Giuseppe Occhialini di Andrea Tozzi

Annuario 2013 – GIUSEPPE CCHIALINI dall’Antro del Corchia al K2

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Giuseppe Occhialini, a destra, con i Premi Nobel per la Fisica Cecil Frank Powell (a sinistra) e Patrick Maynard Stuart Blackett (al centro). foto: Università Bocconi di Milano

Milano, 1953. M’immagino l’austero Prof. Ardito Desio nel suo ufficio preso dai lunghi e difficili preparativi della spedizione italiana al K2. L’Italia è uscita malconcia dalla guerra, ma la ripresa economica di quegli anni è netta, la voglia

di fare è tanta e la necessità di eroi e imprese è sentita molto in tutto il nostro Paese e lui ne è ben conscio. Niente è lasciato al caso in quell’esplorazione al limite del possibile: ogni singolo alpinista è sottoposto ad attenti esami clinici per valutarne la preparazione fisica e l’idoneità alla missione, i resoconti tecnico scientifici della spedizione saranno raccolti in ben undici mastodontici volumi. Un lavoro straordinario per un’impresa straordinaria.

Ecco che un suo collega bussa alla porta, entra con fare disinvolto e gli fa una richiesta alquanto strampalata del tipo se poteva, per cortesia, portar su al K2 un pacco di lastre fotografiche. Mi vedo il Professore tentato dal farlo buttar fuori a pedate, ma ha davanti a se il collega Giuseppe Paolo Stanislao Occhialini, meglio noto come Beppo, classe 1907, stimato fisico di fama mondiale e quasi premio Nobel insieme a Powell, nel 1950 (oggi si direbbe escluso per problemi geopolitici) per la scoperta dei pioni o mesone pigreco.

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Giuseppe Occhialini – foto del 1925 (Universita Degli Studi di Milano Bicocca)

Affare non da poco: in quegli anni si stava cercando di capire come funzionassero le forze nucleari che tengono insieme le particelle che compongono i nuclei degli atomi e la tecnica di osservazione e misura, messa a punto da Powell e da Occhialini, detta “in coincidenza”, era come aver messo un microscopio di fronte agli occhi di Pasteur. Ed era lo stesso tipo che a detta di Patrick Blackett, Nobel in fisica nel 1948 e grande amico e mentore di Beppo, se “Occhialini non si fosse preso una lunga vacanza” avrebbe scoperto il positrone prima di Anderson, che per tale scoperta gli fu assegnato il Nobel in fisica nel 1932. Quindi meritava la sua attenzione, anche se a ben vedere quel Beppo assomigliava un pò troppo a quel tipo lì… come si chiama… ah, Bonatti… mah!

E forse, chissà, Occhialini nel formulare la sua proposta di trasporto in quota, avrà pure fatto trapelare la sua preparazione alpinistica, anche se a dire il vero più speleologica che non di alta quota. Ma sicuramente non ci sperava troppo in una sua eventuale presenza nel gruppo di Desio… “figurarsi che questo ha fatto escludere anche Cassin dal gruppo di alpinisti che tenterà la vetta del K2”, avrà pensato il buon fisico. Le lastre furono comunque prese in carico dalla missione e trasportate davvero nel lontano Karakorum, pronte a essere trasportate in quota. Il pacco fu, m’immagino, caricato di malavoglia sugli zaini e portato fin sullo Sperone degli Abruzzi e là “dimenticato”, verso quota 7.000, dai conquistatori del K2 che al ritorno ben si ricordarono della cosa tanto da fargli dire che le lastre eran lassù, “chi vuole può salire a riprenderle!”.

Diciamolo: non fu una delle misurazioni scientifiche meglio riuscite di Occhialini, ma l’idea era buona, davvero buona! Si trattava di misurare il flusso dei raggi cosmici andando a misurare quanto e come l’emulsione fotografica si era impressionata stando in quota, in un luogo cioè in cui lo schermo prodotto dall’aria che circonda il nostro pianeta è ridotto. Misure del genere già le aveva fatte esponendo delle lastre al Pic Du Midi, sui Pirenei, vicino alla sede dell’attuale osservatorio astronomico.

