Del CAI Firenze, del CAI Toscana, del CAI Centrale di Roberto Masoni (*)

illus001b(* Presidente del CAI Firenze)

Non sono un campione di diplomazia, bene dirlo subito. Prometto tuttavia di impegnarmi, in quest’occasione, a scrivere almeno con tatto, con delicatezza senza usare toni polemici, comunque nel rispetto.

All’Assemblea Generale dei Delegati del maggio scorso, a Torino, è stato donato a tutti i Presidenti di Sezione un volume dal titolo “Il libro”, un bel volume che ho letto con molto interesse e che racconta i 150 anni di vita del CAI. Un libro molto curato nel suo complesso, arricchito da una puntuale ricerca storica che illustra lo spessore di quello straordinario patrimonio 

culturale, nei molteplici settori di competenza, che solo il Club Alpino Italiano possiede, l’unica Associazione oltretutto che si propone come un modello unitario su quei valori che la Montagna comunica attraverso la pratica disinteressata, il piacere e talvolta, purtroppo, il sacrificio di chi la frequenta. Valori diversi eppure ciascuno importante, devo dire, che approfondivo in una mia lontana serata nella quale spiegavo le tipicità di chi “vive per la montagna, della montagna, con la montagna”. Temi banali forse, ma io credo fondamentali per capire appieno le origini della nostra passione che sfociano, poi, nell’attaccamento nei confronti del Club Alpino Italiano.

Iniziata la lettura de “Il libro” l’impressione è positiva, l’impegno storico è notevole, forse troppo sbilanciato sulle dinamiche torinesi ma questa, d’altronde, è la chiave di lettura del volume, va bene così. Arrivato a pag. 130, la firma è di Cesare Isaia, leggo: “dal 1865 (il Club Alpino Italiano) contò la prima succursale in Aosta, a cui si aggiunsero nel 1867 quella di Varallo; nel 1869 quelle di Agordo, Domodossola e Firenze”.

Avverto un pò di malumore. “Ci risiamo con questa storia delle succursali …” mi dico, la poltrona dove siedo si fa improvvisamente meno comoda ma dura solo il tempo di qualche minuto, è sufficiente arrivare alla pagina successiva per riabbassare velocemente la pressione. Viene riproposta la relazione del 1874 di Orazio Spanna già Presidente della Sede Centrale e, a un tempo, anche della Sezione torinese: “Costituitosi il Club Alpino Italiano sul finire del 1863 in Torino […] non è che qualche anno dopo che cominciarono a costituirsi delle Sedi succursali in Aosta, Firenze, Varallo, Domodossola ed Agordo”. Va già meglio. Non è esattamente così ma va già meglio.

Vado avanti nella lettura, scrive Isaia come nel 1865 si verificò “… l’apertura di una prima Sede succursale in Aosta nel palazzo Municipale, dotata di libri, carte ed attrezzi ad uso degli alpinisti. Ecco il nocciolino delle Sedi succursali, donde procedettero poscia le Sezioni del CAI”. Approfitto per ricordare che bisognerà arrivare al marzo del 1873 per vedere compiuto questo percorso grazie a un nuovo Statuto al quale accenna Spanna nella Sua relazione del 1874: “Il nuovo Statuto […] del marzo 1873 toglieva alle Sedi quel carattere di diramazione della Sede di Torino, concedendo loro un’ampia autonomia […]Cangiato il nome di Sedi in quello di Sezioni …”. Una modifica all’ordinamento che già Igino Cocchi, nostro fondatore e primo Presidente, aveva ventilato in occasione della 140 ANNI RIPULITAcostituzione del Club Alpino in Firenze, già il 1 luglio 1868. Sosteneva infatti come il concetto di Sezione, o di “Circolo”, fosse “il più conveniente per l’istituzione del Club Alpino in Firenze come in altre cospicue città del Regno, di considerare il Club diviso in Sezioni o Circoli aventi ciascuno la sua Direzione locale”. Ecco dunque la parola magica, “Sezione”, formulata da Cocchi all’allora Presidente Generale Bartolomeo Gastaldi, tant’è che è a Cocchi che dobbiamo il termine poi usato per l’ordinamento del CAI. Una parola che conteneva e faceva proprio quel concetto di autonomia fino allora improbabile su scala nazionale per tutta una serie di motivi. Per questo Gastaldi ritenne la proposta di Cocchi prematura ma certo non campata in aria, tant’è che concesse a Firenze e Agordo, per prime, quell’autonomia tanto invocata da Igino Cocchi che aveva indubbiamente al centro l’indipendenza amministrativa, un’indipendenza che Aosta e Varallo, essendo ancora configurate come “Succursali” risultavano ancora non possedere.

