Sci alpinismo, una volontà di azione antistress di Sergio Rinaldi

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La memoria mi porta lontano al tempo in cui le montagne non erano ancora aggredite e imbavagliate dai moderni impianti di risalita che ora invitano i “turisti” a salire in alto numerosi e più comodamente seduti ma senza durare alcuna fatica. Mi domando se queste agevolazioni della tecnica moderna siano veramente al servizio dei veri uomini di montagna oppure servano solo a curare gli interessi e il profitto di pochi per sfruttare la tendenza umana di tanti verso il risparmio energetico personale.

Forse si ha l’illusione di spostare, con questi mezzi, la montagna verso l’uomo e non viceversa. Oggi bisogna impegnarsi più profondamente perché è erroneo pensare che la montagna possa venire a noi mentre siamo noi che dobbiamo cercare di andare da lei. Però non bisogna neppure abusare e confidare troppo nella fortuna o nel destino, anche se un po’ di questa ci può evitare qualche guaio serio e imprevisto. Della montagna dobbiamo avere grande rispetto e un limitato timore reverenziale che deve sempre accompagnarci nell’avvicinarla con una certa umiltà.

Ho sentito spesso dire da diverse persone salite comodamente in funivia da Cervinia al Plateau Rosà gloriarsi nei loro racconti come se fossero state sulla vetta del Cervino. Spesso nell’uomo non c’è né umiltà né affidabilità o coerenza tra il dire e il fare e la via facile porta a volte all’inganno distorcendo la realtà delle cose. Però per un vero alpinista la sua parola risulta sempre sacrosanta e va rispettata perché esso ha saputo veramente raggiungere con le sole proprie forze il mondo misterioso di qualche cima lontana. Ciò premesso anche una rinuncia giustificata e non desiderata può essere considerata una vittoria su noi stessi perché si è riusciti a superare il nostro orgoglio personale, seppure con una nota di tristezza nel cuore per l’esito a volte sfavorevole. Chi si appresta a salire una montagna deve essere dotato di una spinta interiore molto profonda e intensa per potere affrontare anche l’incertezza e il mistero di quella nuova avventura che lo attende lassù.

Così oggi tante persone hanno disertato le piste, dopo anni di dipendenza sciistica, perché forse si sentivano intrappolate da quel meccanismo virtuale che le rendeva schiave e tendeva ad annullarne la personalità e la loro libertà di azione limitando la fiducia nelle sole proprie energie psico-fisiche. Il passaggio dell’esercizio dalle piste battute a quello scialpinistico non è sempre facile. Ci vuole una buona dose di determinazione e una predisposizione e amore per la Montagna accettandone tutti i risvolti sia positivi che negativi. Non bisogna avere fretta a bruciare le tappe per scoprire i segreti di questa nuova attività che ogni anno attira nuove generazioni di neofiti desiderosi di esibirsi con entusiasmo e acrobazie personali in questo ambiente ideale della neve fresca e vergine così selvaggia e isolata perché scarsamente contaminata dall’azione dell’uomo.

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Le Scuole di Scialpinismo, gli istruttori e gli esperti potranno agevolare teoricamente e indirizzare i principianti verso questo mondo nuovo della neve che si apre ai loro sci dotati di pelli di foca. Questa prospettiva nuova tende alla ricerca delle prove più esaltanti ed eccitanti come conforto e obiettivo verso un’attività antistress moderna e assai gratificante. Lasciare a valle le nostre preoccupazioni giornaliere e le nostre ansie, ritrovare lassù gli amici per una realizzazione comune più aggregativa e più socializzante sotto l’occhio vigile della montagna che osserva i nostri possibili errori umani. Questo è uno stimolo che ci spinge lontano da casa per impegnarci a migliorare sotto il benefico influsso di una sconosciuta scossa di adrenalina catalizzante. Riacquistare fiducia in noi stessi è il segreto per uno slancio di entusiasmo giovanile alla ricerca dell’aspetto più intimo e segreto della montagna e del suo ambiente che ci attende lassù in alto. Però le pelli di foca, i coltelli da neve dura, i ramponi, la piccozza, la pala, la sonda e l’apparecchio ricetrasmittente possono appesantire le nostre spalle per l’aggravio sullo zaino così caricato. Ma la qualità della neve ci saprà consigliare ogni volta nella scelta del materiale più idoneo da usare. Questa qualità sarà sempre una condizione difficile da prevedere da casa per la sua variabilità così complessa secondo il versante, il pendio, l’esposizione, le cornici, l’orario e la stagione relativa scelta. Lo scialpinista dovrà sempre adattarsi ad ogni situazione e alle condizioni ambientali valutandone le incognite e la loro pericolosità e non affidarsi esclusivamente alla sicurezza o alla tranquillità del proprio apparecchio ARTVA.

