Annuario 2012 – Scienza ai confini del mondo
Si dice che oramai non ci sia più un luogo sul nostro pianeta che possa definirsi letteralmente “inesplorato”, cosa questa che pare mettere a dura prova molti giovani esploratori che si inventano sempre più spesso primati d’imprese di cui talvolta, confesso, non colgo il senso. In compenso mi sento di poter tranquillizzare tutti i nuovi esploratori affermando qui che molte sono le zone inesplorate del nostro pianeta! Almeno nel senso classico del termine, quelle, cioè, mai calpestate da impronta d’Uomo. Certo è che, magari, in molte di queste zone non viene certo la voglia di andarci e, a ben guardare, qualcuno potrebbe pure obiettare che, anche queste, sono di fatto esplorate, nel senso che sono state descritte, fotografate e in parte pure percorse. Ma bisogna pur rendersi conto che il limite dell’esplorazione reale palmo a palmo è spesso legato a mere questioni di tempo, di finanziamenti, di impegni casalinghi, di problemi momentanei legati ad una incapacità della tecnica di superare taluni ostacoli ed è in questo contesto che credo vada intesa la parola “esplorazione”. Noi tutti sappiamo bene che la tecnica degli anni venti non era ancora sufficiente per poter, ad esempio, esplorare vette come l’Everest la cui cima, in attesa di ritrovare il corpo di Irvine e magari la sua macchina fotografica, è stata ufficialmente calcata “solo” nel 1953. Il K2 l’anno dopo.
Stessa sorte per molti dei luoghi del pianeta Terra e non solo: molti sono i rover che hanno percorso pianeti e comete, l’ultimo dei quali, Curiosity della Nasa, dovrebbe atterrare sul pianeta rosso il 6 agosto prossimo (fra poche settimane, per chi scrive). Esplorazione, sviluppo tecnico e scienza vanno di pari passo. E’ per questo che vorrei parlare di un paio di recenti esplorazioni proprio ai Confini del Mondo, entrambe avvenute sotto la superficie della Terra, ponendo con questo dei grandi problemi tecnologici, scientifici e pure etici-comportamentali: la prima, il Lago Vostock al Polo Sud, la seconda la grotta di Naica in Messico.
Il Lago Vostock, profondamente sepolto sotto i ghiacci del Polo Sud, è stato scoperto dal geografo sovietico Andreji Kapitsa durante una campagna esplorativa avvenuta alla fine degli anni cinquanta, basandosi su misure di carattere sismico: una tecnica analoga si usa ancor oggi per compiere prospezioni geologiche. Si batte il terreno con una certa massa, di solito dell’ordine di alcuni chilogrammi, poi si vanno a misurare gli echi delle onde sismiche che si sono generate in diversi punti posti a distanza nota. Il tempo intercorso tra l’urto e la ricezione delle onde sismiche deflesse dai diversi strati geologici da informazioni sulla densità del terreno e sulla sua composizione. Tecniche più recenti basate sull’accurata misurazione della velocità di caduta di un grave o su tecniche di interferometria atomica permettono di scovare anomalie gravimetriche tali da poter rilevare la presenza di giacimenti petroliferi e di caverne sepolte molti chilometri sotto terra (non lo dite in giro, ma l’interesse principe è scovare bunker sotterranei!). Pare essere un compito davvero difficile e se per “caduta di un grave” state pensando alla mela che piomba sul capoccione di Newton… avete azzeccato! Solo che non si tratta di una mela, anche se l’idea è quella, ma di qualche cosa che permette di misurare l’accelerazione di gravità, il famoso “g”, con una precisione alla nona cifra decimale. Il che non è proprio male!
