Ettore Castiglioni: affascinante scrittore, alpinista, partigiano di Marina Todisco

Chiudo gli occhi e la figura elegante di Ettore Castiglioni si delinea, eterea e al contempo definita, esce e mi viene incontro dalle pagine scritte del suo diario. Per me, è come ritrovare un gemello, più leggo e più mi avvicino alle sue parole come se fossero i miei pensieri inconsci a proclamarsi, celati per anni, d’un tratto subitanei, con voce ferma. Mi atterrisce sentirmi così vicina al suo io, all’attualità e alla ragionevolezza delle sue affermazioni, dove il mio è quasi un riconoscersi continuo, in un affascinamento irriverente che nasce forse da un sentimento audace di sovrastima di cui ho timore e imbarazzo; ma Nino è milanese, elegante, appassionato della montagna, creativo ed esteta in parete, amante delle arti e della musica in città, un romantico idealista capace di realizzare iniziative partigiane antifasciste che hanno salvato molte vite in guerra, un fiume di parole diligentemente indirizzate che ci hanno offerto apprezzate guide e un diario personale che sembra scritto per esser letto da tutti. Come, dunque, non rimanere colpiti e piacevolmente affascinati da Ettore Castiglioni?

Alto, slanciato, asciutto, atletico, il fisico di Ettore Castiglioni possedeva un’eleganza innata che promanava da un tratto e da un portamento aristocratici. Falcata ampia, busto e capo eretti, un pizzico di rigidità teutonica nell’incedere e di compitezza nordica nel sorridere appena, tra l’enigmatico e il malizioso, sotto un paio di baffetti sottili, Nino era riconoscibile tra non so quante migliaia nell’inverno, poi che camminava per le vie costantemente privo di cappotto e di cappello, con la giacca semi- aperta cui sottostava il classico panciotto abbottonato, ormai quasi scomparso dalle abitudini borghesi. Egli non soffriva assolutamente il freddo e quel suo vestire in ugual misura nelle diverse stagioni era così naturale che mai ti sarebbe passato per il capo di giudicarlo uno stravagante come è facile quando l’eccentricità colpisce a prima vista”, (da G. De Simoni, 1956).

Ultimo di cinque figli, Ettore Castiglioni, Nino per i familiari, nasce a Ruffrè (TN) il 28 agosto 1908 proprio durante le vacanze estive della sua benestante famiglia milanese. Da ragazzo vive i privilegi della ‘Milano bene’ dei primi del novecento, in un ambiente agiato, fra viaggi in montagna e viaggi di cultura all’estero, oltre alla frequentazione di teatri, musei e sale da concerto. Nella casa paterna in via del Vivaio a Milano c’è anche il pianoforte che lui suona con competenza e libertà d’espressione e che sarà una valvola di sfogo per i suoi momenti di sconforto, come si legge nei suoi diari. ”Sono in un periodo di monotonia e di lavoro quotidiano. Non ch’io mi senta in letargo o abbattuto, anzi sono ricco di vita e di attività. Ma il lavoro metodico per la laurea che mi assorbe quasi interamente, quantunque mi interessi abbastanza, lo senta abbastanza come cosa mia e mi dia una certa soddisfazione, tuttavia mi rende una giornata uguale all’altra e mi distoglie dal pensare ad altre cose. Mi perdo in una banale vita da studente, coi compagni, in scherzi divertimenti tanto stupidi con Rusmini. In fondo è una vita abbastanza povera, ma di una povertà ingiustificata; ciò che è più grave, perché la colpa è soltanto mia. Né bastano a renderla ricca i concerti, il pianoforte (che mi da moltissimo), o la gita a Bergamo domenica scorsa, dove ho vissuto pienamente una giornata di primavera, fra la serenità dell’Amedeo, l’ebbrezza del Tiepolo, e l’incanto della natura che sboccia nelle prime gemme e nei primi fiori”, (Marzo 1931).

Nino si laureerà in breve. Questo riconoscimento dalla facoltà di  Legge di Milano e la conoscenza fluente delle lingue straniere francese e tedesca, lo porteranno ad un duro periodo di permanenza a Londra, dove il padre lo ha introdotto presso i Lloyd’s per avviarlo alla carriera di uomo d’affari, come si confà ad un rampollo di un’antica famiglia della borghesia milanese; ma Nino soffre come un pesce fuor d’acqua in quella città straniera, in un ufficio dove gli sembra di perder tempo e di esser totalmente inutile fra le poche scartoffie che gli vengono raramente affidate. I dubbi lo attanagliano prima di poter fare finalmente la scelta di rientrare in Italia, a cercare la sua vera vocazione: “Sì, ogni rinuncia è una vigliaccheria: tutto questo periodo (N.d.R. a Londra) è stato un periodo di rinunce e di abdicazione a me stesso: quindi un periodo di vigliaccheria e di infedeltà. Gli ultimi giorni a Londra non ho più scritto su questo diario perché la devastazione morale me ne rendeva incapace. La tensione dell’incertezza di non poter sapere nulla fino all’ultimo e la debolezza di non saper volere una decisione e assumermene la responsabilità, mi esaurivano e mi esacerbavano.