Bisogna sapere osare sempre con criterio considerando il pericolo incombente di qualche probabile valanga improvvisa sospesa sopra le nostre teste ben sapendo che solo 15 sono i minuti di sopravvivenza se ne siamo seppelliti sotto. Ecco allora che può essere utile l’appoggio allargato di una comitiva maggiore di tre persone, pur adottando sempre una progressione prudenziale più distanziata. La scelta del terreno più opportuno è una valutazione molto importante nello scialpinismo perché così si evita di esporsi a rischi pericolosi che mettano in forse la sicurezza della progressione. Per uno scialpinista esercitato basta un semplice colpo d’occhio per identificare l’itinerario più conveniente in un ambiente a volte complicato e insidioso come il passaggio su un ghiacciaio crepacciato, dove può essere utile usare una corda, o l’attraversamento di un canalone sottoposto a caduta di neve o di pietre. Bisogna quindi sempre ragionare ponendo una rigorosa attenzione all’ambiente che ci circonda senza farsi distrarre o incantare. Ricordarsi che spesso siamo soli e lontani da possibili punti di appoggio o di soccorso a cui non bisognerebbe mai fare troppo affidamento. Inoltre bisogna evitare di mettersi nei guai da soli pensando erroneamente che intanto qualcuno ci verrà a trovare. Questo è un gravissimo errore che spesso è trascurato non pensando al rischio e alla fatica delle persone che potrebbero venire in nostro aiuto. La montagna non è solamente apprezzata per il suo lato estetico, ma spesso essa è anche severa palestra e non perdona l’ignaro che tende a eludere o minimizzare i suoi pericoli a volte sottovalutati. Nell’incertezza di giudizio o in una situazione eccessivamente rischiosa, soprattutto in caso di maltempo, è più auspicabile avere il coraggio di fare retromarcia e rinunciare a proseguire per evitare un azzardo incerto seguendo quell’interiore e istintivo senso di sana paura che può aiutarci a scongiurare il pericolo di una disgrazia. Pure una semplice gita scialpinistica può rappresentare un banco di prova di noi stessi e delle nostre capacità intuitive aiutandoci a ragionare sulle mosse più opportune da seguire. Le piccole astuzie dettate dall’esperienza acquisita possono venirci in aiuto, ma non sempre è così, perché sotto l’affaticamento non ce ne sappiamo servire al momento più opportuno.

Per esempio se in una salita ripida di circa 30 gradi dobbiamo fare un’inversione di marcia possiamo aiutare lo sci a monte nella voltata afferrando con le braccia la gamba appesantita dalla neve che spesso forma uno zoccolo sottostante lo sci. Anche se non troppo ortodosso in questo gioco di equilibrio e di tensione nervosa si dovrà fare molto affidamento sulla nostra preparazione fisica. Inoltre si cercherà di tagliare il pendio più in basso possibile per evitare un probabile distacco di neve instabile dalle rocce soprastanti. Gli iniziati coinvolti e interessati a questo modo assai impegnativo di salire con gli sci ai piedi una montagna coperta per sei mesi l’anno dal suo bianco manto invernale sono spesso spinti dal desiderio per l’ebbrezza di una discesa entusiasmante su neve fresca dove lasciare la firma del proprio passaggio.

