La montagna dipinta di Sergio Rinaldi

Annuario 2012

“Ritorno dal Bosco”
di Giovanni Segantini (1890)

Se è vero che esiste un paradiso, quello è il luogo che è stato a lungo ricercato dall’uomo scalatore di vette. Prima col desiderio e poi con tutto il suo impegno e la sua forza di volontà per sfidare le insidie della montagna a volte celata dietro un’apparenza estetica di un mondo misterioso molto più alto e più grande di se.Fino dai tempi più remoti la montagna era circondata da un alone mitologico di magia, di leggenda, forse abitata da diavoli o da folletti che tenevano lontano l’uomo per l’ansia e per i timori popolari. Si narra di una fata che abitava in un castello di rocca su un verdeggiante pascolo che ricopriva l’attuale Mer de Glace, per una ritorsione verso gli abitanti di Argentiere che l’avevano ripudiata, praticò una maledizione sui pascoli trasformandoli in ghiacciai eterni. I misteriosi giganti che nella primitiva convinzione di allora dettero origine alle vallate, per fare risaltare più imponenti i picchi e i massicci delle montagne, altro non sono che il risultato di una rivoluzione tettonica della crosta terrestre e della potente opera modellatrice delle valanghe, delle frane, delle tempeste e dei terremoti. Anche le antiche incisioni a colori dei vari pittori dell’epoca rappresentarono l’immagine dei monti caratterizzata da irte e ardite punte, spesso minacciose e insidiose e inavvicinabili secondo l’influenza popolare e il terrore ancestrale di quei tempi. Solo l’alpinismo sviluppatosi in seguito dopo i tentativi dei cacciatori e dei montanari locali riuscirà ad abbattere le barriere psicologiche di allora. L’uomo, dopo aver vissuto per lungo tempo con le risorse naturali fornite dalle praterie del fondovalle e dai fianchi boschivi delle sue montagne, sentì forte il desiderio e la curiosità di cimentarsi con il mondo nascosto delle altezze che ornavano quel giardino di una bellezza paradisiaca. Si continuò a contemplare i monti come se fossero una natura morta, immobile da ammirare solo da lontano, ma essa si dimostrò non essere affatto morta, anzi si è sempre adornata e trasformata di colori secondo le stagioni: con un manto bianco invernale, uno rosa primaverile, uno giallo-rosso estivo e uno arancione e viola nel periodo autunnale.

Il ghiacciaio di Bousson di John Ruskin (1857)

 La storia, la letteratura e l’arte hanno sempre influito sull’immaginazione e sulla sensibilità dell’uomo determinando una sinergia di valori e di sensazioni non solo rivolte al mondo della montagna alta ma anche sbocciate nelle vallate alpine. Diceva Pierre Dalloz: “… è più facile sentirsi fratelli di una genziana che di un ghiacciaio o di un blocco di granito …”

Così l’arte, la letteratura di montagna e la pittura sono ancora oggi espressioni che hanno sempre esaltato la bellezza della natura. Le impressioni apparenti che suscitano le visioni dei monti hanno sempre influito sull’uomo con le esplosioni cromatiche e delicate delle fioriture e della vegetazione mutante e periodica e la severità delle nude rocce. I colori più o meno accesi, le luci delle albe e dei tramonti, i cieli sereni o il gioco delle nuvole che accarezzano le cime e fanno risaltare le vette più alte hanno ispirato tanti pittori di tutte le epoche per fissare sulla tela le loro emozioni più belle e più intimamente sentite.

Nell’anno della scoperta dell’America, il 1429, un certo Antoine de Ville riesce a scalare l’ardita muraglia calcarea del Monte Anguille, nel Delfinato Francese, che pur essendo di altezza modesta (2.097 mt.) , presentò un difficile accesso che rimarrà nelle storia dell’alpinismo come una delle sette meraviglie del Delfinato.

