a Firenze e così si riaffaccia la curiosità di controllare che cosa c’è di vero su questo fiorentino negli alpini; trovo qualche notizia su Internet.

dall’inizio

Per prima cosa, Ugo Ottolenghi di Vallepiana è veramente nato a Firenze nel 1890, ma la sua famiglia è piemontese, oltre che di religione ebraica. Pochi anni prima il nonno Emilio Ottolenghi, direttore generale della Banca d’Italia, ha conseguito il titolo di Conte di Vallepiana dal Re Umberto I. Il papà lo porta a camminare sul nostro Appennino; tutti insieme trascorrono la villeggiatura in Valle d’Aosta, ma non quindici giorni, ci stanno tutta l’estate! Ugo ragazzo si appassiona alla montagna: a quattordici anni s’iscrive al CAI, alla nostra sezione. A quindici, da Breuil, sale la Punta Budden sulle Petites Murailles e a diciassette si fa portare dalla guida Ange Maquignaz sul Cervino; l’11 agosto 1911, in coppia con il grande alpinista Hans Pfann percorre in seconda ascensione la cresta del Brouillard, raggiungendo poi la cima del monte Bianco. L’anno successivo, insieme a Ettore Santi, compie la traversata del Col Gimont e sale per la prima volta la classica Dormillouse (2.945 m).

Studia al liceo Michelangelo, poi all’Università di Pisa, che lascia per andare a iscriversi a economia politica a Monaco di Baviera, pensando così di essere più vicino alle Alpi; stando in Baviera si appassiona allo sci, che è una disciplina relativamente nuova per noi italiani. Nella biblioteca di sezione, abbiamo il suo manuale di sci scritto dopo la guerra. A Monaco conosce e fa amicizia con il leggendario scalatore austriaco Paul Preuss. Per un anno vanno in montagna insieme nel Tirolo e nell’Oberland bernese ed è qui che scopre lo sci-alpinismo. Una chicca, una nuova via sulla cresta sud-ovest dell’Innominata … andate a controllare, il 28 luglio 1913 Vallepiana in cordata con uno dei più grandi … e, naturalmente, senza chiodi!

Nel 1912 fa domanda di ammissione al C.A.A.I.; è ammesso nel club dei «senza guida». L’anno dopo però, perché in un primo momento la sua istanza è respinta non avendo un socio che lo presenta. In Baviera non si laurea, nel 1913-14 si traferisce a Torino; di nuovo in Val d’Aosta, sul ghiacciaio del Lys due cordate s’incontrano (Ugo e i suoi salivano con le pelli di foca) e Vallepiana conosce Joseph Gaspard, che è veramente una guida alpina di Valtournenche, l’uomo a cui sarà legato in tempo di guerra, come vedremo (ecco spiegata la confusione che si faceva, si parlava di due persone diverse! e come diverse). Gaspard non è nobile, né ricco, né istruito, ma ha già una fama che lo porterà a essere ingaggiato da Mario Piacenza per scalare il Kun nel Kashmir. Ha nove anni più di Ugo e ne dimostra il doppio, ma i due si piacciono, per la semplicità e la determinazione.

Siamo arrivati all’ingresso dell’Italia in guerra e Ugo, che ormai ha venticinque anni, si arruola come volontario anche se figlio unico di madre vedova. Ammesso al corso allievi-ufficiali, lo frequenta a Torino; è inviato poi a Bardonecchia, dove fa l’istruttore di sci per gli alpini. Contemporaneamente, Joseph Gaspard riceve la cartolina precetto, però a lui tocca un lungo periodo in fanteria, al deposito di Roma. Vediamo in breve la sua storia: ha trentaquattro anni, moglie e quattro figli, e ha già compiuto più di una spedizione extraeuropea (nel 1914 un 6.000 nel Caucaso e un 7.000 in Himalaya, come si era accennato prima) oltre alla cresta di Furggen al Cervino, che l’ha reso famoso fra le guide, e al Bianco in invernale. Ma le notizie trovate sui siti web non mi bastano più, mi è presa la curiosità e allora compro il libro di Enrico Camanni «La guerra di Joseph», storia romanzata dell’episodio della Tofana di Rozes. Per qualche tempo m’immergo nella vita di questa guerra di montagna – e nella morte: mi sembra di vivere, mentre leggo, anch’io addossato a queste pareti con la paura delle pallottole austriache, come restare vivi sia già una vittoria.

