La “Linea Verde” a Vidiciatico di Sergio Cecchi

Cannone USA Su MuloAnnuario 2013

Nel 1944 la guerra stava distruggendo tutta l’Europa; in Italia, l’esercito tedesco era costretto a ripiegare verso il Nord, secondo una “ritirata combattuta” che tanti lutti ha provocato nella nostra penisola e l’Alto Comando tedesco aveva predisposto la costruzione di una linea difensiva che seguisse le difese naturali offerte dall’Appennino Tosco-Emiliano-Romagnolo, da Massa a Pesaro, per una lunghezza di trecento chilometri.

Questa linea difensiva entrerà nella storia con il nome sbagliato di “linea gotica”. Infatti, Hitler personalmente scelse questo nome, in tedesco Goten Stellung, ma poco dopo lo cambiò in “linea verde” (Grune Linie). Il termine di linea “gotica” sembrava troppo altisonante di fronte a un’eventuale sconfitta e aveva avuto vita breve ma, come spesso succede, tutti continuarono a chiamarla così. Alla sua realizzazione avevano lavorato 50.000 operai italiani prigionieri; era stata, infatti, costituita l’organizzazione Todt e insieme a loro c’erano anche 2.000 slovacchi e 18.000 tedeschi del Genio.

La piazzetta di Vidiciatico al tempo del secondo conflitto mondiale
La piazzetta di Vidiciatico al tempo del secondo conflitto mondiale

Era maggio dell’anno scorso e l’ente Parco del Corno alle Scale era stato invitato in via del Mezzetta per una presentazione di questo territorio ricco di risorse, in particolare delle attività diciamo estive; alla fine della serata lasciarono dei volantini di attività a tema, interessanti iniziative fra cui un sentiero “sulle tracce del lupo”, uno “alla scoperta degli alberi monumentali” e infine un itinerario di scoperta della “linea verde” … nonostante la mia formazione naturalistica, quello che ha più attirato la mia attenzione è stato quest’ultimo! È stato solo l’inizio, perché sono andato a fare ricerche su altre fonti, e lo sapete che quando si comincia a trovare qualcosa poi ci s’incuriosisce ancora di più … quindi in questo 2013, dopo Forno e la Tofana, vi racconto una vicenda avvenuta nelle zone dove si svolge sempre il nostro corso di sci per i principianti.

Non c’è nessun intento ideologico e nessun indirizzo politico in questi scritti, che sono soltanto di carattere storico, trattando di avvenimenti che riguardano direttamente le nostre montagne e i nostri nonni. Oltre a questo, c’è da dire che in queste montagne si ha lo sfondamento risolutivo delle difese dell’esercito tedesco, da qui la maggior parte delle truppe alleate passerà per conquistare la pianura padana, dapprima in direzione di Bologna e Modena, poi in tutte le regioni Piemonte, Lombardia, Veneto.

Settembre 1944
Nel mese di settembre, in seguito all’avanzata degli Alleati sui Passi del Giogo e della Futa, il comando tedesco ordina un riassetto del fronte e quindi i tedeschi si ritirano dalla provincia di Firenze e il 4° corpo d’armata degli USA, agli ordini del generale Mark Clark, ne approfitta per avanzare; il 25 e 26 settembre le forze tedesche abbandonano anche il territorio del passo della Collina per concentrarsi nella zona di Porretta Terme e di Silla. Viene realizzata una seconda linea difensiva, detta linea verde 2 (è l’argomento di questo scritto) che va dall’Abetone sino a Rioveggio, attraverso il passo Radici, Cima Tauffi, Rocca Corneta, Monti Belvedere e Torraccia, Pietra Colora. Il giorno 27 una colonna di truppe germaniche sta arretrando dalla Toscana verso nord, scendendo da Madonna dell’Acero verso Vidiciatico; in prossimità di Cà Berna, i partigiani tendono un’imboscata e aprono il fuoco, ma senza colpire nessuno dei nemici. Nonostante che nelle truppe tedesche non ci siano stati morti, il 29 nel paese di Cà Berna viene organizzata la rappresaglia: esecuzioni sommarie, raggruppamento degli abitanti e bombe a mano, per un totale di ventinove caduti fra donne e bambini, da 4 a 68 anni. Ma l’eccidio peggiore si verifica a Ronchidoso, frazione di Gaggio Montano, più a nord: sessantanove morti.
In questa situazione, la divisione partigiana Modena Montagna, al comando della quale si trova Mario Ricci, nome di battaglia “Armando”, era accampata sui Monti della Riva, sopra Madonna dell’Acero.