Ma soprattutto grandi pittori e geni del Rinascimento, come Leonardo da Vinci, Masaccio, Michelangelo, Raffaello ecc., seppero rappresentare vedute grandiose delle vallate e delle imponenti rocce delle altezze, aprendo involontariamente le porte alla fase successiva dell’alpinismo esplorativo. Così nel 1786 la vetta del Monte Bianco finì sotto i piedi di Balmat e di Paccard che per primi osarono salire la cima più elevata d’ Europa. Da allora nacque l’alpinismo influenzato, oltre che dall’amore per la natura e per la montagna, da quel grande uomo di scienza che fu H.B. de Saussure. Dopo il 1854 si susseguirono tante cime vergini e tanti pionieri quali Coolidge, Whymper, Tuckett, Tyndall, Young e tante guide locali che scrissero importanti storie di alpinismo eroico superando le difficoltà di allora delle nuove ascensioni e della indifferenza delle popolazioni locali per una attività così impegnativa, rischiosa e incompresa.

Verso la fine del 1800 il grande genio di Paul Cézanne, precursore di tutta l’arte moderna, esplode nei suoi quadri, secondo il movimento impressionista di quel tempo, alla ricerca di una luce filtrata dall’emozione derivata dall’osservazione della natura circostante riuscendo a sintetizzare la composizione del paesaggio con l’estemporaneità dei colori sapientemente usati. La sua pittura “en plein-air”, al di là delle sollecitazioni formali ha saputo descrivere la bellezza e l’atmosfera dell’ambiente e dei paesaggi provenzali di Aix en Provence, dove lui era nato e dove si spegnerà all’età di 67 anni mentre stava dipingendo all’aperto sotto un acquazzone. Il Monte Sainte Victoire fu il soggetto da lui preferito, eseguito con pennellate, ditate di colore e spatolate che sembravano scolpire l’esaltazione della natura nel suo aspetto più significativo di libertà dalle linee. Cézanne prima di iniziare a dipingere contemplava e studiava a lungo il paesaggio, quasi a spiare la natura per catturarne l’effetto migliore di luce, di colore e di spazio. Le sue composizioni riflettevano il suo pensiero : “…la lutte pour le style et la passion de la nature…”.

Pittori come Turner, Courbet, Jodler furono forse i primi scalatori che armati solo dei loro pennelli scoprirono la montagna nelle sue pieghe nascoste, come veri esploratori, facendo così conoscere ai loro contemporanei il mondo prima ostile delle Alpi. Segantini, ottimo pittore italiano autodidatta, neo-impressionista, ci ha lasciato opere liriche d’arte colorate e sempre fresche dove la vastità dell’ambiente rappresentato e l’Alpe assumono un aspetto luminoso creando una atmosfera iridescente per la tecnica usata. Il tema della montagna pur subendo il fascino della: “joie de vivre” rimarrà sempre un soggetto di difficile interpretazione data la sua lenta ma inesauribile metamorfosi e la sua imponente e forse paurosa verticalità vista dal basso e la sua forma modificata dal tempo e variabile per le nubi che ne accarezzano e sconvolgono le forme delle creste, delle guglie e dei massicci incombenti e maestosi. Però per il poeta, per il musicista, per il pittore e per l’alpinista la montagna, con la sua poderosa struttura architettonica, ha sempre rappresentato un valore aggiunto come fonte di ispirazione trasmesso dalla natura alla sensibilità dell’uomo. Dipingere la fugace fauna delle montagna non è sempre facile perché essa è spesso nascosta dalla vegetazione e la migrazione stagionale ne cela gli spostamenti. Per esempio i camosci e gli stambecchi frequentano d’estate le alte rocce coperte di erbe, ma d’inverno scendono a valle nella bassa foresta in cerca di licheni e di cibo da raspare. Le praterie e le foreste di montagna si ornano di delicati fiori che con i loro colori vivaci, la loro bellezza e il loro profumo costituiscono una grande attrattiva che il mondo vegetale offre all’occhio del pittore che sa osservare e conservare questa meraviglia spontanea della natura trionfante anche sulle nevi dei ghiacciai e delle rocce. Il potere di rigenerarsi dei fiori è formidabile perché essi hanno saputo adattarsi al clima ora secco, ora umido, ora freddo e ventoso e alle variazioni termiche dell’ambiente così ostile. Il bosco e le nevi creano un mantello protettivo all’azione dei venti violenti.

particolare di “La montagne Sainte Victoire” di Paul Cézanne (1904)

Quindi bisogna evitare il disboscamento selvaggio dell’uomo sovente incosciente che creerebbe profonde ferite e modifiche alla vegetazione autoctona dell’ambiente usato e ridotto a volte in cenere come biasimevole fertilizzante. Ma la foresta dei faggi, degli abeti e di larici più che un fatto estetico essa è necessaria per proteggere il suolo dalla erosione del terreno. Non è solo una questione di avvenenza ma bisogna sapere rispettare le esigenze della natura per preservare quell’ambiente da Wilderness che ci accoglie ma che viene troppo spesso trascurato.