il camino

Ecco quindi come prosegue la vicenda: un battaglione di alpini sciatori, comandato dall’ufficiale Vallepiana, è inviato sulle Alpi Giudicarie nel febbraio del 1916 e successivamente in zona Falzarego, per la precisione al Col dei Bos. Guardando col binocolo, Ugo scopre che la parete della Tofana è “affollata” di uomini, ogni anfratto è un deposito, ogni cengia ospita dei soldati; sembra impossibile che si possa vivere per dei mesi appesi a un precipizio. Cambia completamente la prospettiva dell’alpinista, che sale la cima e subito scende; diventano insulsi i concetti di prima ascensione, etica dell’arrampicata … la guerra ha capovolto i modelli, ora gli alpini salgono le cime per occuparle e al ritorno nessuno si complimenta con loro per l’impresa. La prima guerra mondiale è una feroce carneficina, che annienta quasi un’intera generazione di innocenti ragazzi; i reduci convivono coi ricordi di morte, paura, fame e di freddo. La guerra è sempre una cosa assurda, ma quella che si combatte fra le Dolomiti lo è ancora di più.

 È uno scontro medioevale fra montanari di identica cultura; per due anni e mezzo dei “vicini di casa” si ammazzano a vicenda per conquistare un pezzo di roccia che il giorno dopo avrebbero perso di nuovo; resistono alle fucilate, al freddo e alle valanghe, dormono su cenge larghe un metro con la paura di cadere, di non riuscire ad asciugare le calze di lana, di sporcare la coperta … e magari alla fine i generali decidono che è il caso di andarsene più a sud! Gli alpini e i “cacciatori del Kaiser” si stimano a vicenda come montanari, ma devono puntarsi contro la mitragliatrice. Diciamo anche che lo stato maggiore italiano, nel maggio del 1915, pensa di vincere facilmente e invece gli austro ungarici resistono anche grazie alle difese naturali, le truppe imperiali hanno dei reparti addestrati alla montagna, i famosi “kaiser jager”. Il 28 maggio, dopo appena quattro giorni dalla dichiarazione di guerra, gli austriaci si ritirano sul Falzarego e le truppe italiane entrano a Cortina; ma poi tutto si ferma fino alla primavera del 1916. Il colonnello Tarditi, che da lungo tempo pensa alla conquista del Castelletto, manda a chiamare a Cortina il famoso alpinista Antonio Dimai, ma questi si rifiuta e lo mandano al confino al sud. Al colonnello viene allora in mente «quell’alpinista con due cognomi, quello con l’accento toscano» e lo fa chiamare; col binocolo dal Col dei Bos studiano insieme la parete sud-ovest della Tofana e individuano quel camino buio che la taglia a metà. L’idea sarebbe attrezzare una via in modo che gli alpini possano portare su le armi e infine trovarsi sul ghiaione sommitale della Tofana in posizione dominante sugli austriaci.

Nel frattempo, si scava una galleria elicoidale che entra sotto le postazioni austriache del Castelletto e ci si piazza una gran quantità di esplosivo. In quei mesi, si combattono due guerre gemelle sulle stesse montagne: quella fuori e quella dentro, dove i soldati-minatori scavano, giorno e notte, con i picconi, con la dinamite, con i compressori. È il terzo anno della guerra mondiale, il secondo per l’Italia; ormai le speranze che finisca alla svelta non ci sono più, i soldati si sono assuefatti alla vista dei compagni morti e al rumore delle granate e delle pallottole, i parenti a casa si sono abituati alle lunghe attese di qualche notizia dal fronte …