D’altra parte sapevo che venendo via voleva dire rinunciare per sempre e definitivamente ad ogni  rapporto con l’ “Italia” e il ritornare  a Milano e ritrovarmi qui senza una occupazione ad un punto assai più indietro di quando ne son partito, mi atterriva almeno quanto il prolungare il soggiorno all’agenzia di Londra. Ora c’è la scusa di andare un po’ in montagna (quantunque  sono così lontano dallo spirito eroico dell’alpinismo, che so benissimo che non ne avrò altro che umiliazioni) per fuggire Milano, ma poi? Il buio e il nulla. A meno che la montagna possa ancora una volta farmi risorgere, restituirmi a me stesso con tutta la mia forza, la mia volontà e  la mia sicurezza ”, (Giugno, Milano 1933).

Ebbene, sarà proprio la montagna e la sua voglia di esplorarla e di descriverla minuziosamente e precisamente nei suoi diari, a dare la svolta alla carriera di Ettore Castiglioni, un impegnativo percorso che lo porterà a pubblicare le famose guide. E’ ormai chiaro che Nino è uno scrittore nato, come un poeta che si esprime quasi meglio per iscritto, sia che si tratti di crode, pareti e nuove vie, sia che si parli dei suoi sentimenti, di critica musicale o di poesia, che lui vede nei quadri dei musei e nei paesaggi della natura, come noi la cogliamo nelle foto che lo ritraggono perso nella contemplazione dell’immensità del paesaggio. “Il vero mare lo senti solo da uno scoglio, a fior d’acqua o da una piccola barca: allora lo contempli, perché troppo ti è vicino, ma lo bevi, lo respiri, a pieni polmoni, ne assorbi tutta la vita con suo eterno rifluire. In tutta l’aria, che spira costante, con quell’acre odore di forza, tu senti l’intensità della vita: intensità che produce una tensione di nervi quasi spasmodica e voluttuosa ad un tempo, che ti scuote, che ti dà vigore e volontà, che ti stanca”.

Nel 1906 nasce il progetto del CAI di intraprendere una descrizione completa delle montagne italiane nella collana ‘Guida dei Monti d’Italia’, che sarà curata negli anni e ancora ai nostri giorni, insieme al Touring Club Italiano. Proprio quest’ultimo, nel 1934, commissionerà a Ettore Castiglioni la guida delle Pale di San Martino, avvenimento che darà una svolta alla vita di Nino. Febbrilmente si dedicherà nei mesi invernali a Milano alla stesura non solo della guida delle Pale, ma a quella Odle- Sella-Marmolada che usciranno complete e ‘best seller’ in soli due anni. Con la sua capacità di annotare meticolosamente, Nino raccoglie miriadi di informazioni nei suoi appunti di viaggio, ogni percorso, ogni ascensione, ogni ricognizione, in vari colori che corrispondono ad una determinata legenda, con ‘segni convenzionali’ che indicano gli spostamenti a piedi, su ghiacciaio, su roccia, con gli sci, a cavallo, in ferrovia, tram, teleferica, bastimento, aeroplano, con l’indicazione dei gradi di difficoltà dei passaggi: giallo I grado, azzurro II grado, viola VI grado, ogni via nuova è riquadrata con il rosso (‘vergine’).

