I ponti del Diavolo di Valerio Sestini

File0069ihr_qr_code_ohne_logoGennaio 2014 – Antichi ponti in pietra sull’Appennino Tosco-Emiliano

Anche Valerio purtroppo ci ha lasciato. Lo conobbi sul finire degli anni ’90, quando Marco era alla Presidenza del CAI Firenze. Valerio ricopriva un ruolo importante per noi, era Ispettore del Rifugio Firenze. Un ruolo di responsabilità che richiedeva conoscenza tecnica abbinata a una buona dose di passione per il Club Alpino Italiano.

Con il tempo imparai a conoscerlo, mi regalò alcune pubblicazioni di architettura orientale sempre realizzate grazie al ruolo di prestigio che a causa della Sua indubbia, non comune competenza, ricopriva nell’aree interessate. Pubblicammo alcuni Suoi notevoli contributi su Alpinismo Fiorentino. Prima che ci lasciasse mi consegnò un articolo per la nostra Rivista pregandomi, con il Suo abituale entusiasmo, di pubblicarlo salvo attendere un’ultima foto che avrebbe voluto scattare e al momento quindi mancante. Lo pubblichiamo oggi, postumo, senza quella foto. Credo sia il modo migliore per ricordarlo. Ciao Valerio. R.M.

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Ponti in pietra ad arco in Italia e in Europa vennero costruiti con continuità fin da epoca romana. Di questi ne rimangono numerosi esempi, parte dei quali a più campate, che ci hanno consentito di conoscere e approfondire la tecnica adottata dai romani. La costruzione di ponti ad arco è proseguita nei secoli successivi, in particolare durante il medioevo anche in rapporto all’esperienza acquisita con l’architettura gotica, dei quali numerose sono le testimonianze presenti in varie regioni italiane. La loro tecnica è rimasta invariata per secoli fino a circa la fine del Settecento quando nuovi impulsi e uno studio più razionale e scientifico in ogni campo del sapere portò a indagini più approfondite su queste opere. Infatti, uno studioso francese, J.R. Perronet (1708-1794) ingegnere reale e membro di numerose accademie, attraverso la stereometria, ovvero una nuova scienza che studiava il taglio della pietra in elementi squadrati secondo un rigoroso e preciso disegno, contribuì allo sviluppo di queste opere. Inoltre dette un ulteriore impulso allo sviluppo della tecnica dei ponti in pietra attraverso un suo contributo pubblicato tra il 1781 e il 1792.

A questi studi seguì una copiosa trattatistica, soprattutto in Francia, che contribuì ulteriormente alle costruzioni in pietra, di cui i più noti trattati furono pubblicati dal Perronet stesso e dal Rondelet, quest’ultimo venne tradotto e pubblicato in Italia nel 1832 (Trattato teorico pratico dell’arte del fabbricare, 1802-17). Altro importante trattato sui ponti risale al 1809-1813 ad opera del Emiland Gauthey (Traité de la construction des ponts).

Troppo spesso tali opere sono state considerate per il loro valore utilitaristico e non tanto per il loro valore architettonico e dell’ingegno umano, pertanto gran parte di questi manufatti dovrebbero essere riconosciuti come opere d’arte e come un bene culturale e quindi da sottoporre a tutela e conservazione anche se frutto di autori sconosciuti, probabilmente maestri d’arte coadiuvati da abili maestranze.

ponte del diavolo Anche in Toscana vari sono gli esempi di antichi attraversamenti fluviali sia con più archi che ad una sola campata, questi ultimi di notevole luce in rapporto alle tecniche in uso all’epoca della costruzione e con una conformazione dell’impalcato definita “a schiena d’asino”, per la forma dovuta alla notevole monta dell’arco stesso. Spesso detti ponti sono stati soprannominati “del diavolo” per le caratteristiche sopradescritte e perché nella fantasia popolare hanno spesso originato leggende in cui gli autori potevano essere esseri sovrannaturali, come appunto il diavolo. Tali ponti si trovano su fiumi o torrenti dove la conformazione della valle presenta caratteristiche di difficoltà di attraversamento sia dovuta o all’ampiezza da superare o per la profondità tra il letto del fiume e i punti da collegare. Un notevole problema, risolto dai costruttori ottocenteschi, doveva poi essere la centina di sostegno dell’arco in fase di costruzione di cui la letteratura dell’epoca ne mostra vari esempi in rapporto alla luce dell’opera, tutti in legno e realizzati con specie legnose resistenti ma reperibili entro una ristretta area.