Ugo propone di far venire da Roma il soldato Gaspard, che viene comandato al fronte, dopo oltre un anno di monotonia a Roma. Vede per la prima volta le pareti dolomitiche, così diverse dalle montagne valdostane. Gaspard viene dal regno del granito, dal Cervino e dal Monte Bianco, è abituato a salire su rocce sgretolate, sul misto e sui ghiacciai, quasi mai sul verticale che invece è la nota dominante delle Dolomiti. Siamo a giugno del 1916 e i due si salutano come se si fossero lasciati una settimana prima; dopo pochi giorni, iniziano la salita del camino, partendo dalla cosiddetta “gran guardia” cioè una casermetta fatta di muri a secco addossata alla base della parete. Gaspard che è guida va sempre da primo. In un giorno di arrampicata arrivano al cosiddetto “posto di corrispondenza”, precariamente attrezzato con assi di legno e sacchetti di sabbia, dove c’è il bivio per andare allo “scudo” – era chiamata così una posizione tenuta dagli italiani proprio in faccia al Castelletto. Le condizioni meteo sono difficili in questa estate umida, c’è odore di marcio e la roccia ha sempre una patina di acqua, quando piove il camino diventa un torrente, ma le nuvole sono anche delle alleate per salire senza essere visti dal nemico. Tutte le sere, i due scalatori si sdraiano dove è possibile, appendono gli scarponi bagnati sopra una candela sperando inutilmente che il cuoio si asciughi un pò; con i piedi nello zaino e una coperta ruvida sulle spalle, si scaldano la minestra, parlano brevemente – in genere è Ugo che racconta qualcosa a Joseph e poi cercano di dormire, tanto l’alba arriva presto. Ci vogliono ben cinque giorni di questa vita per arrivare a un enorme masso che sbarra la salita e che Gaspard supera uscendo, con una ventina di metri di “sesto grado”, sulla parete aperta della Tofana. Ora, bisogna ricordare che a quei tempi non si usano i moschettoni e che quindi Joseph si deve slegare per far passare la corda negli anelli del chiodo e poi legarsi di nuovo; ogni volta c’è un momento di mancata sicurezza e sempre in equilibrio precario. Infatti cade, precipitando su una cengia innevata, strettissima, accanto a Ugo che lo soccorre.

Dopo una notte di tormenti, si sente meglio e insieme ripartono verso l’alto, senza tornare alla base. Ma è sfortunato, il giorno seguente una scheggia di granata austriaca lo colpisce a un braccio. Ci vogliono sedici giorni per raggiungere l’uscita del camino ed essere così alla cresta della Tofana; possono così scendere alla “guardia” e festeggiare per poi far salire la Compagnia dei Volontari Feltrini (gli stessi che nel settembre del 1915 avevano già occupato, solo per qualche giorno, la vetta della Tofana, ma poi erano stati costretti alla ritirata) i quali finiscono di attrezzare con 300 metri di scalette e, altrettanti, di corde fisse. Probabilmente il lavoro si svolge in contemporanea, alla fine Gaspard si complimenta con loro, si aspetta l’imbrunire per uscire allo scoperto.

Sembra tutto finito, i due s’issano verso la vetta insieme agli altri alpini ma sentono un rumore metallico, poi delle voci straniere; indietreggiano e si mettono al riparo, in ascolto: il ghiaione sommitale della Tofana pullula di soldati nemici. Sono quasi le sette di sera e gli austriaci chiacchierano tranquillamente fra loro, in attesa della cena imminente. Passa un’ora, passano due ore, in cui i nostri trattengono il fiato, e finalmente il picchetto austriaco scende a valle e così la cordata Gaspard-Vallepiana può mettere piede sulla cresta ovest e i volontari portano (sulla terrazza della cresta che fino a cinque minuti prima era stata austriaca) la mitragliatrice, che viene puntata sul Castelletto in basso.