Vado avanti nella lettura. Il contributo di Cesare Isaia termina a pag. 146 con una tabella, quella che in baso vedete, spontaneamente nata, io credo, per farmi schizzare di nuovo la pressione alle stelle.

Dirò allora, per venire alla questione sul tavolo, che i Soci del CAI Firenze non perderanno certo il sonno se siamo terzi, quinti, sesti o come meglio soddisfa. Non è questo il punto. Non lo è perché noi sappiamo, ciascuno di noi sa, quale sia stato negli anni lo straordinario contributo dato dal CAI Firenze al nostro Sodalizio a cominciare da quanto detto fino ad ora. E poi, permettetemi la libertà … la storia insegna che i fiorentini, per quanto lungi dall’essere perfetti e anzi affabilmente presuntuosi, non hanno mai dato grande peso alle graduatorie, alle patacche, ai titoli. Ad avvalorare la tesi vi sono multeplici episodi, ne racconto uno che farà sorridere. Una vicenda che fa da sfondo alla nostra data di fondazione quando ruotava di bocca in bocca per le strade di Firenze una filastrocca che accompagnò la breve stagione di Firenze Capitale, la filastrocca diceva “Torino piange perchè il Prence parte, Roma esulta perché il Prence arriva. Firenze, culla dell’Arte, se ne frega di chi parte e di chi arriva”. Era forse un’esagerazione? Certo che sì e certo non aiutò a farsi simpatie nelle due città ma fra tanta goliardia c’è tuttavia un aspetto, forse l’unico, che urta la nostra suscettibilità: negarci l’orgoglio della storia, l’unica ragione per la quale a un fiorentino il malumore nasce istintivo, prima silenzioso per poi trasformarsi in un urlo che rimbomba sulle pareti delle vene.

E poiché credo di conoscere almeno un minimo della storia della nostra comunità, quella cioè del CAI Firenze, mi permetto di puntualizzare, una volta di più, alcuni aspetti della questione. Approfondimenti che scaturiscono da un esame più attento della nostra stampa sociale, da documenti ufficiali e quindi, lo dico senza alcuna animosità, compito che avrebbe dovuto esser fatto proprio dai Redattori de “Il Libro”.

Partirei da una certezza, da una data che, come un calcio di rigore fischiato dall’arbitro, non può essere evitata, il 1 luglio del 1868. In quell’occasione i nostri padri fondatori, riuniti nel Gabinetto di Geologia del Regio Museo di Fisica e Storia Naturale meglio conosciuto come “Specola”, dettero vita al Club Alpino in Firenze. Redassero un “Verbale della seduta” sul quale scrissero l’intestazione “Club Alpino in Firenze”. Il 1 luglio del 1868 Igino Cocchi, Felice Giordano, G. Battista Rimini e altri costituirono con atto formale la Succursale di Firenze (non ho quindi ancora parlato di Sezione) che già dal 17 dicembre 1868 fu autorizzata dalla Sede Centrale, insieme a quella di Agordo, nata proprio in quella data, a godere della propria autonomia. E’ questa autonomia a darci il riconoscimento di “Sezione”. Cocchi e compagni non fondarono il dopolavoro “X”, il circolo ricreativo “Y”, fondarono il “Club Alpino in Firenze”. Le cosiddette succursali erano quindi, a quella data, emanazione della sede, certo non erano autonome come Firenze, prima, e Agordo, dopo. Certo e per più motivi non erano “Sezioni”, lo scrive lo stesso Isaia.

Ma vediamo di fare ancora maggiore chiarezza, cosa nella quale molto sono stato aiutato anche dal nostro Archivio Storico. Chiarezza che spero sia di utilità per tutti.

La prima Succursale del Club Alpino Italiano è quella di Aosta nata il 31 maggio 1866. La seconda Succursale è quella di Varallo nata il 25 giugno 1867. Questo è il primo dato, indiscutibile. La terza Succursale è quindi quella di Firenze nata con l’adunanza del 1 luglio 1868. In tale riunione viene dato incarico al Prof. Igino Cocchi, al Barone Federico Savio, all’Ing. Felice Giordano, al Sig. Giuseppe Heimann e all’Ing. Antonio Fabbri di farsi promotori presso la Sede Centrale del progetto di riorganizzazione territoriale del CAI. Il 17 dicembre 1868 il Consiglio Direttivo del Club Centrale approverà il progetto per la realizzazione della Sede (e quindi leggete Sezione) di Firenze e di Agordo.
La seconda adunanza della Sede di Firenze si tiene il 12 gennaio 1869. E’ in questa riunione, 26 giorni dopo quindi l’approvazione da parte della Sede Centrale, che Firenze decide di costituirsi in Sede CAI Fiorentina e si incarica di redigere un progetto di Statuto di cui si occuperanno gli stessi Cocchi, Budden e Giordano. Questo diverrà il modello per tutte le Sedi che seguiranno. L’11 febbraio 1869, nel corso dell’adunanza del CAI Centrale, alla presenza di 18 Soci, Budden espone il progetto di Statuto che sarà approvato senza alcuna osservazione salvo due punti: l’obbligazione per i Soci di iscrizione annuale (fino ad allora triennale) e la conferma della quota da corrispondere alla Sede Centrale in misura della metà.