In Toscana quelli più noti si trovano in Lunigiana e in Garfagnana. Fra questi il più conosciuto e citato è il ponte costruito sul Serchio presso Borgo a Mozzano denominato anche ponte della Maddalena (attribuito alla contessa Matilde di Canossa, 1052-1115, ma ricostruito successivamente) o “del diavolo”. Questa ultima definizione deriva da una antica leggenda popolare in cui “un capo muratore aveva iniziato a costruirlo ma ben presto si accorse che non sarebbe riuscito a completare l’opera per il giorno fissato e preso dalla paura delle possibili conseguenze si rivolse al Maligno chiedendo aiuto al fine di terminare il lavoro . Il diavolo accettò di completare il ponte in una notte in cambio dell’anima del primo passante che lo avrebbe attraversato. Il patto fu siglato ma il costruttore, pieno di rimorso, si confessò con un religioso della zona che lo consigliò di far attraversare il ponte per primo da un porco. Il diavolo fu così beffato e scomparve nelle acque del fiume”. Tale opera ha cinque arcate di cui la principale, a tutto sesto, ha una luce di quasi 38 metri e mostra uno spessore variabile con spessori maggiori in chiave e in corrispondenza delle reni. Oggi rappresenta una preziosa testimonianza di ingegneria medievale.

Un altro ponte ad arco di minori dimensioni, ma non per questo meno interessante, lo troviamo ancora sul Serchio nei pressi di Barga.

Altri ponti in pietra si trovano sull’Appennino tosco-emiliano, interessanti questi sia per la loro forma e arditezza, per un contesto ambientale di inserimento e perché posti su antiche strade di commerci locali. Uno di questi, definito “del diavolo”, si trova non lontano da Lama Mocogno, ma non è stato realizzato per mano dell’uomo, ma è un’opera naturale, formatasi per l’azione degli agenti atmosferici in una conformazione rocciosa di arenaria monolitica, un’opera fine a se stessa. Questo ponte sovrasta un avvallamento naturale del terreno all’interno di un bosco. Una caratteristica di questo ponte è la notevole ampiezza rispetto al suo spessore al centro e per la modestissima monta. Tali elementi dimensionali legati anche alla tipologia del materiale sono una vera sfida all’equilibrio e alla scienza del costruire! Un altro ponte, anch’esso denominato “del diavolo”, realizzato con un solo arco in pietra si trova sul torrente Scoltenna tra Fiumalbo e S. Michele all’interno di un suggestivo contesto ambientale dovuto ad una gola profonda, che testimonia oggi un antico percorso.

Un ponte, questo oramai abbandonato da notevole tempo, ma ancora ben visibile nella sua conformazione originaria si trova all’interno di un bosco sulla pendice destra del fiume Scoltenna nel tratto tra Riolunato ed il bivio per Montecreto, testimonianza anche questa opera di un antico percorso stradale tra Pievepelago e Riolunato.

Nella stessa zona si trovano altri ponti in pietra ad arco sul fiume Scoltenna dopo l’abitato di Pievepelago. Queste opere sono tutte oggi ben conservate ma solo transitabili a piedi. I più interessanti per la loro forma sono quelli presso Pievepelago, denominato della Fola, e quello di Olina, più a valle; ma non dobbiamo sottovalutare i ponti di Riolunato (denominato anche ponte della Luna) e di Strettara, quest’ultimo chiamato anche “ponte dei Leoni” per le immagini scultoree poste agli ingressi. Il ponte attuale risale al 1775, mentre le fonti storiche ci danno notizia di varie ricostruzioni (1567,1679) a seguito di distruzioni dovute alle piene del fiume. Una insegna posta all’ingresso del ponte della Fola ci indica la data di costruzione di questo e un breve commento sulla sua conformazione: “Questo antichissimo ponte viene citato per la prima volta nel 1028. E’ posto sull’antico tracciato che collegava Pievepelago e Riolunato, ed è stato realizzato con un caratteristico profilo ad ali di gabbiano per due motivi: il primo è quello di permettere lo scavalcamento dello Scoltenna utilizzando un unico pilone centrale ottenibile solo mantenendo sufficientemente ampie le arcate, il secondo quello di avere le teste del ponte alla giusta quota rispetto agli imbocchi possibile attraverso la doppia schiena d’asino che offre al ponte la sua particolare conformazione”.