Comando A Gaggio Montano
il comando USA a Gaggio Montano

In seguito ai ripetuti attacchi tedeschi, il 29 settembre i parti-giani del coman-dante Armando sono indotti a lasciare la cresta e, con una marcia notturna, calano verso sud fino a Pianaccio, per prendere contat-to con la brigata Matteotti, comandata da “Toni” Giuriolo; accade così che, senza rendersene conto, l’unità Modena Montagna si trova al di là del fronte. Il 6 ottobre, Armando e gli altri comandanti partigiani s’incontrano con gli alleati e negoziano di poter continuare i combattimenti sotto il controllo del comando americano; altrimenti devono arrendersi e consegnare le armi. In particolare è affidato ai patrioti italiani il compito di riconquistare i due centri abitati principali, in ottobre: il 2 i partigiani liberano Lizzano in Belvedere, dove poi sarà stabilito il quartier generale degli alleati; l’abitato di Vidiciatico viene liberato il 17 ottobre dalle brigate Gramsci e Garibaldi.

Assestamento della situazione
Quindi la situazione, nella seconda metà di ottobre 1944, vede i tedeschi sulla cresta dei Monti della Riva (la cresta che digrada verso nord dal Corno alle Scale fino al pizzo di Campiano o Campovecchio) e sulla strada che da Querciola scende verso Gaggio Montano, oltre che in tutta la parte rimanente della provincia di Bologna; gli italiani e gli alleati lungo il torrente Dardagna e in Vidiciatico e Lizzano.

Corona
Corona

Il Comitato di Liberazione nomina Giorgio Biagi sindaco e si ha un certo ripristino della vita regolare, il comune si occupa del rifornimento di viveri e di altre mansioni. Questo dottor Biagi sarà il padre di Marco, il giuslavorista bolognese ucciso nel 2002. Non è parente invece del giornalista Enzo (anche lui di queste parti) il quale allora è molto giovane, è passato in clandestinità e scrive per un bollettino antifascista. Il Monte Belvedere è un’altura di 1140 metri che domina le frazioni di Querciola e di Corona, nella zona occupata dalle truppe germaniche; a vederlo oggi, è solo una grossa collina dalle dolci pendenze, con appezzamenti coltivati e boschi. Il 28 ottobre, durante un incontro fra gli ufficiali alleati e i comandanti partigiani, si concorda un assalto al sistema difensivo tedesco e gli accordi stabiliscono che i partigiani attacchino il monte Belvedere mentre gli americani avrebbero, alla fine, inviato rinforzi. Durante la notte, si organizzano tre brigate d’assalto, con partigiani delle formazioni garibaldine, di Giustizia e Libertà e della Matteotti; la mattina del 29, nella nebbia, i patrioti sferrano l’attacco e i tedeschi sono colti di sorpresa. La situazione peggiora improvvisamente perché, una volta occupate tre frazioni e il monte, i promessi rinforzi non arrivano; i partigiani, sottoposti alle cannonate tedesche, ricevono l’ordine di ripiegare mentre gli ufficiali USA assistono a tutta l’operazione da Vidiciatico e alla fine quest’azione è considerata come una prova generale.