Il 15 febbraio 1869 nei locali della Società Geografica, e quindi solo tre giorni dopo l’Assemblea Centrale, si svolge l’Assemblea Generale dei Soci del CAI Firenze. E’ in questa sede che viene approvato lo Statuto della Sezione, il nostro primo Statuto. Fra gli aspetti più significativi, l’art. 4 che stabilisce come alla Sede Centrale andrà una parte della quota annuale di iscrizione ma mai superiore alla metà dell’importo. Viene anche stabilito che del Direttivo faranno parte nove (9) membri tra cui il Presidente (I. Cocchi abitante in via Buonarroti 13), un Vice Presidente (R. Budden, via Ricasoli 19), cinque (5) consiglieri (A. Fabbri, via Venezia 2 – S. Fenzi, Porta S. Niccolò a Rusciano – F. Giordano, via Venezia 2 – C. Giorgini, deputato, via San Sebastiano 34 – E. Vecchi, colonnello di Stato Maggiore, via della Sapienza), un Segretario (G. B. Rimini, Topografo dello Stato Maggiore), un Cassiere (G. Peyron, presso negozio in via Panzani angolo via del Giglio). Tali cariche sociali avranno la durata di un anno come da art. 7. Al momento la Sezione non gode di una propria sede, viene perciò deciso che qualunque tipo di comunicazione sia inoltrata al Segretario presso l’Uffizio del R. Corpo dello Stato Maggiore in via della Sapienza. Questo è!

Dirò per inciso che la quarta Succursale nata nell’ambito del CAI è quella di Agordo. Per l’esattezza il 17 dicembre 1868 quando l’Ing. Niccolò Pellati, amico di Quintino Sella e Direttore delle miniere di rame della valle Imperina, fonda la Società Alpina di Agordo che si propone lo scopo di studiare e valorizzare il territorio agordino e le Dolomiti Bellunesi in particolare. Lo stesso giorno il Direttivo Centrale approverà, come già accennato, la realizzazione delle due Sedi, Firenze e Agordo, e ne darà comunicazione scritta con lettera del 28 dicembre 1868. A chiusura del cerchio dirò che solo il 27 dicembre del 1869 la Direzione Centrale autorizzerà l’apertura della Sede di Domodossola nata per iniziativa dell’Ing. Giorgio Spezia, personaggio di spicco della Val d’Ossola, profondo conoscitore della valle e delle sue miniere.

Questo il dato che ci viene disconosciuto. Questo il dato scatenante il nostro malumore perché ne va della nostra storia, del nostro retaggio culturale, della nostra tradizione. Nemmeno siamo mossi da rivalità nei confronti degli amici delle altre Sezioni d’Italia, rivendichiamo il nostro passato e lo facciamo con educazione e con rispetto com’è nostro costume. Una consuetudine di cui abbiamo dato ampia dimostrazione, non una reductio ad unum.

Una provata consuetudine, direi, che mi offre l’opportunità di tornare, per una volta, al doloroso momento in cui ci è stato strappato il nostro Rifugio Firenze. Ho detto “nostro” e ho detto “strappato”, termine gentile per non usarne altri più categorici. La perdita del Rifugio Firenze è stato un dolore insopportabile, un dolore di crudele amarezza. E allora parliamone … perchè si cammina male con i sassi nelle scarpe.

