In memoria di Sandro Cencetti

DOLFI CENCETTICaro Sandro appena è squillato il cellulare col tuo nome, ho pensato alle tue ultime parole. “Quando stò meglio ti chiamo”; invece la voce era di Simone il figlio, mi si è gelato il sangue. Sei stato il mio migliore amico, un fratello, insieme abbiamo percorso tanta “strada” da Rover Scout, con l’invidiato clan dell’Aquila Guelfa e con gli amici del 4°. Insieme nei servizi , le gite, i campi, e in montagna sui sentieri, le vie ferrate, le creste, i bivacchi e le pareti impervie…

Abbiamo cominciato alle Cave di Maiano, su quelle rocce arenarie minate dai cavatori, ad aprire un itinerario di salita, come avevi visto in una palestra dove gli Alpini si esercitavano nelle arrampicate.  Dopo vari tentativi riuscimmo ad inficcare un anello sicuro nella roccia per agganciarci un moschettone e la corda. Avevamo letto le imprese di vari alpinisti famosi dell’epoca e così abbiamo dedicato la nostra palestra ad Emilio Comici, in contrapposizione ad un altro tentativo effettuato da Marino Fabbri, una trentina di metri più a destra, in un diedro fessurato molto friabile. Lui aveva arrampicato con il “Diavolo delle Dolomiti Tita Piaz” ed era rimasto così affascinato che pensava già, di fondare una scuola di roccia.

Bisogna pensare che a Firenze, fatta eccezione per alcuni insigni, come Fosco Maraini, Andrea Bafile, alpinista aquilano, e Piero Zaccaria, triestino accademico del CAI, ancora in buona salute , i fiorentini interessati a praticare l’alpinismo, si contavano sulle dita di una mano, di già molto agguerriti e in competizione. Insieme, dopo le  prime esperienze in montagna d’estate e d’inverno, il primo campo invernale sulle Alpi Apuane al Rifugio Del Freo alla Foce di Mosceta, con l’ascensione alla Pania della Croce, e il primo soccorso ad un alpinista scivolato su un pendio ghiacciato, proprio davanti ai nostri occhi. Il campo estivo al Lago di Misurina, dove con Paolo Gori, capo clan, e la Guida Alpina Alverà, scalasti per la Via Mazzorana, il Monte Popera, era l’agosto del 1950, e tornasti cosi entusiasta e soddisfatto per aver compiuto una bella scalata.

Ci iscrivemmo al Club Alpino Italiano, alla Sezione di Firenze ed iniziammo così le attività più specifiche. Frequentammo un corso di roccia, in Dolomiti, organizzato dalla Scuola Giorgio Graffer di Trento, al Rifugio Vajolet sotto le omonime torri. Direttore della Scuola era un bravo e famoso alpinista, Accademico del CAI, Marino Stenico coadiuvato da giovani istruttori trentini. Prima di partire per il Corso, ci allenavamo sui sentieri di Monte Morello, da Sesto Fiorentino alla cima  a passo svelto, e poi giù a rotta di collo; durante le soste, un po’ di lotta libera per rinforzare i muscoli. Finalmente partimmo  dalla Stazione di Firenze per Ora e proseguendo col treno a scartamento ridotto risalimmo la Val di Fiemme, fino a Predazzo. Il capo stazione appena vide scendere due giovani vestiti con pantaloni alla  zuava e il maglione indovinò di chi era quella grossa “balla” piena di materiale alpinistico arrivata da Firenze, e ce la consegnò. Da Predazzo col bus raggiungemmo Pera di Fassa e su verso il Gardeccia e al Vajolet.

Il corso fu molto proficuo. Scalammo le Torri del Vaojlet, la Punta Emma, il Catinaccio, non stavamo mai fermi e ci nominarono “mangiaroccia”. Con noi c’èra un altro fiorentino, Leandro Ambregi, speleologo e marmista di Trespiano,  molto appassionato della Val d’Aosta.   Ci ha lasciato pochi giorni fa, in silenzio, sicuramente immerso nelle sue montagne. Durante i viaggi in pullman o in treno o camminando, il nostro desiderio era cantare, cercavamo di imitare il coro della SAT di Trento. Con Vinicio, nostro grande amico, si cantava a tre voci; lui tenore, io baritono, e tu, il più esperto, basso. Poi con Claudio Malcapi  nel  Coro “La Martinella” del CAI Sezione di Firenze.