E’ capace di leggere la geomorfologia del paesaggio, legge la roccia, grazie alla frequentazione della montagna che inizia sin da fanciullo con il fratello maggiore Bruno, quest’ultimo già professore di Geografia Fisica presso l’università di Pavia e uno dei maggiori geomorfologi italiani, anch’egli appassionato di montagna, dedito ad un intenso lavoro di rilevamenti scientifici e pubblicazioni relative a lavori geografici. Così nel nome di Ettore Castiglioni vengono suggellate innumerevoli altre guide (Guida Sciistica delle Dolomiti; Guida Sciistica di Madonna di Campiglio, Bondone, Paganella, Gruppo del Brenta, Presanella; Dolomiti di Brenta; Alpi Carniche) e articoli e scritti (Le valanghe. Come si formano, come si possono evitare; Neve e valanghe; Vita di Crode, etc.) che rimangono a noi di grande attualità per il suo modo originale di porsi con il paesaggio montano e l’antropologia dello stesso. “…portavo avanti ricognizioni e interrogatori per la mia guida e sempre più vivo sento l’interesse per questo studio, che ora approfondisco assai di più di quanto sia necessario per una guida. Indagini toponomastiche, studio dei dialetti ladini, storie di guerra, leggende, usi e costumi locali, ogni ramo mi prende così vivamente che vorrei sempre completare l’indagine, giungere a conoscere fino in fondo queste vallate tanto ricche di poesia e di colore. Così che l’alpinismo esce dall’aridità dell’esercizio fisico e della relazione tecnica, per divenirmi fonte di grande interesse culturale.”

Nino racchiude in sé l’escursionista, il rocciatore, l’alpinista, lo sciatore,  tutti ad altissimi livelli. Lo scopriamo in Grigna, in una giornata bigia e umida di inizio stagione a passeggiare sotto i torrioni Magnaghi e a ottobre, da solo, quando la folle scalata alle crode è terminata, a ‘fare trekking’ per giorni dormendo in bivacchi di fortuna, lasciandosi portare dai propri piedi e dall’ispirazione del momento nell’incanto della tranquillità autunnale.Ho peregrinato quattro giorni per monti e per valli, tra pinete e praterie in un vero incanto della natura: dormivo nei fienili, mangiavo in riva a un ruscello e mi nutrivo di lamponi e mirtilli. I boschi già rosseggiavano nello loro ricche vesti invernali, e non incontravo che uccelli grandi e piccini…mi ritrovai in un delizioso vialetto ombroso e solitario: ‘o beata solitudo, o sola beatitudo!’ ho gridato: qui avevo ritrovato la bellezza della vita”. E’ proprio in famiglia che si respira aria di montagna. I fratelli maggiori, Manlio e Bruno, compiono l’ardita traversata delle torri del Vaiolet con il Tita Piaz, quando Bruno ha solo dodici anni e la stessa prova, dieci anni dopo, viene sostenuta dal giovanissimo tredicenne Nino che riutilizza “le stesse pedule che avevano servito” i fratelli maggiori. “…il giorno dopo salutandoci, dice ‘venite un’altra volta; faremo qualche cosa insieme: venite tutti e tre’. Tutti e tre! Anch’io dunque! Anch’io ero stato invitato a far ‘qualche cosa’ con Tita Piaz! Scrutavo il tempo, aspettando che si rimettesse al bello, con l’orgasmo di un bambino che vede prossima la realizzazione di una gioia insperata. Tita Piaz! Proprio io, avrei potuto fare un’arrampicata con Tita Piaz!”.