Occhialini si era laureato all’Istituto di Fisica di Firenze ad Arcetri, nel 1929, con una tesi sui “Raggi cosmici” appunto e ad Arcetri fu Assistente fino alla sua partenza per l’Inghilterra avendo, il buon Beppo, due grandi preoccupazioni all’epoca: “come evitare il servizio militare e come fare una camera di Wilson di un metro di diametro”, com’ebbe a dire Emilio Segrè, uno dei Ragazzi di Via Panisperna, qualche anno dopo. Per inciso, giusto per ricordare come il mondo sia piccolo, Wilson è quello che inventò la camera a nebbia nel tentativo di spiegare le “glorie” (vedi articolo “Glorie nell’alto dei monti!, Annuario CAI Firenze 2012, p.42) e per cui prese il Nobel nel 1927. L’occasione di lasciare Arcetri e l’Italia gli si presentò nel 1931 grazie a una lettera di presentazione di Bruno Rossi e a una borsa di studio del CNR. Raggiunse il Cavendish Laboratory a Cambridge dove ebbe l’opportunità di lavorare con grandi scienziati dello spessore di Blackett e conoscere addirittura Rutherford, padre della fisica atomica e scopritore della struttura dell’atomo. Dal 1934 al 1937 tornerà ad Arcetri, ma vista la sua poca affinità con il regime fascista, ripartirà alla volta del Brasile per riapprodare in Inghilterra nel 1944, questa volta a Bristol dove riprenderà la sua vecchia passione inaugurata ad Arcetri per i raggi cosmici. Qui, con l’aiuto dei tecnici della ILford, modificherà alcune lastre fotografiche commerciali per renderle degli straordinari strumenti d’individuazione di particelle elementari.

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Occhialini nella Gouffre de la Pierre Saint Martin (foto Montagne 360)

Fu da questi primi studi che avvenne il primo test serio presso, appunto, il Pic Du Midi: Beppo, appassionato alpinista, trasporta la nuova pellicola ILford C2 fino a quasi 3.000 metri e lassù espose quei piccoli campioni preliminari e … potere della quota: un vaso di Pandora fu aperto e l’osservazione delle emulsioni da parte di Powell e di Beppo porterà alla scoperta tre anni più tardi del pione e al conseguente Nobel (per Powell!). Nel 1950 torna definitivamente in Italia, a Milano, dove dirige un importante gruppo di ricerca sui raggi cosmici. Qui lavorerà ininterrottamente contribuendo al successo della missione spaziale COS-B per lo studio dei raggi gamma gestita dall’allora nascente Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e che permise all’Europa di primeggiare, per molti anni, sugli Stati Uniti. Contribuì in modo decisivo alla fondazione dell’attuale Agenzia Spaziale Europea (ESA). Passerà gli ultimi anni della sua vita nella casa di Marcialla, nei pressi di Barberino Val D’Elsa, per morire poi a Parigi nel 1993.

Ma Beppo non fu solo un fisico: amante dell’avventura e dell’esplorazione tout court si iscrisse, durante gli anni della laurea, al CAI Firenze di cui fu socio attivissimo del Gruppo Speleologico partecipando a esplorazioni di fama mondiale. Qui in Toscana esplorò le Apuane, in particolare l’abisso Enrico Revel che con i suoi 316 metri di scalette costituì per molto tempo la più lunga verticale unica del mondo. Per anni si dedicò all’esplorazione del Corchia, che con i suoi 75 Km è il più importante complesso ipogeo italiano: individuò la Buca di Eolo, attuale ingresso al complesso da cui poi raggiunse la profondità di 450 metri. Da segnalare che proprio quest’anno, il 10 giugno, gli è stata dedicata una targa marmorea proprio nell’Antro del Corchia. La cerimonia per commemorare lo speleologo Beppo è stata organizzata da un Comitato costituito dai Professori Giovanni Badino, Tullio Bressani, Arrigo Cigna e Francesco De Sio e dalla Fondazione Occhialini. Curiosamente dopo la posa della targa che commemora Occhialini, ne è stata posta un’altra, in un recesso non percorribile se non si è esperti, in memoria di Giulio Racah altro fisico di fama mondiale e persona trainante del gruppo di Arcetri negli anni trenta e altro speleologo poco noto ai più.