Con una corda di 40 metri da 12 mm. e qualche cordino da 8 mm.di “canapa”, sette, otto moschettoni di ferro e qualche chiodo ci legavamo in cordata. All’inizio tu facevi da primo, poi anch’io, presa un pò di confidenza con le difficoltà, mi azzardavo ad andare davanti.  Scalammo la Cima Piccola e la Cima Grande di Lavaredo in Dolomiti, dopo un viaggio rocambolesco in “Isomoto 125 cc.”, la strada delle Dolomiti era sterrata e portavamo uno zaino davanti e uno di dietro. In seguito sulle Alpi Apuane ci arrampicammo sulla parete nord e lo spigolo NE della Punta Carina, la Penna di Campo Catino e lo Spigolo SE della Roccandagia, la crestina del piccolo Procinto, la Bimba del Procinto. Nel tardo ottobre del 1955, la seconda ripetizione della parete nord del Pizzo d’Uccello, fu un impresa eccezionale per l’epoca. L’iniziativa era stata presa da un nostro giovane amico e mio compagno di cordata Paolo Melucci, ilquale si era procurato la relazione della prima salita effettuata nel 1940 dalla cordata Oppio-Colnaghi, una difficile via su una parete con un dislivello di oltre settecento metri. Quindici giorni prima, con Paolo, eravamo andati in esplorazione ma non eravamo riusciti a trovare l’attacco; “una fessurina obliqua” invisibile sulla grande parete. Caro Sandro quando ti proposi di riprovare solo per trovare l’attacco, rimanesti stupito e scettico, ma la curiosità prese il sopravvento, accettasti e partimmo per Equi Terme. La mattina all’alba  ci avviammo di buon passo sulla mulattiera del Solco di Equi e poi per tracce di sentiero verso il Pizzo, raggiungemmo il ghiaione e ci inerpicammo fin sotto l’incombente parete Nord. Una   placconata liscia si presentò ai nostri occhi , la situazione si complicava, dopo vari tentativi a destra e sinistra, ci fermammo ad osservare l’andamento della parete: una irregolarità nella parte destra ci insospettì; avevamo trovato l’attacco della via. Tra ninnoli e nannoli avevamo fatto mezzogiorno, “è tardi “ esclamò Sandro, “mah … proviamo a fare un tiro di corda,” risposi e alle cinque del pomeriggio ci trovammo già oltre la metà della via, sotto un camino-fessura, il tratto più difficile. Alla fine di ottobre il buio arriva presto e dovemmo prepararci per un bivacco. Ci accomodammo nel camino, seduti sopra un cordino teso tra le due pareti e passammo la notte con due prugne e una sigaretta. La mattina raggiungemmo la vetta e dopo un lungo giro Equi Terme dove divorammo una zuppiera di  “stracciatella”.

Con la SUCAI organizzammo gite in Alpi Apuane, Monte Sagro, Pania Secca, lo spigolo SE, Pania della Croce invernale, ecc… A Monterosso al Mare, un pescatore con la barca, ci  portò all’attacco dello spigolo di Punta Mesco, uno sperone di roccia che avevamo notato qualche tempo prima durante una gita con amici , fu una divertente e originale “ prima” salita.

Nel frattempo tu avevi conosciuto una stupenda fanciulla bionda, la portammo a scalare sulla Penna di Campocatino per lo spigolo SE. Poi ti sposasti e andasti in America per lavoro, quando sei tornato, diversi anni dopo, ci siamo ritrovati in montagna a Falcade con tutti i nostri  Figli…

Giancarlo Dolfi

 

Condividi questo articolo attraverso i tuoi canali social!

Lascia un commento