L’assalto di novembre
Arriviamo ora a metà novembre, quando i comandi alleati individuano questa zona come determinante per “sfondare” la Linea Verde verso Modena e Bologna. Arrivano in questa regione altre forze alleate, fra cui la “Força Expedicionaria Brasileira”, che avrà grande importanza nei successivi eventi in queste vallate. Con la convergenza di elementi provenienti da brigate partigiane e truppe alleate, viene formata la “Task Force 45” che però avrà vita breve, sostituita dal coordinamento alleato con sede in Lizzano; invece a Lucca si era stabilito il comando del 4° corpo d’armata nordamericano. Il 18 di novembre, la T. F. 45 riceve l’ordine di ritentare l’assalto al monte Belvedere e inoltre catturare i monti Castello, Torraccia e Terminale; si tratta di quei poggi intorno ai 900 metri che si trovano più a nord, oltre Querciola e Gaggio Montano. Muovono tre diversi gruppi d’assalto la mattina del 24, purtroppo senza l’appoggio delle forze aeree a causa della nebbia (un’altra volta !); nel primo pomeriggio il primo gruppo di assalto, formato da statunitensi e partigiani, prende Querciola, al tramonto conquista Corona. Lungo la seconda direttrice di attacco, la 92° divisione fanteria USA “Buffalo soldiers” (si tratta degli afroamericani) si muove verso i monti senza raggiungerli; lungo la terza direttrice di attacco, i brasiliani invece sono costretti a ritirarsi dopo una giornata di combattimenti. Il giorno venticinque i primi due gruppi d’attacco guadagnano terreno, in particolare il primo. Nei giorni 26 e 27 arrivano i rinforzi, ma il 28 le truppe tedesche lanciano un contrattacco in tutto il settore, riconquistando il monte Belvedere e inducendo anche il secondo gruppo a ritirarsi dalla Corona. Il 29 novembre c’è l’ultimo tentativo, da parte delle truppe brasiliane, verso monte Castello, ma dopo sei giorni di combattimenti, le posizioni restano sostanzialmente invariate.
l’offensiva di dicembre

Mentre nelle rimanenti regioni interessate dalla Linea Verde, le truppe alleate si concedono mesi di tregua, anche perché impegnate a rinforzare i fronti nel resto d’Europa, il 12 dicembre le truppe brasiliane tornano all’assalto, con l’appoggio dei partigiani e della 45° Task Force. La stessa azione è utilizzata per tre assalti, a Monte Castello, a Rocca Corneta e alla Corona, ma alla conquista da parte degli alleati segue un duro contrattacco tedesco e la ritirata. Dopo due attacchi non riusciti, il soprannome dato dai brasiliani al Monte Castello era monte “della preoccupazione”.

A questo punto è necessaria una divagazione: bisogna parlare un momento di un patriota quarantenne, Antonio Giuriolo, nome di battaglia “capitano Toni”. Era un vicentino, laureato in lettere, insegnante precario per aver rifiutato la tessera fascista, condivideva gli ideali della nonviolenza e della non collaborazione. L’8 settembre 1943 si trovava sotto le armi, a Longarone nel 7° Alpini; entrò nella Resistenza e operò nel bellunese. Nella foto lo vediamo in un momento di riposo alla Capanna Segantini. Nel 1944, ferito a una mano, viene curato a Bologna e, dopo essere guarito, non rientra in Veneto ma accetta di riorganizzare una formazione partigiana locale, la 3° Brigata Matteotti Montagna. Sotto il suo comando la brigata combatte intensamente contro le truppe tedesche nell’alta valle del Reno e, in particolare, contribuisce alla liberazione di Granaglione e Porretta.

Generale e Uff Si Arrendono
La resa

Il 12 dicembre, i partigiani del capitano Toni hanno l’incarico di attaccare, sulla destra dello schieramento offensivo, la frazione Corona; entrano in paese ma dal monte Belvedere riprende il fuoco e gli uomini della “Matteotti” sono isolati e devono ritirarsi. Toni cerca di disciplinare la ritirata e mettere in salvo i feriti; raffiche di mitra lo colpiscono mentre si trova accanto al compagno più giovane. Il suo corpo sarà poi recuperato nella neve il 20 febbraio ‘45, durante il successivo assalto, diciamo che è stato conservato dalle basse temperature per due mesi. Morto lui, la brigata non elegge ufficialmente un altro comandante, subentra al suo posto il bolognese Mario Bacchelli.

