Magia notturna al Rondinaio di Andrea Tozzi

Monte Giovo e canale del TriangoloAnnuario 2013ihr_qr_code_ohne_logo

E’ di nuovo notte sopra la mia testa. Le stelle si stagliano nel buio, la costellazione dello scorpione si stende sinuosa e meravigliosa appena sopra l’orizzonte, il rumore dell’oceano che sbatte sulla scogliera riempie la notte ed è di una notte, magnifica come questa, che voglio parlare: 23 febbraio 2008, in un altro continente, in un’altro periodo dell’anno, in un altro tempo, appeso ad un lembo di vela che sbatte sorniona nel vento umido e tiepido dei tropici.

Qualcuno scrive un messaggio sulla lista di skialp e chiama all’adunata dei volenterosi per una notturna. Lì per lì manco capisco di cosa si stia parlando, ma ben presto risvegliato dall’indolenza cui l’inattività mi ha momentaneamente abbandonato, mi sovviene che si parla di una gita scialpinistica di notte. “Di notte?!!!”. Mi informo: nonostante la mia perplessità mi si dice che lo scialpinismo si può praticare anche di notte… pare fattibile. Faccio due rapidi conti: la luna piena cade di venerdi, sabato libero, bimbi a casa, un impegno per il pomeriggio seguente… paiono essere tutte condizioni al limite, ma nel complesso favorevoli all’uscita. Sorvolo sul fatto che son fermo da più di un anno, ma ho il vantaggio che la montagna scelta mi è ben nota, forse l’unica ad essermi tale: il Rondinaio. L’ho salito diverse volte, tante da non poter dire a colpo quante, il che è sempre un buon segno! Di sicuro ricordo bene la prima e la seconda di salite.

Rondinaio

La prima è stato nel 2003: all’epoca facevo qualunque corso la scuola Tita Piaz programmasse, tanto che ne totalizzai quattro di fila e di sicuro il più improbabile fu quello di Scialpinismo a cui mai avrei pensato di poter partecipare. Galeotta fu la presenza di una amica che durante tutto il corso di roccia, mi parlò di questa strana attività e mi convinse decantando la bellezza dello  scialpinismo. Per chi non se lo ricorda nel 2004 nevicò molto. Nevicò anche rosso: lo scirocco, carico di sabbia del deserto sahariano, adagiò sui nostri monti una bella neve ambrata che si dispose in un non candido velo sulle cime degli appennini, Rondinaio compreso. La temperatura, non proprio bassa, ci sorprese la domenica che cominciammo a salirlo, il 22 febbraio 2004: era pioggia quella che ci accompagnò per una buona parte della nostra fatica, ma era di sabbia il rosso che vedevamo sulla neve. Il vento prima, la pioggia dopo, aveva distribuito la sabbia in incredibili crestine di neve rossa che si alternavano a strisce di usuale candida neve creando l’effetto anomalo di serpenti rossi, simili alle regolari dune del Sahara. Incredibile a vedersi… difficile a scendersi, ma di sicuro effetto scenico!

Ed era il 20 maggio quando lo risalii per la seconda volta insieme ad Alfio con il quale compii il mio primo concatenamento: Monte Giovo, discesa dal canale del Triangolo e risalita, appunto, al Rondinaio. Sorprendente fu vedere nell’alta lama di neve crollata nel sottostante lago Baccio la strisciata rossa di neve che così tanto mi aveva meravigliato tre mesi prima. Era oramai sepolta da non meno di un paio di metri di neve. Salimmo dunque verso il Rondinaio, personalmente ancora incredulo di aver sceso quel canale che adesso, in alto, si stagliava dietro di me illuminato da una splendida luna d’argento. Mai più ripetuto: la presenza di Alfio mi rincuorò e mi dette fiducia e sicurezza. Salimmo, ma il caldo e la fatica cominciarono a farsi sentire: era fine maggio e la mia poca esperienza mi aveva mal consigliato l’abbigliamento. Arrivai in cima che morivo di caldo e di sete. Spossato mangiai un poco e di comune accordo, visto il sole e che oramai la neve era bella mollata in maniera irreparabile, decidemmo di farmi riposare. Mi stesi su un’ampia zona erbosa e guardando il cielo compresi il perchè del nome del monte: decine di rondini solcavano il cielo sopra la cima, planando su di noi e sfiorandoci il viso a pochi centimetri, tanto da poterne sentire l’aria mossa dalle loro veloci ali. Mi addormentai nel frinire delle rondini per svegliarmi poco dopo, decisamente soddisfatto e un poco riposato. Alfio mi invitò a mettermi gli sci e a scendere, che era tardi e la neve non sarebbe stata facile: morbida, papposa in alcuni tratti, primaverile insomma.