Tornando a noi, il Lago Vostok è piazzato proprio sotto l’omonima stazione perforativa russa (78°27S, 106°52E), che detiene pure il record di misurazione della temperatura più bassa registrata da sempre sul pianeta:
-89,4°C. Questo vuol dire che non ci si lavora affatto bene e che quasi qualunque cosa vi venga in mente di usare, lì non funzionerà. Se a questo sommate il fatto che ci son voluti anni di pensamenti e ripensamenti su come fare a prelevare dei campioni senza contaminare l’ambiente, condite il tutto con qualche ritardino di carattere politico, qualche mistero ufologico (!!!), ecco che si arriva a quest’inverno, più esattamente al 5 febbraio 2012.
E’ questa la data in cui, dopo non meno di trenta anni di perforazioni, i ricercatori russi del “Arctic and Antarctic Reserch Institute” sono riusciti, alle ore 8:55 ora di Mosca, a concludere la perforazione dei 3.766 metri di ghiaccio che separano la superficie del pianeta e la relativa stazione Vostock, dal sottostante… lago! Perchè di lago si tratta. Come tutti sappiamo la pressione esercitata da una massa di ghiaccio sulla sua base, abbassa il punto di fusione dell’acqua solida che, per questo, liquefa. E’ lo stesso meccanismo che fa sì che il fondo dei ghiacciai sia permanentemente lubrificato dalla presenza di acqua permettendo il movimento del ghiaccio sovrastante, finchè almeno non si riduce a una sottiletta e allora buonanotte!
Di laghi sotto il Polo Sud ce ne sono davvero molti, sicuramente più dei settanta individuati, ma guarda caso il primo, il lago Vostock, è proprio grandino: cinque volte l’estensione della Val d’Aosta, tocca i 15.700 chilometri quadri per un totale di 5.400 chilometri cubi di acqua. Pura. Incontaminata. Vecchia di 420.000 anni, forse più, forse meno. “Il lago Vostok è una delle ultimi oasi inesplorate della vita” dice John Priscu dell’Università del Montana. Uno dei campioni di ghiaccio prelevati a 3.600 metri, ad appena 120 metri sopra il lago, ha mostrato la presenza di batteri vecchi di milioni di anni: la sorpresa è che il loro DNA è biologicamente simile a quello degli attuali organismi a noi noti.
Gli scenari aperti dalla scoperta del lago di Vostock sono molti e si va dall’archeobiologia all’ufologia, perchè ovviamente non poteva mancare il mistero ufologico! La zona è stata oggetto di misurazioni di ogni tipo: oltre a quelle di carattere gravimetrico sopra ricordate, si sono fatte mappe batimetriche del lago usando radar montati su satelliti (non crei questo meraviglia, si riescono a fare misurazioni di rilievi con la stessa tecnica anche di Marte e Venere), e misure di campo magnetico che guarda caso hanno rilevato un’anomalia magnetica proprio localizzata sul fondo del lago di Vostock: manco a dirsi, l’anomalia, grosso modo pari a 1/70 del valore locale del campo magnetico, risulta essere compatibile con una struttura metallica a forma di disco, tutt’al più cilindrica. Apriti cielo! A parte scenari da X-files, poter studiare
un ambiente rimasto isolato per centinaia di migliaia di anni e forse milioni, è decisamente interessante per capire l’evoluzione di specie batteriche e forse anche di qualche cosa di più complesso: la temperatura dell’acqua è infatti non propriamente fredda arrivando secondo alcune stime a toccare in alcuni punti i 30°C. La presenza di ossigeno disciolto è estremamente elevata, la densità di sostanze nutritive risulterebbe estremamente bassa, la pressione elevatissima. L’interesse è, insomma, moltissimo e molti sono gli istituti che si sono lanciati in recenti imprese di perforazioni, primi in testa gli Stati Uniti che con il Jet Propulsion Laboratory vorrebbero addirittura inserire un piccolo sommergibile filoguidato in uno dei paleo laghi del Polo Sud, ma molte altre sono le iniziative de l’United State Antartic Program. Vedremo fin dove si spingerà la competizione. Per adesso la torre arancione della stazione, partita come Sovietica e adesso Russa, non si erge più isolata nel bianco panorama del Polo Sud. Altre torri perforative si sono più o meno discretamente affiancate e promettono tempi record di perforazione, addirittura di pochi mesi… povero il nostro lago Vostock e gli eventuali organismi viventi che lì avessero deciso di proliferare.