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Ma questa ludica gioia di vivere in allegria e in simbiosi con altri uniti dalla nostra stessa passione bisogna sapercela meritare usando i propri mezzi e la propria perseveranza che ci faranno superare anche le prove più dure e più difficoltose incontrate. Mi sovviene un grido di grande soddisfazione che mi urlò alle mie spalle l’Adele Bigagli nello scendere in sci, con grande felicità, il versante Nord della Bargetana al monte Prado: “Questa sì che è vitaaa!!“. Tale urlo di gioia mi ha sempre spronato a ricercare questi momenti entusiasmanti di grande compiacimento e di eccitazione da condividere come premio nella vita comune con tanti amici. Questa mia personale dedizione e libera scelta verso la montagna non ha la pretesa di impartire nozioni, raccomandazioni o istruzioni sull’attività scialpinistica, ma lascia ad altri docenti più qualificati di me questo delicato ma serio compito. Le mie osservazioni sono solo dettate dalla mia esperienza personale di oltre 60 anni passati a sfidare ambienti poco noti tra i rilievi alpini.

Confesso che qualche cartina topografica l’abbiamo acquistata prima di affrontare un percorso nuovo di montagna e il loro studio ci ha permesso di tracciare e scegliere un itinerario ideale. Il confronto con altri alpinisti di zone più o meno lontane ci ha suggerito di selezionare mete più interessanti. Ma anche l’appoggio importante di tanti amici ci ha supportato nella ricerca del traguardo più opportuno del momento.
Negli anni ’70 e ’80 assieme agli amici Carlo Labardi e Claudio Malcapi abbiamo dato il via, con un gruppo di circa trenta elementi, a un’attività scialpinistica più organizzata e collettiva, mirata alla scelta di itinerari sulla neve poco battuti o poco noti. Nacque così il nostro gruppo un po’ estemporaneo che battezzammo allegramente o maccheronicamente come: “Equipe Ski Alpen Patuà Valdoten“. Questo gruppo un po’ criticato perché in completa autonomia rispetto ai programmi gite del CAI Firenze assunse l’iniziativa per una programmazione settimanale di uscite al sabato nella ricerca di percorsi più o meno conosciuti e adatti allo sci, sulle tracce ereditate dai nostri precursori Andrea Bafile e Arturo Ponticelli. In questa attività si cercò di racimolare tanti vecchi e nuovi amici anche tra gli allievi usciti dalla Scuola di Scialpinismo del CAI Firenze. Si privilegiò chi possedeva già una tecnica sciistica medio alta per indirizzarli su itinerari anche ignoti ma di grande interesse scialpinistico da scoprire sia sull’Appennino Settentrionale fino al Passo della Cisa, sia sulle Alpi Apuane, sia sull’Appennino Centrale della Laga, dei Sibillini, del Gran Sasso fino alla Maiella, e anche qualche uscita sulle Alpi.

Credo che le nuove e più evolute generazioni attuali abbiano ricevuto in dote una parte del patrimonio orientativo precedente trasmesso loro e permettendo l’origine di un rinnovato gruppo di scialpinisti denominato: “Ski Alp Andrea Bafile“ in seno al CAI Firenze che con la sua giovanile attività è la prova di un’azione ereditaria acquisita. Vorrei esprimere un mio parere sulle principali aspetti di attività che la pratica dello scialpinismo impone ai suoi seguaci. Si possono distinguere tre diversi aspetti di orientamento e tipi di escursione da preferire secondo una libera scelta personale e la propria aspirazione in relazione all’attitudine e preparazione specifica.

1° TIPO DI ESCURSIONE:
questo tipo di scialpinismo serve per raggiungere la cima di un monte e poi discenderlo quasi sempre con gli sci ai piedi.
2° TIPO DI ESCURSIONE:
questo è lo scialpinismo impiegato nelle traversate di più giorni per collegare diverse località di montagna, salendo le cime principali incontrate durante il percorso.

