In memoria di Leandro Ambregi

Conobbi Leandro Ambregi alla fine del 1954 quando ero appena arrivato a Firenze per ragioni di lavoro, nella sede del CAI che allora si trovava in Borgo Santi Apostoli. Era un ragazzo semplice, estroverso e generoso come del resto tutta la Sua famiglia. Aveva cominciato a praticare l’alpinismo da poco tempo e di esperienza ne aveva piuttosto poca, cosa del tutto logica dato che allora a Firenze non c’era una Scuola di alpinismo né una palestra di roccia e pertanto chi si dedicava a quest’attività doveva arrangiarsi da solo. Gli alpinisti esperti che allora frequentavano le Apuane erano pochi e mancava pure una guida alpinistica da poter consultare. Aggrapparsi al “paleo” era allora un modo di salire ancora in uso. Per me che finora avevo arrampicato sulle Alpi Giulie e sulle Dolomiti l’idea di salire attaccandosi a dei ciuffi d’erba non era nemmeno immaginabile.

Insieme abbiamo effettuato diverse salite sulle Apuane, ovviamente per itinerari che definirei un po’ più moderni, al Gran Sasso, in Svizzera e sulle Dolomiti. Tra questi ricordo la via Preuss al Campanile Basso e alla Piccolissima di Lavaredo, al Sella, la via Detassis sulla parete SO della Torre di Brenta, salite queste di grande soddisfazione e di un certo impegno anche se non di estrema difficoltà.

Ritengo quindi che anche Lui possa essere inserito in quel gruppetto di giovani che, proprio nella metà degli anni cinquanta, contribuirono ad innalzare il livello qualitativo dell’alpinismo fiorentino.

Piero Zaccaria

 

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