Saliamo di latitudine, cambiamo emisfero, quota altimetrica e approdiamo in Messico, nello stato di Chihuahua, dove si trova la grotta di Naica. Siamo nel nord del Messico, appunto, e la grotta prende il suo nome dal villaggio costruito attorno ad una delle miniere di argento più grandi del mondo. Nel 1910 la compagnia che gestiva la miniera scoprì una grotta a -150 metri dal livello d’ingresso contenente i cristalli di gesso più grandi del mondo, la Cueva de las Espades. L’ingresso fu chiuso e solo in anni recenti l’attività mineraria è stata ripresa, con molto più impegno e maggiori tecnologie, arrivando ad un livello estrattivo di -800 metri. Tale attività mineraria prevede l’estrazione di argento previo pompaggio dell’acqua calda che vi si trova un pò ovunque essendo oramai arrivati a scavare proprio al livello acquifero sottostante: la temperatura dell’acqua si aggira sui 54°C e il volume prelevato non è inferiore al metro cubo al secondo.
Ed è da almeno trenta anni che si pompa acqua… Nel 2000 una nuova grotta, liberatasi proprio a causa di questo pompaggio forsennato di acqua, è stata individuata a -290 metri, la famosa “Cueva de los Cristales” e, dal 2006, la società Penelopes, proprietaria della miniera, ha dato vita al Proyecto Naica al triplice scopo di esplorare, documentare e compiere ricerche scientifiche in questo ambiente inesplorato del pianeta e spero che l’abbia fatto finanziando per intero il progetto, non mancandogli di certo i mezzi finanziari! Le similitudini con il progetto di studio del Lago di Vostock sono numerose, ma di sicuro gli ambienti sono molto diversi anche se entrambi basati, curiosamente, sull’acqua.
Qui la temperatura è di 46°C, l’umidità relativa è prossima al 100% e il tempo di sopravvivenza dell’uomo in un tale ambiente non supera i pochi minuti. Esiste un indice, detto “humidex”, che è un indice di temperatura percepita che tiene conto oltre che della temperatura anche dell’umidità: humidex e temperatura misurata con un termometro coincidono solo per valori di umidità pari a zero. Per dare un’idea si tenga conto che con un indice di humidex superiore a 35 il corpo umano entra in sofferenza, mentre sopra i 55 vi è pericolo imminente di morte. Ecco, il valore di humidex in queste grotte è fra 95 e 105! E’ stato dunque necessario sviluppare una tecnologia che permettesse l’esplorazione di quest’ambiente a dir poco inospitale e, per farlo, noi italiani abbiamo dato il nostro contributo sviluppando la Tuta Tolemaica, basata su tecnologia spaziale… ma in versione low cost.
Trattasi di una tuta a strati multipli la cui parte esterna scherma da condensazione e irraggiamento la parte interna che è costituita da elementi di ghiaccio che fondendo assorbono il calore corporeo e quello dell’ambiente circostante. E’ poi dotata di un respiratore ad aria deumidificata e raffreddata per evitare l’ustione dei polmoni, mentre l’aria in eccesso è inviata direttamente sugli occhi per evitarne il contatto diretto con l’aria della grotta. Con questa tuta si riescono a raggiungere tempi di permanenza fra una e due ore. Armati di queste tute due ricercatori italiani hanno compiuto l’esplorazione di questo ambiente estremo, posando i loro piedi laddove nessun essere umano era mai giunto prima. I cristalli, liberati dai 160 metri di colonna d’acqua a 54°C, sono davvero sorprendenti: ne sono stati contati 162, aventi lunghezza media di cinque metri e dimensioni trasversali comprese tra 30 e 60 centimetri, pochi casi oltre il metro. Il record di lunghezza è detenuto da un cristallo di 11,4 metri con sezione base di 80×90 centimetri e terminale di 30×35 centimetri: è il “Cristal Cin”.