3° TIPO DI ESCURSIONE:
questo sci- (linetta) alpinismo si pratica usando gli sci come vettore per avvicinarsi ad una salita alpinistica più impegnativa e spesso in condizioni invernali.

foto_4La scelta più opportuna tra i tre tipi di escursione indicati è da selezionare secondo la propria capacità e predisposizione. Nel primo tipo di escursione lo scialpinismo è tradizionale con una salita ragionata alla cima prescelta, usando le pelli di foca sotto gli sci e senza molte difficoltà salvo l’aiuto consigliato dei coltelli o dei ramponi in presenza di neve dura o ghiacciata. Questa progressione si può effettuare anche in più persone purché si osservino le normali attenzioni per la sicurezza. Il gruppo dei gitanti può suddividersi in più elementi secondo la capacità personale espressa ma sempre con un valido sostegno di una persona esperta per ogni gruppo. Se la discesa è collettiva va eseguita con la disposizione dei singoli distanziata per non incorrere in pericolosi e dannosi urti o distacchi di neve. Ovviamente ogni tanto bisogna fermarsi per attendere l’ultimo più lento e così riunire tutti i partecipanti alla discesa che si può effettuare anche in canaloni impegnativi.

Nel secondo tipo di escursione si scelgono due o più località di montagna da collegare tra loro con una traversata con gli sci anche di più giorni che prevede la salita facoltativa ma più interessante delle principali cime incontrate lungo il percorso, concatenando più vette o colli che possono presentare anche difficoltà alpinistiche rilevanti. Per questo raid impegnativo bisogna studiare bene precedentemente il lato logistico della zona di partenza ma soprattutto quello di arrivo, per un collegamento facilitato per il rientro a fine traversata, usando il treno o la doppia auto di cui una va lasciata nella località finale prevista. Questa è un’attività assai intensa e richiede un ottimo allenamento perché durante la marcia la fatica di più giorni consecutivi si accumula. Però l’impegno può essere alleggerito appoggiandosi a qualche rifugio esistente durante il percorso. Le difficoltà possono variare con il variare dell’esposizione, del tipo di neve, della temperatura ed è da privilegiare in calendario generalmente la primavera, quando le condizioni sono più favorevoli per la neve assestata che riduce il pericolo della valanghe. La traversata scialpinistica è la più bella realizzazione con gli sci perché ci permette di riunire più realtà ambientali e culturali di paesi diversi e a volte isolati.

Nel terzo tipo di escursione gli sci (o le ciaspole) servono per non sfondare nella neve permettendoci il trasporto del materiale tecnico fino all’attacco di una montagna da risalire generalmente uniti in cordata. L’avvicinamento alla cima scelta da scalare può essere abbastanza lungo, con notevole dislivello e faticoso per il peso dell’attrezzatura nello zaino che grava pesantemente sulle spalle per raggiungere la zona dove lasciare gli sci in bella vista, prima di iniziare la vera scalata. Questa attività richiede una preparazione alpinistica adeguata. Prevedere la salita in cordata con un massimo di tre persone perché l’impegno è assai rilevante lungo le rocce che di solito sono innevate o vetrate; condizioni tipiche di una scalata invernale. Porre attenzione alle cornici aggettanti perché pericolose secondo la loro massa, il vento forte o l’orario avanzato. Ma gli scivoli sottostanti possono essere divenuti meno ripidi per l’accumulo delle precedenti valanghe che potrebbero avere intasato la parte inferiore diminuendo l’inclinazione del pendio di qualche grado. E’ ovvio che questo tipo di sci-alpinismo forse è il più impegnativo richiedendo una attrezzatura da scalata assai gravosa e perciò riservata ad esperti e provetti scalatori che cercano nelle difficoltà di una cima la realizzazione di un sogno con un impegno maggiore basato sulla propria capacità e volontà di azione.
La scelta tra questi tre tipi di escursioni è a discrezione di coloro che riescono a fare un esame personale sincero e veritiero delle proprie attitudini e preparazione psico-fisica. Non bisogna mai eccedere esaltandosi esageratamente se la scelta della gita, seppure tanto ambita, è troppo impegnativa per le nostre forze, ma è sempre consigliato confrontarsi anche con gli amici che abbino lo stesso interesse per una decisione volontaria da prendere di comune accordo. L’amicizia e l’affiatamento, incrementato dalla frequentazione di molti anni passati assieme con azioni comuni, sono la base per importanti e riuscite realizzazioni.