Quel camino sulla parete (ormai irriconoscibile, i volontari veneti dicono che sembra il passeggio degli innamorati sul ponte di Bassano) sarà in seguito denominato “camino Vallepiana”; la sua uscita sarà chiamata “quota Gaspard”, siamo a 2.900 metri, e da lassù si dominano le posizioni austriache del Castelletto e dell’alta valle Travenanzes. I nostri eroi si meritano così una medaglia d’argento.

Continua la guerra

Passano pochi giorni, siamo a luglio del 1916, e l’enorme mina piazzata sotto il Castelletto è fatta esplodere dagli italiani, anche se non con i risultati desiderati. La guerra delle Tofane ancora non è finita. Dopo due anni e mezzo di guerra di posizione, nel 1917 gli alpini si ritireranno dal Col dei Bos senza avere “sfondato” e il fronte si sposterà più a sud. Ma andiamo per ordine: l’inverno 1916-17 è caratterizzato da grandi nevicate, iniziate presto e continuate per tutta la stagione; questo clima costringe gli alpini e i “cacciatori” a dedicarsi esclusivamente a sopravvivere, attenti alle valanghe e ai congelamenti. In primavera ricominciano le esplorazioni e in maggio Vallepiana e Gaspard sono inviati di nuovo sulla cima della grande Tofana in missione, con l’ordine di arrivare prima di notte. C’è un temporale, comincia a grandinare, si fa buio all’improvviso e l’elettricità si fa sentire; i due sanno che bisogna scendere prima possibile alla sella dove adesso c’è il rifugio Giussani, ma è difficile trovare la via nella tempesta nella luce dei fulmini; provano allora a risalire per riprovare dalla cresta … quando ormai non hanno più speranze, ecco che scorgono la vecchia baracca degli alpini, disabitata da mesi, mezza sepolta dalla neve, si buttano attraverso l’ingresso, entrano e si tolgono gli zaini.

Non hanno ancora avuto il tempo di riprendersi, pensano solo che finalmente ce l’hanno fatta, quando un fulmine entra dalle finestre vuote e attraversa fisicamente il corpo di Gaspard. Vallepiana inizia subito a fargli il massaggio cardiaco, la baracca è piena di odore di carne arrosto … due ore insiste, Ugo, per vedere se è possibile riportare il cuore del suo amico a battere. Joseph si riprende, dice qualcosa in francese, pensa alla moglie, teme di lasciare orfani i suoi figli; all’alba del giorno dopo Vallepiana scende all’accampamento di Fontana Negra, e così la teleferica degli alpini può scendere con il povero corpo martoriato a Cortina dove i medici sono convinti che non c’è più nulla da fare; ma Joseph ha un fisico bestiale e lentamente si riprende. Dopo tre anni di calvario attraverso diversi ospedali, si rimette in piedi anche se col bastone, visto che è paralizzato tutto il suo fianco sinistro; torna a casa dalla sua famiglia, affronta una nuova vita di lavoro normale in Valtournanche; camminerà col bastone e vivrà fino a novanta anni!

Vallepiana resterà per sempre suo amico. Li vediamo insieme, infatti, nell’unica foto che esiste in circolazione, relativa al cinquantenario del Castelletto, quella in cui entrambi si rimettono il cappello da alpino e si siedono su un sasso al Col dei Bos in occasione dei festeggiamenti. Il tenente Ugo è trasferito sul fronte friulano e nell’estate del 1917 partecipa alla battaglia della Bainsizza. Nel mese di ottobre, con il suo battaglione è circondato dall’esercito austroungarico sul Monte Pleca che è una propaggine del monte Nero; gli alpini di Vallepiana resistono eroicamente per diversi giorni, ma alla fine sono tutti catturati. Per Ugo, gli ultimi mesi di guerra sono solo prigionia.

Dopo il conflitto

Finita la guerra, dopo la battaglia del Piave, Vallepiana, promosso capitano degli alpini, può tornare alla sua passione per la montagna, alternando anche altri sport. E’, per esempio, uno dei primi italiani a scendere i torrenti in canoa. Come già detto, scrive un manuale di sci che la SUCAI pubblica nel 1921; scrive una guida alpinistica dei dintorni di Cortina nel 1925 e anche un libro di aneddoti che si intitola «Ricordi di vita alpina» del 1972.