Pensare che nel 1924, quando ci venne assegnato, grazie all’insistente iniziativa di Ugo Ottolenghi di Vallepiana, non era certo agibile, era solo un cumulo di macerie rette a malapena da sassi abbrustoliti dallo scoppio delle mine, in quel luogo appena fuori l’ombra della boscaglia dove regnava ancora l’odore delle fosse, l’odore dei gas. Ma Noi del CAI Firenze (ho detto Noi) lo abbiamo reso agibile, ci siamo rimboccati le maniche contribuendo ciascuno di noi, economicamente, con il lavoro o anche solo con l’impegno istituzionale, per ampliarlo, accudirlo, tutelarlo, gestirlo con maestrìa per 80 lunghi anni, lo abbiamo reso un gioiello. Ci siamo meravigliati di noi stessi quando ci scoprivamo ad accarezzarne inconsciamente e con amore anche solo le staccionate in legno o quando timidamente, senza essere visti, prendevamo il fazzoletto dalla tasca dei pantaloni, talvolta alla zuava, per togliere la polvere dal simbolo del Club Alpino Italiano. Vedere il proprio nome incorniciato all’ingresso, accanto al bar, rimane per coloro che, come me, sono stati a lungo Consiglieri del Club Alpino Italiano di Firenze, uno dei ricordi più struggenti. Ma la verità purtroppo è un’altra, i nostri Soci la conoscono, inutile ripeterla.

E sanno pure che nessuno, anche vagamente per un attimo, si è concesso al pensiero che per noi il Rifugio Firenze non era solo amore, sentimento ma anche la nostra maggiore fonte di profitto. Eppure anche in questa occasione i fiorentini, affabili presuntuosi e certo non bischeri, si sono comportati con educazione e con generosità, come sempre, come facciamo oggi certi della legge dei forti, nel rivendicare il nostro ruolo di prima, storica Sezione del Club Alpino Italiano. Nessuno s’illuda, lo dico quietamente senza rancore, seguiteremo a considerarci tale aspettando con serenità il 2018 per festeggiare, accompagnati dalle note dell’Inno di Mameli, i nostri primi 150 anni di vita. Che piaccia o no.

E poiché sono avvezzo a fare le cose alla luce del giorno voglio dire due parole, come anticipavo nel mio editoriale, su due Commissioni del CAI Firenze, quella di Tutela Ambiente Montano e quella Scientifica, giusto per attirare nuove simpatie sulla mia persona e non farmi mancare niente. Voglio ricordare infatti , a tutti, che il Club Alpino Italiano è la prima associazione ambientalista d’Italia, poco ci importa cosa ne pensino altri tipi di associazionismo, noi siamo i primi. Lo dimentichiamo troppo spesso.

Nel 1863, quando fu fondato il CAI i nostri padri fondatori scrissero all’art. 1 del neo Statuto: “Il Club alpino italiano (C.A.I), fondato in Torino nell’anno 1863 per iniziativa di Quintino Sella, libera associazione nazionale, ha per iscopo l’alpinismo in ogni sua manifestazione, la conoscenza e lo studio delle montagne, specialmente di quelle italiane, e la difesa del loro ambiente naturale”.

Perché questo discorso. Perché il CAI Firenze ricostituendo dopo anni di noncuranza la Commissione TAM voleva dare il segnale di quanto sia necessario fare di più sotto il profilo ambientale nonostante fino ad oggi, e sia ben chiaro anche per quanto ci riguarda, si sia realizzato poco. Occorre fare qualcosa di più, muovere l’opinione pubblica, denunciare i tanti delitti ambientali del nostro territorio, Regione intesa. Non me ne vogliano gli amici della Commissione Regionale che so lavorare molto e con profitto. Ma credo vi sia necessità di un maggiore sforzo. Noi del CAI Firenze ci proveremo.

Nella stessa misura in cui il nostro statuto parla di ambiente altrettanto fa della conoscenza e dello studio delle montagne. Per questo abbiamo, per la prima volta a Firenze, costituito una Commissione Scientifica, perché io credo sia fondamentale per il nostro ordinamento la presenza di commissioni che, nei vari settori di competenza, riflettono gli scopi primari del nostro Club.

Parlavo delle mie intenzioni di confrontarmi alla luce del sole, lo faccio dicendo che della Commissione Scientifica del CAI Firenze fanno parte, per unione di intenti, anche altri Soci provenienti da altre Sezioni toscane, inutile celarlo. Non tanto, badate bene, per una forma di antagonismo nei confronti dei nostri organi regionali, ci mancherebbe, ma perché credo ne sia stata rilevata la necessità. Sotto questo aspetto, l’amico Manfredo al quale sono legato da sincera amicizia non me ne voglia, il Direttivo Regionale ha perso ad oggi un’occasione. Spero vi sia ancora tempo per una riflessione. Mi auguro che questo mio contributo venga colto come una opportunità. Spero ne venga apprezzata, pur nell’ostinazione di qualche tratto, la misura, il rispetto e, soprattutto il desiderio di costruire nel nome del Club Alpino Italiano.

Lunga vita al nostro Sodalizio, lunga vita al CAI Firenze.

Roberto Masoni

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