E’ bene ricordarsi che l’esperienza si matura nel tempo ma anche dai nostri errori che bisogna cercare di evitare e di non ripetere possibilmente mai più. Sto ripensando ad alcuni inconvenienti che mi sono capitati in montagna quando questa non era purtroppo nelle sue condizioni migliori per essere salita.

Una volta, negli anni ’50, sopra il Rifugio Scavarla (m.2918) nell’alta Valgrisenche (in Val d’Aosta) dove avevamo pernottato, dopo una lunga salita in sci dal fondovalle, riprendemmo la marcia verso l’alto diretti alla Testa del Ruitor (m.3486) trascurando il più facile valico, sulla destra, del Passo di Planaval. Eravamo in quattro determinati a tracciare una via di salita forse nuova ma più diretta alla cima scelta. Così deviammo dalla via normale proseguendo a sinistra e là dove il pendio si fece più ripido ci togliemmo gli sci e li mettemmo sul sacco per procedere più speditamente con i ramponi ai piedi. Pensavamo che salendo direttamente, uno sulle orme dell’altro potessimo evitare il distacco ipotetico delle valanghe. L’inclinazione dello scivolo era sui 50 gradi. Io procedevo davanti battendo pista un po’ cautamente ma con un certo timore puntando verso un isolotto roccioso emergente in alto, dove ripromettevo di fermarmi e gettare una corda per assicurare e agevolare la salita degli amici che affondavano nelle mie tracce.

Quando fui arrivato a pochi metri da quella roccia sporgente, improvvisamente, con un boato assordante, vidi due metri di spessore di neve staccarsi per un fronte di qualche centinaio di metri. Quella massa imponente di neve, più alta di me, mi investì in pieno e mi catapultò in aria facendomi rotolare all’indietro come un fuscello impazzito. Iniziai allora a girare su me stesso ruzzolando in balia di quella onda violenta di piena che come un aggressivo tsunami prese a trasportarmi velocemente a valle senza una minima possibilità di appiglio. Anche gli amici che erano poco sotto furono colpiti e travolti da quella furia nevosa che si era abbattuta sopra di noi sbattendoci per l’aria. Avevamo tutti gli sci legati a capanna sullo zaino che ci impacciavano limitando i nostri movimenti mentre eravamo trascinati verso il basso ormai impotenti e impediti ad opporre una minima resistenza e senza alcun riferimento. Io ricordo che istintivamente agitai le braccia come se avessi voluto nuotare per tenermi a galla in quella marea di neve. Ma le gambe erano divaricate e sentivo colpi dolorosi in tutto il corpo. In pochi secondi fummo trascinati circa trecento metri più in basso in una conca nevosa dove quella valanga terminò la sua folle corsa. Mi trovai seppellito da quelli accumuli di neve che fortunatamente doveva essere abbastanza farinosa e così mi feci largo verso il chiarore della luce del sole. Scavando da solo riuscii ad uscirne fuori ma un forte dolore all’inguine mi fece capire che, seppur fortunato, avevo subito un brutto strappo dei muscoli e dei tendini per qualche spaccata involontaria che mi impediva di alzare liberalmente le gambe. Allora mi trascinai dove affioravano gli scarponi o gli sci dei miei compagni e così riuscii uno alla volta ad estrarli da quella morsa di neve che li avrebbe soffocati. Però la fortuna, in quel momento fatale, nonostante che la valanga ci avesse investito, fu assai benigna con noi facendoci sfuggire ad una sorte peggiore evitandoci un pauroso salto sottostante della montagna. Allora, raccolti gli sci, riuscimmo con qualche sforzo a calzarli, per quanto fossimo malconci e doloranti. Così rinunciando a proseguire la salita prendemmo a scivolare mestamente e con qualche perplessità verso valle per portarci il più lontano possibile da quella zona svalangosa a cui eravamo sfuggiti per miracolo, forse perché non era ancora arrivata la nostra ora.

