In memoria di Roberto Pompignoli di R. Masoni

Annuario 2012

Di Roberto ricordo due cose: l’entusiasmo e l’amarezza. L’entusiasmo nei confronti della Montagna, l’amarezza con la quale doveva convivere.

Roberto faceva parte di quella generazione di alpinisti di cui ho sempre subìto il fascino, quella generazione che frequentava la Montagna epraticava l’Alpinismo senza incertezze, senza esitazioni. Quell’alpinismo fatto di piccole, grandi cose, eppure fondamentali, sotto ogni punto di vista, che distinguevano le persone comuni da quelle più intraprendenti, forse più capaci.

Voglio ricordare Roberto raccontando un episodio di qualche anno fa. Gli proposi di scrivere qualcosa riguardo la Sua sofferta e drammatica esperienza alpinistica, quell’episodio nel quale fu costretto a conficcare nel ghiaccio le unghie pur di sopravvivere, nel quale fu capace di restare appeso alla vita facendo affidamento solo nelle Sue forze, strisciando dopo aver immobilizzato una gamba con la piccozza. Un episodio che lo avrebbe segnato per la vita ma che non guastò mai il suo amore per la Montagna, che non offuscò mai il Suo temperamento di Alpinista con la A maiuscola.

Mi diceva “Roberto, ti voglio bene, ma francamente cosa vuoi che interessi ai giovani di questa mia esperienza …”. Insistetti per giorni, settimane, Gli dicevo “Roberto non ti preoccupare, scrivi. Non è vero che non può interessare i giovani, anzi io credo possa essere loro di insegnamento”. Lui ribatteva “Non so … ho molti dubbi, la mia storia fa parte di un altro alpinismo che non ha niente in comune con quello attuale. Sei veramente sicuro che la mia disavventura possa interessare qualcuno?”. “Si, mille volte si” Gli rispondevo.

Riuscii infine nel mio proposito, il contributo di Roberto fu pubblicato sull’Annuario del 2000 con il titolo “Vite sospese, un’avventura senza tempo”, consiglio di rileggerlo. Oggi che Roberto se n’è andato non rimpiango di aver così tanto insistito. Raccontò semplicemente, ma con dovizia di particolari, il Suo drammatico incidente in Montagna, sul Bianco, eppure nel Suo scrivere non v’era solo dolore, amarezza, angoscia. Il Suo contributo contenne infatti anche un messaggio di speranza e di amore. Un messaggio rivolto ai Lettori, e forse inconsapevolmente rivolto a se stesso, che svelava il desiderio e l’attesa dell’andare per monti, l’ambizione di essere ancora capace di andare in Montagna e di continuare ad amarla nonostante le sue difficoltà che non erano comuni.

Provai grande entusiasmo nello scorgere in Lui questa grande passione, questo straordinario amore nei confronti di quella Montagna ignobilmente chiamata “assassina” senza motivo e alla quale peraltro non attribuiva alcuna colpa. La scoperta di un Alpinista vero. Passava spesso da me, abitando vicino alla mia attività ci incontravamo spesso. Gli chiedevo “Roberto come va?”, mi rispondeva con riservo, spesso mi ammoniva a non stringerGli troppo la mano perché provava dolore. Mi appariva stanco, provato, incapace di dare sfogo alle passioni che avrebbe voluto soddisfare. Ho ammirato molto Roberto, soprattutto perché scrutando dentro me stesso non so se sarei capace di fare ciò che Lui ha fatto. E non è retorico dire che l’alpinismo che io spesso racconto su queste pagine è simile al Suo. Quell’alpinismo che non tiene conto degli ormai nauseanti gradi di difficoltà, quell’alpinismo oggi sostanzialmente antiquato nei modi eppure moderno per la ricchezza di trasporto con cui lo si affronta. Quell’alpinismo nato e costruito, giorno dopo giorno, sull’attaccamento ai valori e al calore che solo la Montagna sa dare. L’alpinismo dei grandi, quale Roberto era.

Ciao Roberto, ora puoi correre felice per le tue Montagne, senza ostacoli. Non fermarti, corri finchè vuoi, finalmente, fino a sfiancarti e quando sarai stanco, metti il palmo delle mani sulle ginocchia e riposati. Che tu sia sereno

 

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