L’operazione “encore”.Vediamo ora come si stabilizza la situazione a cavallo fra il ’44 e il ’45. La linea difensiva tedesca parte dal Monte Spigolino, segue il crinale dei monti della Riva, fa una curva ad angolo retto per scendere a Rocca Corneta e risale poi al monte Belvedere (che è il cardine di questa zona) per poi piegare di nuovo verso nord attraverso i monti Gorgolesco, Torraccia, Castello. Tutta la zona è piena di ostacoli naturali e, nel corso dei mesi invernali, la Wermacht migliora le difese con campi minati, rifugi interrati, reticolati, nidi di mitragliatrici e posti di osservazione sulle cime, tutto ben mimetizzato. Questo settore è tenuto dalla “232° Infanterie Division”, con l’aiuto di altri battaglioni di genieri, fucilieri, unità di artiglieria e infine un battaglione di “jager” (i “cacciatori delle Alpi”).

È in questo quadro che viene organizzata l’operazione Encore; il nome significa “ripetizione” e non è escluso che facesse riferimento all’insuccesso degli attacchi americani e brasiliani del novembre 1944. Dopo l’Epifania, giungono nella zona di Vidiciatico le prime unità della 10° Mountain Division, una formazione nuova, costituita de tre battaglioni, che è l’equivalente USA dei nostri alpini; sono sbarcati a Napoli, si sono trasferiti a Campo Tizzoro, hanno svolto un lungo addestramento ma è la prima volta che si trovano al fronte e durante il mese di gennaio si spostano a Lizzano e iniziano a svolgere una intensa attività di pattugliamento e piccoli scontri a fuoco.

Sono comandati da un veterano della prima guerra mondiale, il maggiore generale P. Hayes; non sono molto considerati all’interno delle truppe USA, anzi gli altri soldati li sfottono in quanto montanari. All’inizio di febbraio la 10° è rafforzata da altre unità, compresa l’artiglieria e quindi non è più una divisione leggera.

La prima fase si svolge sui monti della Riva, che gli alleati chiamano “Riva Ridge”: si tratta, come si può vedere anche dal pullman, sulla strada che sale al Corno, di una vera muraglia naturale, con pendenze del 30-40 per cento e dislivelli intorno ai 500 metri. Il comando alleato si era reso conto, dopo gli assalti di novembre e dicembre, che sarebbe stato impossibile avanzare verso il monte Belvedere senza prima avere il controllo del crinale della Riva e in particolare del Pizzo di Campovecchio (sulle nostre cartine denominato Campiano), posizione che domina il passo che porta da Querciola a Fanano e che permette ai tedeschi di tenere sotto il tiro dell’artiglieria la zona di Rocca Corneta e di Corona.

L’assalto a “Riva Ridge”
È progettato per la notte di domenica 18 febbraio l’attacco da parte degli “alpini” americani l’assalto a “Riva Ridge” con il crinale ancora coperto di neve ghiacciata; sono stati scelti proprio perché montanari, hanno davanti almeno due ore di dura salita nel buio. Li trasportano sui camion dopo il tramonto oltre il torrente Dardagna, alla base della salita, con il divieto di accendere sigarette e di parlare ad alta voce; le compagnie sono guidate da partigiani locali lungo cinque direttrici di assalto contemporaneamente. I tedeschi sono colti di sorpresa e, anche se oppongono dura resistenza appostati dietro cumuli di neve, all’alba tutti gli obiettivi prefissati sono conquistati. Durante la mattina si hanno diverse controffensive tedesche, in particolare al centro del crinale della Riva, ma infruttuose e lunedì 19 il generale Mark Clark si complimenta con la frase “un dannato buon lavoro”. I contrattacchi germanici si ripetono anche nei giorni successivi, fino al 23, con fasi alterne: i soldati tedeschi si riparano nelle vallate a nord-ovest dei Monti della Riva a quote intorno ai 1300 metri, con neve alta un metro e da qui riescono a riconquistare il monte Serrasiccia il giorno 20, ma solo per qualche ora.