A proposito, se me lo consentite, vorrei rileggere sperando di non annoiarvi qualche rigo scritto estratto dal mio libro “Cronaca di una vita in salita”, dal sottotitolo “Pericolo valanghe” :

… Le montagne hanno nascosto nella loro bianca veste invernale, così attraente, una insidia invisibile ma spesso letale : il pericolo delle valanghe. In quasi tutte le vallate dominate da canaloni incombenti e pericolosi i valligiani hanno battezzato questo rischio con nomi locali e solo dopo il pauroso boato del loro crollo osano uscire guardinghi dalle proprie case…

… Tra i ricordi che hanno scavato un po’ le mie rughe, come i solchi delle rigole lasciate dalle valanghe, si era aggiunta una triste esperienza vissuta verso la fine degli anni ’60. Un giorno nel canalino ghiacciato della diretta sulla parete Ovest alla Cima dell’Argentera (Alpi Marittime) si erano uniti in cordata con me Renato Avanzini e separatamente Carlo Aureli e Gloria Steneri. I ramponi mordevano bene la neve dura per il ghiaccio, ma la piccozza aveva poca presa in quell’ambiente un po’ tetro. Una strettoia di rocce nere e lisce ci sbarrò la salita richiedendoci più impegno e attenzione. Io cercai di incastrare la picca il più possibile a fondo inserendola tra la neve e la roccia, mentre facevo sicura con la corda verso il basso a Renato che mi seguiva. Improvvisamente udii un forte boato rimbombare tra le rocce sopra il mio capo e istintivamente portai lo zaino sulla testa, a quel tempo priva del casco, e attesi l’impatto. Presero a piovere blocchi di neve e di ghiaccio grandi più di mezzo metro di diametro e anche la prima cordata che ci precedeva precipitò sopra di noi della seconda cordata sfiorandoci pericolosamente con i ramponi. Io cercai invano di resistere al violento strappo dato alla corda da Renato che aveva perso la presa. Ma quella forza fu più grande della resistenza con cui mi opponevo ad essa e così anche la mia cordata iniziò una folle corsa inarrestabile verso valle, travolti da quella massa di blocchi di neve e di ghiaccio in movimento provenienti forse da qualche cornice staccatasi dalla vetta 1000 metri più in alto, e su cui non riuscivamo a fare presa neppure con le piccozzate inferte. Quando quel cataclisma glaciale si arrestò esaurendo la sua frenetica energia, qualche centinaio di metri più in basso, io scoprii di avere una costola sporgente fuori posto e una profonda ferita all’avambraccio sinistro, provocata dalla mia piccozza nel vano tentativo di arrestarmi. Renato e Carlo avevano riportato varie ferite e una slogatura ai piedi, ma la povera Gloria era ridotta assai male, con un largo taglio sulla fronte e una gamba spezzata. Dopo avere cercato di immobilizzare la gamba traumatizzata della ragazza con la mia piccozza e con uno spezzone di corda, la presi dolcemente sulle spalle e la trasportai nei pressi del Rifugio Bozano e poi chiesi aiuto. La disgrazia era avvenuta alle 7 del mattino ma la squadra del Soccorso Alpino arrivò alle 16,30 per trasportare a spalle i miei tre amici infortunati fino alle Terme di Valdieri mentre io scesi a valle da solo e con i loro zaini, pur premendomi la costola spostata dolorante. All’ospedale di Cuneo ci vollero tenere in osservazione e senza cibo ma io, di soppiatto, dopo avere legato una corda ai piedi di un letto, mi calai con essa fuori dell’edificio alla ricerca di una trattoria per un po’ di minestra nella gavetta e una borraccia di vino da portare anche agli amici rimasti all’ospedale…..