Beppo, in seguito alle sue perlustrazioni dei Pirenei armato di lastre fotografiche come poc’anzi detto, ebbe anche l’opportunità di esplorarle dal punto di vista speleologico. Di sicuro interesse, data la loro formazione principalmente calcarea, alla fine degli anni quaranta i Pirenei furono sistematicamente battuti alla ricerca di sifoni che si tentò di esplorare risalendoli da valle, ma invano. Fu Occhialini insieme a Gerges Lépineaux che nel 1950 casualmente notarono, durante una sosta, un anfratto presso il confine franco spagnolo: il lancio di un sasso dimostrò che trattavasi di un ampio e profondo pozzo non percependone neppure il rumore della caduta. Venne organizzata una prima esplorazione di quello che diventerà il noto Abisso Gouffre de la Pierre Saint Martin. Nel 1952 si procedette a una più estensiva esplorazione, forti anche di un argano elettrico. Purtroppo tale spedizione fu funestata dalla morte di Pierre Loubens alla cui cura e conforto Occhialini pare si prodigò moltissimo. Beppo fu l’unico scopritore italiano dell’ampio complesso e anche se all’esplorazione fu dato un grande risalto mediatico internazionale, la sua figura non emerse.

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Cavendish Laboratory: con la camera a nebbia controllata dai Geiger-Muller in coincidenza (foto Le Scienze)

Di Beppo sono rimaste molte tracce: a Milano dove lavorò per molti anni e dove gli è intitolato il Dipartimento di Fisica dell’Università Bicocca e una Fondazione, gli è stato intitolato un notissimo satellite dell’ASI, denominato appunto BeppoSAX per lo studio dell’astronomia X (operativo dal 1996 al 2003). Per l’Antro del Corchia, a Firenze per il suo ottantesimo compleanno, nel 1987, fu organizzato dall’Università degli Studi di Firenze un seminario-tavola rotonda a cui parteciperanno i “giovani di Arcetri” ancora viventi e il Direttore Generale dell’ESA: ricordiamo fra gli altri la presenza di Edoardo Amaldi, Bruno Rossi, Manlio Mandò, Gilberto Bernardini e Daria Bocciarelli oltre allo stesso Beppo. Ma la traccia che più mi piace ricordare, nell’illusione forse che sia stata ripresa dai posteri, è quella che lo vide sempre promotore di esplorazioni innovative e coraggiose, “gestendole con un suo stile inimitabile, basato sulle persone, sull’efficienza e sul rigore scientifico”, stile che, di questi tempi, è difficile da seguire e forse, a ben pensare, ciò non dipende dai “tempi che corrono”, sempre pessimi a detta di tutti, ma da quelli passati e dalla formazione umana che è venuta a mancare in noi, presi chissà ad inseguire quali mete effimere e superficiali, forse del tutto inutili e scontate…

Per approfondimenti: 1) “Alla scoperta dell’Universo Invisibile” di G. F. Bignami, Le Scienze, Dicembre 2007, pag. 68 2) “Lo speleologo dimenticato” di T. Bressani, A. Cigna, F. De Sio, Montagne 360°, aprile 2012, pag. 38 3) “L’Università degli Studi di Firenze nel centenario della nascita di Giuseppe Occhialini”, a cura di A. Bonetti e M. Mazzoni, Firenze University Press, 2007 4) “Personaggi e scoperte nella fisica contemporanea” di E. Segrè, Milano 1976, pp. 187-188

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Nel Laboratorio di San Paolo (foto Le scienze)
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