L’offensiva al Belvedere
La notte fra il 19 e 20 inizia l’assalto al Belvedere, ma l’effetto sorpresa funziona fino a un certo punto, i cannoni tedeschi (dall’alto del poggio) inchiodano uno dei battaglioni della 10° Mountain Division, mentre gli altri due riescono a raggiungere entro l’alba gli obiettivi fissati: conquistata la postazione fortificata della Corona e le località La Polla e Casa Florio. Più tardi, anche l’abitato di Pianello e tutto il versante che sale verso il monte; molti germanici si arrendono; occorre adesso occupare quest’area e infatti, per tutto il giorno 20, si lavora incessantemente per aprire varchi nei campi minati e permettere così ai carri armati di passare, in particolare sulla strada Querciola-Corona. È qui che le mine tedesche sono ancora innescate e fanno retrocedere i carri, però a metà giornata è chiaro che l’offensiva ha avuto successo; nel frattempo, il comando tedesco ha provveduto a spostare tutto il reggimento da destra a sinistra e a sostituire, nel settore destro, i fanti con i “cacciatori delle Alpi”. Il 21 febbraio (mercoledì) è il giorno della controffensiva tedesca, che però non riesce, vista l’impossibilità di muoversi senza essere bersagliati dal Pizzo di Campovecchio/Campiano. L’ultima azione di rilievo è un attacco da parte dei partigiani, programmato nella notte per liberare Rocca Corneta. Si può notare, a questo punto, che l’ingresso in campo d’ingenti truppe degli alleati mette, ovviamente, in disparte il contributo dei patrioti locali, che sono delegati a un settore laterale oppure ad attaccare i rifornimenti tedeschi con azioni improvvise, infine a guidare le truppe regolari, in pratica fare da “scout” essendo conoscitori della zona; infatti, il lunedì vengono uccisi dalle mine 4 partigiani che erano in prima linea nell’avanzata alleata.

L’assalto al monte Castello
Contemporaneamente, sull’altro fianco della linea difensiva tedesca, è programmato un assalto notturno verso il monte Gorgolesco; il giorno successivo, assalto alla Torraccia; e nel meeting degli alleati, il 16 a Lucca, gli statunitensi dispongono che i soldati brasiliani entrino in azione in direzione monte Castello il terzo giorno dell’offensiva; questo ultimo rilievo rimane fuori dalle cartine. Il 20, dopo i risultati positivi ottenuti, c’è anche un miglioramento delle condizioni meteo e a mezzanotte inizia la salita delle truppe verso la vetta tenuta dal nemico; i combattimenti sono intensi e l’avanzata è molto difficoltosa. La cima del Belvedere è oggetto di attacchi da parte dell’artiglieria e anche di caccia-bombardieri, è raggiunta dall’85° battaglione degli “alpini” USA intorno alle 10 di mattina.

Grande è l’utilità della postazione Campovecchio (o Campiano) da dove è possibile individuare le postazioni dell’artiglieria tedesca e così indirizzare il fuoco. Durante la giornata, dopo durissimi combattimenti e pesanti perdite, si può dire conquistato anche il monte Gorgolesco.

Nelle mie ricerche, ho anche trovato la traduzione di un testo in lingua tedesca, molto lungo, che narra il punto di vista degli invasori, con gli spostamenti di truppe dietro le linee, elenco completo dei battaglioni di granatieri, fucilieri ecc. e con le comunicazioni “il nemico ha raggiunto la strada”, “ritiro dall’altura 1009” “sta cambiando postazione la squadra dei radio-telegrafisti” e così via … ma questa parte ve la risparmio!