Infatti, il ponte si caratterizza per non avere una sola livelletta ma due, dalla forma a schiena d’asino, in corrispondenza delle due arcate a tutto sesto messe in evidenza dai solidi parapetti che seguono l’andamento del piano viario. Gli archi a tutto sesto sono impostati a quote superiori rispetto al livello del fiume su solide spalle poste ai bordi del fiume ed incastrate nella massa rocciosa e su di una pila massiccia centrale realizzata con pietre ben squadrate che presenta un avancorpo verso monte, denominato rostro, con lo scopo di incanalare le acque sotto le arcate. Gli archi sono ben evidenti sull’esterno del ponte per i grossi conci irregolari che lo compongono, mentre la volta è composta da pietre scarsamente lavorate. Una caratteristica di quest’opera sono i “doccioni” in pietra che servono a smaltire l’acqua piovana dalla pavimentazione del piano di calpestio, anch’esso in pietra.

Ponte-Diavolo

Il ponte di Olina, più a sud nel comune di Pavullo mostra due arcate di cui una di modesta ampiezza sulla sponda sinistra sotto la quale non scorre più l’acqua, mentre quella centrale si caratterizza per un’elevata monta dell’arco che sulla sponda opposta si inserisce in una muratura in pietra incastrata nella massa rocciosa, che lo rende simile a quello sul Serchio. Ma il contesto ambientale in cui è inserito è ben diverso: il ponte di Olina è stato costruito in una valle stretta e con fianchi ripidi, al contrario quello di Borgo a Mozzano si sviluppa con più archi per superare l’ampio fondo piatto del fiume. Una ulteriore caratteristica di questa opera è il “portale-tabernacolo” posto alla sommità del ponte che con il proprio peso aumenta la stabilità dell’opera; inoltre si può notare le perfette unioni delle pietre che proteggono il parapetto. Venne ricostruito nel 1522. Il grande arco mostra dei rinforzi metallici.

Il ponte presso Strettara (un cartello indica come anno di costruzione il 1715, lunghezza 117 metri, 3° categoria) ha tre campate e la carreggiata è piana. Questo è rimasto transitabile ai veicoli fino al 19 quando un nuovo ponte moderno lo ha sostituito. Il ponte di Riolunato ha invece una sola campata costituita da un arco ribassato ed una leggera schiena d’asino. Sui lati dell’opera sono ben evidenti delle mensole laterali. Anche questo ponte è oggi solo percorribile a piedi per la costruzione di un nuovo attraversamento in c.a.

In conclusione, nella valutazione di un ponte dobbiamo considerare che questo è costituito da un insieme di parti realizzate ognuna con una propria funzione e di parti accessorie ed ornamentali.: dagli archi e dalle volte a sostegno dell’impalcato viario,dalle pile intermedie protette a monte da “rostri” contro l’impeto della corrente, fino alle spalle costruite sulle sponde del fiume. Nel complesso una serie di elementi non scindibili l’uno dall’altro che nel loro insieme danno all’opera una propria caratteristica architettonica. Inoltre queste opere oggi, come accennato, dovrebbero essere considerate un bene culturale ovvero opere di un rilevante patrimonio architettonico al pari di note architetture, sia per il loro valore tecnico ma anche e soprattutto ambientale. Inoltre queste sono una testimonianza di conoscenze teoriche e costruttive che nel passato hanno consentito di superare notevoli ostacoli. Molte di queste opere si sono conservate fino ad oggi sia per la durabilità della materia con la quale sono state costruite, la pietra, e la scarsa manutenzione da loro richiesta. I problemi di queste opere, molte andate perdute, sono dovute alla possibile scarsa resistenza delle fondazioni dei piloni intermedi scalzati dalla forte corrente dell’acqua. Nell’insieme rappresentano delle vere opere architettoniche degne di essere mantenute perchè danno all’ambiente naturale un valore umano e culturale.

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