Il Kenya di Giuseppe e Rosalba

0038Maggio 2013 – Una gita al di fuori dei nostri confini

Oggi sveglia alle 3, come nelle ultime notti abbiamo dormito poco e male: la quota e l’eccitazione per quello che andremo a fare ci hanno reso il sonno leggero; la sveglia che avevamo regolato ieri sera non è servita, il solo rumore della cerniera della tenda accanto ci ha fatto aprire gli occhi ed uscire poco dopo nel freddo pungente della notte. Una tazza di caffè solubile per scaldarci le mani e lo spirito e poi via, in questa notte senza luna con un cielo impressionantemente pieno di stelle il cui chiarore ci rende appena percepibile la massa nera che lentamente andiamo ad affrontare. Più in alto si vedono i bagliori delle frontali di un piccolo gruppo partito prima di noi, la fioca luce della mia lampada a led illumina la schiena ed il passo lento e sicuro di John, la nostra guida, un gigante nero, un quintale di muscoli e la calma sicura dell’uomo di montagna che ha poche, misurate ed essenziali parole ed un largo sorriso rassicurante; dietro a noi seguono i cinque portatori che ci hanno accompagnato in questi giorni trasportando i viveri e le tende nel lungo avvicinamento, smontando e rimontando il campo a tempo di record; più sotto altre luci salgono con pari lentezza zigzagando tra i massi di pietra scura i cui cristalli levigati da antico ghiaccio brillano.

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Cinque giorni fa al Naro Moru River Lodge abbiamo conosciuto i nostri compagni di viaggio in una stanza spoglia dove lungo una parete stavano allineati zaini di ogni dimensione, borsoni e sacche con tende e attrezzature; John ci aveva dato il benvenuto squadrandoci e facendo tutte le domande necessarie per sapere se questi due turisti avrebbero potuto metterlo nei guai o se la sarebbero cavata, aveva controllato la nostra attrezzatura ed il vestiario, ci aveva illustrato i dettagli dell’avvicinamento su una vecchia carta plastificata incollata al piano della scrivania a cui sedeva: un percorso a semicerchio attraverso i rilievi di quello che era stato un antichissimo vulcano fino a raggiungerne il cuore, un’enorme massa scura di pietra ignea, la vecchia caldera raffreddata che aveva resistito nei millenni mentre dintorno le rocce esterne più morbide avevano ceduto ai ghiacci e ai venti sbriciolandosi e formando quei profili arrotondati che avremmo percorso. Lì, a pochi centimetri dalla linea dell’equatore, la nostra mèta, Punta Lenana 4985 metri, l’unica vetta del Monte Kenya raggiungibile con percorso escursionistico.

Poi c’è stato l’avventuroso avvicinamento sulle polverose e sconnesse piste di terra rossa a bordo di una rumorosa Jeep stipata di uomini e zaini, il lungo percorso a piedi dalla porta nord del Parco Nazionale, cinque giorni e quattro notti assolutamente lontani da ogni luogo abitato, immersi nella natura prorompente di un’Africa sconosciuta ed inaspettata; l’incontro con i grandi rapaci ed i piccoli roditori per niente intimiditi dalla nostra presenza, la scoperta dei seneci e delle lobelie, piante mai viste prima, capaci di imprigionare le gocce di pioggia e di rugiada che possono salvarti dalla sete, il mancato incontro col leopardo, le cui impronte abbiamo visto al mattino attorno alle tende dove avevamo dormito, le brevi ed essenziali spiegazioni geologiche e geografiche di John, l’osservazione di un cielo antico che le luci delle nostre città ci hanno per sempre negato, l’incontro con pochi altri camminatori e con David, giovane di Tel Aviv, esperto di esplosivi ed impegnato nello sminamento in Somalia che si regalava l’impegnativa arrampicata della Punta Nelion…

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Il fiato è corto, ogni passo ed ogni metro sono sudati e guadagnati in quest’aria gelida e povera di ossigeno;John ogni tanto si ferma per farci riprendere fiato e sorridendo ci dice: “pole pole”, “piano piano”, una delle poche parole che sa di italiano, quasi un mantra, un modo di affrontare serenamente le difficoltà. Attorno a noi, tra poche chiazze di neve rimasta negli anfratti ombrosi, al brillare delle rocce si aggiunge quello della brina che rende se possibile ancora più fredda quest’ora che precede l’alba, a nord una stanca foschia distesa sulla savana ci impedisce di poter osservare nello stesso momento la stella polare e la croce del sud, lasciando però vedere la familiare geometria di Cassiopea. Si innalzano ad ovest nel cielo che lentamente si schiarisce, le sagome delle cime Nelion e Batian mentre davanti a noi ormai poche decine di metri ci separano dalla nostra mèta; un ultimo sforzo, una breve arrampicata e siamo in cima, non si può salire oltre. Il gruppo che ci precedeva si è sistemato al riparo dal vento e si rifocilla, quello che segue in breve ci raggiunge. Un saluto, qualche stretta di mano e poi nel silenzio quasi irreale, ci sediamo col viso ad est per ricevere il primo bacio del sole che non tarda a salire e ad indorare le cime dietro di noi. Lontana, sopra l’immensa savana che vive di notte e di giorno, si staglia nitida la sagoma del Kilimangiaro.

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