Un gruppo di soldati brasiliani
Un gruppo di soldati brasiliani

Gli “alpini” nordamericani riescono anche a calare sul versante nord, in direzione di Gaggio Montano, a Ronchidoso, dove ci fu il massacro del settembre 1944. Le truppe brasiliane sono comandate dal generale Mascarenhas e sono formate da quattro battaglioni; fino al pomeriggio del 20 hanno svolto azioni di appoggio con l’artiglieria. Il loro assalto inizia alle cinque del 21 e si svolge in contemporanea all’attacco USA verso la Torraccia. Furono necessarie dodici ore di combattimento, sotto l’intenso fuoco tedesco, ai sudamericani per conquistare monte Castello, proprio quello che avevano tentato inutilmente diversi mesi prima; invece l’azione americana non è altrettanto risolutiva e saranno necessari altri tre giorni per arrivare in cima.

Al giorno d’oggi c’è un’opera di arte moderna sulla spianata erbosa in cima al monte Castello, monumento celebrativo delle imprese dei brasiliani.

Le truppe brasiliane, dopo il 25 febbraio, contano ventidue morti e 137 feriti; hanno fatto prigionieri sessanta soldati tedeschi; gli ordini del comando alleato sono di mantenere le alture conquistate e tenersi in collegamento con le truppe USA; ai due lati della zona conquistata, il generale Da Costa collabora con i patrioti italiani e il colonnello Nelson De Melo tiene un’area nel corridoio della 10°; il comando brasiliano resta posizionato a Porretta. I battaglioni brasiliani rimarranno in questa zona e, combattendo verso nord, contribuiranno alla liberazione di altri paesi nelle vallate verso la pianura padana.

Come si diceva prima, il monte della Torraccia è più difficile, infatti in questo settore i tedeschi resistono con più ostinazione e neppure il 22 e il 23 febbraio gli attacchi riescono. Occorrerà attendere il 24, quando gli statunitensi sostituiscono i due battaglioni che combattevano da 3 giorni e 4 notti con l’87°, che era stato tenuto di riserva e così è conquistata anche l’ultima cima di questo crinale.

Per tre giorni consecutivi, i tedeschi contrattaccano ma senza riuscire, penalizzati anche dai pesanti bombardamenti aerei degli alleati; le truppe della Wermacht si trovano così senza rifornimenti e sono costrette e cedere.

Dopo la tempesta
Sabato 24 febbraio, con l’occupazione della “Riva Ridge” e di tutto il crinale compresa la vallata di Gaggio Montano, finalmente la linea del fronte si allontana da Vidiciatico e da Lizzano. In preparazione di nuove successive operazioni, le truppe del 4° corpo d’armata USA e la spedizione brasiliana eseguono un riposizionamento sul crinale, nei paesi e verso le cime delle montagne; una piccola parte del crinale è affidata ai partigiani, che sono rimasti in circa 400 uomini di tutte e tre le brigate unificate. Invece la 10° Mountain Division si prepara per successivi attacchi. Nella nostra vallata, fra morti e invalidi, la vita quotidiana fatica molto a riprendere: le case e le stalle sono distrutte, i ponti e le strade sono dissestati, i pascoli e i boschi sono danneggiati e ancora pieni di ordini bellici inesplosi, per non parlare dei campi minati; i valligiani che sono sopravvissuti son ancora psicologicamente scossi.

Nei giorni successivi, gli alleati conquistano altre postazioni lungo la Linea Verde: il 1 marzo il Monte Grande di Aiano, il 2 il Monte della Croce, e così via; questo è il vero sfondamento delle difese tedesche che sarà determinante per “invadere” la pianura padana verso Bologna. Altre zone, come il monte Folgorito presso Massa, oppure il passo del Giogo e la Colla di Casaglia, vedono dure battaglie, atti eroici e alla fine l’avanzata delle truppe alleate verso il nord, ma lo snodo decisivo è proprio la conquista del monte Belvedere. E sarà proprio la 10° Mountain Division, agli ordini del generale Hayes, protagonista della liberazione di Verona, appena sessanta giorni dopo, il 25 aprile.

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