Ma un altro tipo di pittori, in tempi più moderni, con la spontaneità del volontariato, degna di rispetto per la loro dedizione al mondo dei monti, si sono armati di vernici, colori e pennelli e sono saliti a tracciare molti punti di riferimento per segnare e rendere più agevole e sicura la scelta della rete di sentieri che circondano le montagne. Così l’uomo potrà salire seguendo quelle tracce colorate che agevoleranno il suo cammino e dove i trekkings apprezzeranno l’opera di questi segnali e del lavoro di quei pittori encomiabili e sconosciuti. Anche lo scalatore o lo sci-alpinista laddove l’ambiente può creare dubbi di orientamento potrà, se necessario, segnare di colore, come i cani, il proprio passaggio su ometti di neve o di ghiaccio spezzettato, per agevolare il riconoscimento del percorso nel suo ritorno a valle. La tavolozza spontanea della montagna ha saputo, per un fenomeno naturale, colorare di un colore rosso-arancio vivace tutte le rocce calcaree delle Dolomiti, sotto l’effetto dell’enrosadira, che al tramonto ci offrono e ci regalano uno spettacolo unico e straordinario da sembrare prendere fuoco.

Le montagne hanno saputo calamitare l’attenzione ed attirare molteplici persone per cimentare il proprio impegno fisico e psicologico con le difficoltà delle pareti rocciose, delle nevi e dei ghiacciai eterni salendo dalla pianura alle vallate per penetrare nel mondo delle cime, come i vecchi montanari di un tempo. Però oggi si riconoscono da lontano i colori sgargianti dei maglioni, delle imbracature, delle corde, dei caschi e delle attrezzature odierne dei nuovi scalatori che si addentrano in questa realtà rocciosa, a volte ostile e pericolosa ma piena di fascino per l’ardire di vincere la forza gravitazionale che aumenta le difficoltà per raggiungere il silenzio e i segreti di qualche cima isolata. Questo nirvana che la natura ci offre è un dono che ci viene offerto dalla montagna e che solo il vero alpinista sa apprezzare perché richiede coraggio, tenacia e tanto amore.Per il poeta, il pittore e lo scalatore esistono ancora spazi ed orizzonti infiniti e poco noti seguendo la fantasia e la sensibilità dei nostri sogni. I pittori di montagna forse contribuirono con le loro opere a fare nascere nell’uomo la passione e il desiderio di scoprire e di cimentarsi con un ambiente a volte sconosciuto ma accessibile a quegli eletti che non rechino offese all’ambiente trovato. Così come il pittore che è riuscito con le sfumature a smorzare la forza espressiva del proprio lavoro, anche lo scalatore si trasforma in artista quando la verità e la realtà superano l’immaginazione. Mette da parte colori e pennelli e usa abilmente scarponi, corda, piccozza e sci per lasciare una lieve traccia del suo passaggio come testimonianza fugace nel mondo incantato delle vette.

Ricordo che tanti anni fa sulla parete Nord del Pizzo d’Uccello ho trovato una scritta a pennello che diceva: “Lotta continua”. Così ho pensato ad un pittore estemporaneo di passaggio, armato di colori, oltre che di chiodi, che aveva voluto esprimere la propria forma di protesta e di contestazione per una società un po’ cieca o indifferente ai problemi quotidiani. In tempi più vicini a noi Emilio Cavani, quel noto pittore Garfagnino, ha eseguito con pennelli e colori numerosi e fedeli paesaggi a tempera delle nostre vicine Alpi Apuane, sapendo coglierne le forme e i profili più caratteristici per identificarli e descriverli agli scalatori futuri prima che l’erosione per mano dell’uomo abbia ignorato la loro bellezza primordiale.

Se l’uomo saprà ascoltare l’armonia ispirata dalla natura che, purtroppo, è come i ghiacciai in lento regresso, ma apprezzare, rispettare e conservare questo mondo fantastico del creato, con regole ferree derivate dalla propria esperienza di vita, allora forse quel nostro paradiso terrestre potrà attenderci ancora un po’.

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