Rondinaio e ROndinaio Lombardo

Ecco che quella sera, stavo di nuovo per tornare lassù. Piccola vetta sul limitare di una vecchia conca glaciale che torna maestosamente a imbiancarci di neve quasi tutti gli inverni arrivando a sembrare nelle foto un “angolo di Svalbard”, com’ebbe a dirmi un collega con il quale la salii anni fa rivendendo una foto là scattata e dimenticata nella memoria. Presi velocemente l’attrezzatura dalla soffitta che là giaceva pronta per qualche rara evenienza e partii per andare come sempre al lavoro. Ricordo quel venerdi, con il batticuore e la frenesia dell’attesa del buio, nel tardo pomeriggio. Aspettai che non ci fosse più nessuno dei miei colleghi e recuperato lo zaino mi chiusi in ufficio, mi vestii con pantaloni da neve, ARTVA, piccozza, rampanti, giaccone e tutto quanto serve.

Uscii di soppiatto nel corridoio ed ecco che ti incontro il mio capo, vecchio alpinista. “Oh do’ vai?”. Un pò imbarazzato credo di avergli spiegato che stavo partendo per una notturna di scialpinismo. Incassato un sorrisetto sornione e uno sguardo invidioso rivolto alla mia piccozza, salii in macchina per raggiungere il gruppo diretto al Rondinaio. La salità risultò magica: mai avrei pensato che una notte di luna piena potesse essere così incantevole e brillante. Ricordo Alfio che invitò tutti a spengere le nostre frontali, per goderci al meglio la magia della salita perchè tale era davvero. I cristalli di ghiaccio brillavano alla luce del sole riflesso dal nostro imperituro satellite creando piccoli brillamenti di una bellezza da togliere il respiro. Salire in un ambiente di una tale magia fu davvero una vetta di sublime piacere. La cresta del monte Giovo si stagliava fiera, il bianco delle pareti cariche di neve, i canali, sembravano concederci la loro visione, ammettendoci al loro cospetto, tranquilli e severi. Salimmo facilmente, io personalmente preoccupato dal non sentirmi in forma, un poco intimidito dai molti volti nuovi del gruppo Skialp, adesso intitolato ad Andrea Bafile.

La discesa fu bella, succhiellata da molte soste, come quando un bimbo gusta un dolce che non vorrebbe finisse mai. Di nuovo mi sopresi a considerare quanta luce ci fosse: le frontali risultavano quasi inutili, un mezzo giusto per evitare di finire contro qualche sasso nascosto o dentro qualche buca, decisamente improbabili entrambi vista la molta neve e il freddo del momento.

A fine discesa, con il cuore ancora in subbuglio, da un furgonicino camperizzato un tale, di nome Vittorio e che era la prima volta che vedevo, distribuiva cibo, arrivando financo a distribuire pastasciutta cotta sul momento e vino rosso. Degno finale di una degna gita…. di una degna compagnia che Vittorio stesso defini, non ricordo se in quel giorno o in altro, di “SciMuniti TurboLenti”, riferendosi in una sintesi perfetta a noialtri scialpinisti che porterebbero i propri attrezzi fin nel letto e alla loro differente indole che li porta ad essere Lenti o Turbo a seconda di come siam dentro, ma comunque sempre lieti di ritrovarsi per i monti a gioire del mondo attorno a noi, felici ed appagati dall’immensità della natura che ci circonda e uniti nella comune passione per i bianchi pendii immacolati.  

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