Gaspard e Vallepiana insieme nel 1967

A parte questi scritti, devo dire che il nostro Ugo è molto riservato riguardo alle sue esperienze di guerra, direi geloso del racconto della Tofana: ancora nel 1923 il CAI gli chiede espressamente un racconto della scalata del “camino” da pubblicare sulla rivista ma lui declina l’invito, con la scusa di non avere il suo libretto di appunti. Tutti gli alpinisti prendono nota delle loro salite ma sembra che il taccuino di Ugo sia andato perduto con l’alluvione del 1966. Nel libro «Ricordi di vita alpina», ho trovato un episodio raccontato da lui stesso: nelle Alpi Apuane, sopra le case Carpano. Vallepiana e Carlo Franchetti vanno ad arrampicare, nel 1914, su una piccola cresta dall’aspetto “dolomitico” che è molto vicina a una cava. Dopo la guerra, alcuni amici vanno per ripetere la via ma non la trovano: è stata demolita dall’avanzamento della cava … una salita irripetibile!

Nel 1929 c’è una spedizione extraeuropea della nostra sezione; è Vallepiana che organizza con Rolf Singer, Leopoldo Gasparotto e Albert Rand Herron, un viaggio nell’URSS “staliniana” dove compiono la prima salita con gli sci del Monte Elbrus. Dopo il 1930 non lo troviamo più iscritto alla nostra sezione, perché si trasferisce a Milano. È del 1 ottobre 1933 una famosa via di arrampicata nelle Grigne, aperta con G. Gandini, lo “spigolo Vallepiana” sul sud-ovest della piramide Casati, una prima ascensione a oltre quarant’anni. Dal 1931 al 1938 Vallepiana è Presidente dello Sci-CAI Milano, ogni domenica dell’inverno organizza una gita sociale come accompagnatore, e non si tratta di passeggiate ma di vere e proprie uscite alpinistiche. Sarebbe troppo lungo riportarne l’elenco, alcune sono anche molto ardite, solo alcuni esempi: la Punta Dufour del Rosa, il Bieshorn, il Dome dei Mischabel, l’Eigerjoch settentrionale. Nel 1938 le leggi razziali del fascismo obbligano il CAI a espellere gli ebrei e quindi anche Vallepiana, che è anche radiato dall’esercito; la sua famiglia però non è coinvolta nella tragedia dell’Olocausto, per fortuna. Nel 1947 si iscrive di nuovo al CAI e rientra anche nel Club Alpino Accademico Italiano; è molto attivo, tanto che è proposto per importanti incarichi; è registrata nei documenti una sua donazione di libri alla gloriosa biblioteca della sezione di Firenze, danneggiata dai bombardamenti del 1944.

Nel 1960 il C.A.A.I. lo elegge Presidente Generale, carica alla quale è confermato per diversi mandati, fino a quando non si dimette perché anziano; fra l’altro, durante la sua presidenza è richiesta la possibilità di ammissione delle donne all’Accademico, proposta che è bocciata dall’assemblea dei soci del 1966; dal punto di vista della stampa associativa, propone che il C.A.A.I. contribuisca alla rivista del CAI con un numero speciale all’anno e questo progetto è approvato e messo in pratica, almeno per tre o quattro anni. Nel 1974 si reca in Valle d’Aosta per il funerale di Gaspard; ormai anche lui, che era il più giovane dei due, è ultra ottantenne. Nel 1975 lascia la Presidenza del C.A.A.I., resta vedovo e, per problemi alla vista, si ritira in casa. Muore a ottantasette anni, all’inizio del 1978, e vuole essere accompagnato dal suo cappello alpino fino all’ultima dimora. Lui stesso, d’altronde, aveva detto che “chi porta la penna per un giorno la porta per tutta la vita”.

Sergio Cecchi all’attacco della Ferrata Lipella

 

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