Ho raccontato questi due episodi per sottolineare che non sempre la montagna è in condizioni ideali per essere salita, ma l’uomo non deve trascurare i segnali che essa ci invia e solo chi è sensibile e attento a questi segni di pericolo cercherà di starne il più possibile lontano. Coloro che oseranno mettersi in gioco oltre i limiti normali di sicurezza, nel momento meno propizio, dovranno essere coscienti delle proprie azioni o del potenziale rischio, a volte avverso o celato, della montagna. Forse di fronte a qualche incertezza bisogna sapere ascoltare anche i nostri timori che sapranno consigliarci se superare i momenti critici e difficili o desistere nell’impresa. Ma lo spirito, l’istinto e l’esperienza che ci legano alla montagna dovranno sempre prevalere guidando il nostro cammino e consigliandoci la via migliore e più sicura da seguire. Ricordiamoci che solo a gita ultimata e col nostro ritorno a casa si potrà esultare per la riuscita ripensando anche ai momenti di maggiore tensione o esaltazione quando la concentrazione di tutte le nostre forze è stata più grande secondo la prestazione richiesta. La scelta della realizzazione da preferire dovrà essere personale e sincera secondo le nostre reali possibilità del momento e senza convincimenti di persone più dotate di noi.

Con questo non voglio scoraggiare nessuno, ma dopo una verifica ed una analisi approfondita delle condizioni ambientali favorevoli ed un graduale impegno delle difficoltà da affrontare potremo dirci pronti a prendere la via verso la montagna con gli sci ai piedi. Un’altra raccomandazione è quella di non sottovalutare mai i pericoli che il nostro passaggio può a volte provocare. Non basta lo stimolo o la nostra determinazione per superare sempre indenni un passaggio pericoloso. Qualche volta bisogna sapere giocare d’astuzia con l’ambiente che ci circonda ragionando per evitare conseguenze o guai successivi. Ricordarsi che è più saggio temere l’incertezza piuttosto che passare da falsi eroi fidandosi ciecamente di noi stessi o del fato e ignorando le possibili condizioni ambientali precarie. Mi sovviene a tale proposito una delle tante volte che ho fiutato l’instabilità nivea superficiale facendo partire di proposito una valanga per poi discendere con maggiore sicurezza sulla neve residua sottostante più dura dopo il suo slittamento. Una volta, mentre stavamo scendendo dal Monte Alto (di fronte all’Alpe di Succiso), sul versante sud-est verso il Passo di Ospedalaccio (sopra il Passo del Cerreto) intuii che la neve nella diretta sotto le rocce della vetta non offriva garanzie di stabilità perché bagnata e pesante. Allora mi portai sotto le rocce e cercai con gli sci di fare partire quella neve instabile. La manovra di sbancamento riuscì liberando lo scivolo da quello strato nevoso superficiale insicuro. Però la larghezza della zona così liberata risultava ancora stretta perché uguale alla lunghezza dei miei sci di 1,8 metri e la valanga provocata artificialmente da me risultava un po’ limitata per continuare a sciarvi sopra in più persone. Allora chiesi a Nelusco Paoli, che mi seguiva, se poteva scendere anche lui e fermarsi accanto alla mia traccia trasversale e fare così partire un altro smottamento più ampio di neve per aumentare la larghezza della neve sottostante un po’ più dura e sciabile. Il risultato fu apprezzato da tutti con una discesa in sci di una certa soddisfazione, dentro i limiti di quella trincea di circa 3,5 metri di larghezza.