Oltre i noti cristalli di gesso, in questa grotta son stati individuati un’incredibile varietà di minerali, al momento una quarantina, di cui uno, un silicato di alluminio e magnesio, risulta nuovo per la scienza. Sono stati inoltre individuati una sessantina di campioni di pollini, risalenti a molte migliaia di anni fa. L’eccezionalità dei cristalli di Naica è legata alla costanza della temperatura dell’acqua presente in queste grotte: in oltre 250.000 anni si è mantenuta tra i 58 e i 56 gradi. Poi, nel 1980, si è cominciato a pomparla via per estrarre argento!
Ma la grotta dei Cristalli è fortunatamente solo un frammento, reso visibile dall’uomo per i suoi scopi estrattivi, di un complesso ben più vasto che forse avremo modo di esplorare oppure no: dipende, temo, dal mercato dell’argento. E comunque la proprietà ha già detto che esaurita la vena estrattiva, il pompaggio dell’acqua sarà interrotto e le grotte saranno di nuovo allagate… almeno fino al prossimo picco del costo dell’argento.
Ho voluto parlare di queste due esplorazioni perchè mi pareva intrigante la loro similitudine, nonostante la palese diversità dei loro ambienti: prima fra tutti la temperatura di lavoro degli scienziati che in un caso si ritrovano a lavorare a una temperatura che tocca frequentemente punte, in negativo, di -46°C, mentre nell’altro caso si ritrovano a lavorare a +46°C. Curioso! Come curioso è il fatto che, in entrambi i casi, si sia violato un ambiente talmente vergine da risultare di fatto isolato dal resto del mondo, quasi si stesse compiendo l’esplorazione di un altro pianeta. E qui si pone l’eterno problema di quanto sia lecito per l’Uomo esplorare la Natura e i suoi ambienti: ci sono luoghi che non possono essere esplorati tanto facilmente per limiti oggettivi di difficoltà, ma tanti altri lo sono per limiti imposti che possono essere essi politici, religiosi o etici e non mi sto riferendo solo a luoghi topografici, ma anche a realtà apparentemente meno tangibili, quali sono per esempio il mondo microscopico della biologia molecolare che sempre di più ci pone, a noi essere umani, problemi etici e comportamentali oppure quello ancora più microscopico dell’atomo con tutti i suoi risvolti morali e ambientali. Allo stesso modo accadrà in futuro per il mondo macroscopico, quando finalmente la tecnologia e la scienza saranno in grado di darci i mezzi per esplorare lo spazio, superando l’oceano di vuoto che ci separa dai molti pianeti extrasolari che oramai sappiamo esserci e al pari di un novello Colombo ci ritroveremo con i suoi stessi problemi.
E perchè non accada quel che accadde nel 1500, in cui riuscimmo a sterminare intere popolazioni e a far sparire grandi civiltà in una manciata di anni, bisogna che lo sviluppo scientifico e tecnologico si accompagni ad una maturazione dei nostri schemi mentali in termini di esplorazione, di etica, rispetto degli altri, perchè credo che il fine ultimo dell’esplorazione sia prima di tutto la comprensione del Mondo. E’ questo un esercizio primariamente mentale e che non può esimersi prima dal conoscere se stessi, come alpinisti, camminatori, cittadini del mondo, esploratori e chissà cos’altro. Solo così i singoli “Colombo” sapranno come regolarsi tutte le volte che scopriranno un loro piccolo o grande “nuovo mondo” e sapranno dove è lecito fermarsi, non perchè un complicato corpus normativo gli dirà cosa fare e cosa non fare, ma semplicemente perchè nell’animo di ciascuno di noi ci saranno scritte, finalmente, le indicazioni comportamentali eticamente corrette dell’esplorazione, che si tratti di montagne, di antichi laghi, di paleo batteri, di campi nomadi o di pianeti extrasolari. Molti sono i mondi alieni attorno a noi e sempre di più aumenteranno di numero. Stay tuned!