Un’altra volta sentimmo il cupo rumore delle valanghe mentre stavamo scendendo il versante Sud-Ovest nella zona delle Salaiole al Rondinaio, durante la probabile prima scialpinistica dal Rifugio Casentini. Erano passate da poco le 13 e l’ora non era certamente la più adatta per sfidare la stabilità della neve. Ma ormai eravamo in ballo e bisognava per forza scendere quel pendio se si voleva tornare a casa. Sembrava che una mano invisibile o una raffica maggiore di vento desse il via a quelle valanghe che presero a scendere verso di noi con un ritmo quasi regolare di pochi secondi di intervallo tra l’una e l’altra. Quelle onde nevose scavavano delle rigole profonde più di mezzo metro dove anche i sassi venivano ruzzolati a valle con molto fragore. Non sapevamo come fare per evitare di esserne travolti. Allora prendemmo la decisione di scendere due alla volta nell’intervallo tra una scarica e l’altra, mentre gli altri due stavano di guardia in una posizione più alta e sicura per avvertire quelli che scendevano quando fosse arrivata la successiva onda d’urto. Così, a comando alternato scendemmo quei 500 metri di dislivello assai pericolosi sfidando le costole indurite dei bordi laterali delle rigole lasciate dalle valanghe. In tal modo evitammo di essere travolti adottando una tecnica, usata anche in arrampicata, di avvicendamento, di azione, di sosta e di allarme, servendosi più della testa che delle sole gambe.

L’affiatamento tra i partecipanti alla stessa escursione con gli sci è un fattore molto rilevante per ottenere una condotta più omogenea e di reciproca fiducia e rispetto. I tempi tecnici dovranno essere abbastanza sincronizzati e rispettati nei loro limiti e comunque si dovrebbe attendere che sia pronto anche il più lento prima di iniziare la salita o la discesa. La meta da raggiungere dovrebbe essere sempre prefissata, ma secondo le condizioni ambientali trovate sul posto il programma potrà modificarsi in corso d’opera e reso noto a tutti. Data la nostra posizione territoriale fiorentina assai lontana dalle Alpi bisogna progettare l’escursione con criterio e per tempo se si vuole fare un’uscita fuori zona per una meta scialpinistica che può richiedere anche più giorni. Per questo è consigliabile condividere il costo del trasporto con più persone e scegliere un periodo primaverile più idoneo alla neve assestata e alle giornate più lunghe e solatie, approfittando magari della coincidenza con qualche ponte festivo.

Nell’incantesimo dell’Appennino Settentrionale e Centrale e sulle Alpi Apuane si possono trovare itinerari sciistici che sono forse noti a quasi tutti gli sciatori alpinisti toscani, però esiste ancora qualche variante di versante o qualche canalone interessante poco frequentato da scoprire con cautela. Anche senza l’ambizione o la speranza di tracciare un itinerario nuovo si possono trovare variazioni di condizioni molto diverse secondo l’innevamento annuale, eventualmente da ripetersi anche in anni diversi e con la variabile sconosciuta del manto nevoso trovato successivamente. Ma la nostra esuberanza tendente verso una prestazione “no limit” è da contenere perché solamente relativa ad una mera esibizione personale mentre si otterrà invece maggiore soddisfazione partecipando all’entusiasmo dei nuovi che nutrono la nostra stessa passione per la montagna e che per la prima volta passano da quel percorso suggerito perché a noi ormai già noto.

Finalmente concludo ringraziando Alpinismo Fiorentino per avermi concesso tanto spazio e anche la paziente attenzione di chi ha avuto la bontà e il tempo di leggere queste mie riflessioni. Spero che le presenti generazioni di scialpinisti (e non solo loro) possano salire a lungo lassù in alto sulle vette come sentinelle avanzate per tutelare e difendere l’ambiente che li circonda. Mi auguro inoltre che le consegne di questo impegnativo testimone passato a loro sia mantenuto e trasferito anche alle prossime leve al fine di conservare a lungo intatta la bellezza delle nostre montagne, pur coperte di neve e di ghiaccio, come patrimonio inalienabile universale che i nostri predecessori sono riusciti a custodire e proteggere fino a noi.

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