Naturalmente la prova è superata a pieni voti e Nino, che già si accompagnava con i dotati fratelli rocciatori nelle arrampicate in Dolomiti, arriva in breve a surclassarli. Senza troppa pubblicità, perché “non si arrampica per avere un applauso”, con quel carattere schivo e riservato che rifugge ogni competizione, nel ventennio 1923- 43 della sua carriera alpinistica, apre ben duecento nuove vie di elevato livello di difficoltà su calcare, granito e misto, oltre al tentativo in spedizione al Fitz Roy fino alla Brecha de Los Italianos e alla salita del Cerro Nato (erroneamente indicato come Doblado), “l’unica cima della Cordillera Patagonica, che sia stata finora conquistata dall’uomo”. Il fine non è arrivare in vetta, ma esplorare e fare proprie le pareti, gli spigoli, le creste, in una scalata guidata dalla bellezza geomorfologica di quel camino o di quella fessura, più che ispirata alla complessità del gesto. Pelmetto, Sass da Mur, Moiazza da Ovest, Piz de Sagròn, Crozzon di Brenta, Cima della Busazza, Torre Gilberti, Sass Maor, Spiz della Lastia, Marmolada di Rocca, Biegenkopf Nord, Torrione Graffer, Piz Serauta, Monte Berio sono una selezione di vie  evidenziate dallo stesso Castiglioni nei suoi diari. Le ha percorse con i familiari prima e con gli amici poi. Il compagno di cordata deve essere anzitutto un amico perché durante l’ascensione bisogna esser solidali, anche al di là di ogni sacrificio e rinuncia. “Il bene per l’amico è ciò che appartiene solo all’uomo e che lo eleva al di sopra di ogni legge fisica, di ogni interesse e di ogni egoismo. Forse nessuna cosa come la montagna può creare questo bene: solo l’unione nella più pura delle attività può creare il più puro degli affetti”. Pochi i veri amici in  ogni tappa della sua breve ma intensa vita, primo fra tutti se stesso attraverso il suo diario “C’io possa trovare l’amico in me stesso, e ch’io possa sfogare in queste pagine i miei sentimenti. Di me stesso come amico mi son sempre valso in mancanza d’altri, ma posso io esser il miglior amico per me stesso? Posso io guidarmi, consigliarmi, frenarmi, calmarmi, discutere, confrontarmi e indirizzarmi per la retta via? E può sempre la penna esprimere, e queste carte raccogliere, quanto passa per l’animo mio?”. Gli amici lo lasciano solo: prima Celso Gilberti, poi Silvio Agostini e Giorgio Graffer sono vittime di disgrazie in montagna o di ardimentosa lotta durante la guerra. Gli amici in cuor suo a volte lo tradiscono, dove Vitale Bramani cerca pubblicità per le loro salite e lo feriscono, dove Vinatzer sale da primo di cordata la ‘sua’ parete sud della Marmolada. Anche altri amici continuano a rinnovare la solidarietà che Nino cerca nei propri compagni di cordata, Camillo Battisti, Gino Pisoni e soprattutto Bruno Detassis. “Soprattutto mi ha fatto bene durante tutto questo periodo l’affratellamento con Bruno  Detassis, la sua forza morale, la sua sicurezza, la sua rude e schietta sincerità, il suo affetto e la sua sensibilità, inespressi, ma sempre percepibili. Sulla croda, come al rifugio, dopo la scomparsa di Celso, con nessuno mi son trovato così bene come con lui”. Nino e Bruno formano una cordata indissolubile e sinceramente coesa, di cui ricordiamo un aneddoto famoso dell’agosto del 1936: “Chi avesse incontrato sul sentiero del Passo Ombretta ad ora già tarda del mattino due alpinisti, uno claudicante e munito di un solido bastoncino, l’altro con un aspetto cadaverico per un potente mal di stomaco, non avrebbe certo indovinato che si recavano all’attacco della famosa parete (la Sud della Marmolada)”.

Il 18 Marzo 1936 diventa ‘il giorno delle Mésules’. Come in una folgorante illuminazione religiosa, Ettore Castiglioni, durante un incidente invernale sull’altipiano del Gruppo del Sella, riformula la sua visione dell’alpinismo in un credo di adorazione per i monti e la natura, da cui scomparirà per sempre ogni traccia di alpinismo eroico. La pagina del suo diario narra di avvenimenti fortuiti, che portano alla sua salvezza grazie ad un soccorso a piedi lungo tutta la Val Lasties, fino a Canazei.

Dopo esser rimasto da solo nella neve per ore con una gamba rotta, malgrado la sua gamba sia rimasta più corta e lui claudicante a vita, quelle circostanze sono per Nino un segno del destino. “Vagavo da solo tra le sconfinate candide ondulazioni, con la vista aperta su orizzonti di crode e di ghiacciai. La mia pista, unica traccia di vita nell’immenso silenzio invernale, affondava profonda nella neve soffice e polverosa, si rincorreva dritta di poggio in poggio, fino al valico supremo o alla vetta. Come la mia vita. Ad ogni passo, la punta dello sci avanzava fendendo profondamente la morbida coltre, calpestando l’ostacolo. Pareva mi precedesse aprendomi il passaggio. Ogni tanto mi voltavo e mi piaceva quella pista così lunga, così netta e così decisa che si snodava segnando tutto il cammino percorso. Poi l’ebbrezza della rapida scivolata, l’autorità degli arresti strappati. Sì, anche lo sci ha un senso: non è soltanto il mezzo per portarsi in montagna anche d’inverno, ma è anch’esso un’espressione del proprio essere, della gioia di dominio. […] Perché? Mi son chiesto appena mi son reso conto di essermi fratturato una gamba. Perché? E’ vero? Mi pareva che fosse uno di quei brutti sogni da cui ci si sveglia con la gioia di poter constatare che non è vero. L’avventura era tutta come qualche cosa di irreale, come di sogno: non soffrivo fisicamente o non mi accorgevo di soffrire; non sapevo pigliarla come una disgrazia: ero così felice nell’immensità di quel candore di nevi e nell’azzurro del cielo. L’accidente per se stesso mi pareva un fatterello insignificante, che per me in quel momento aveva il solo valore di darmi un godimento infinito, un’estasi di elevazione mistica e sovrumana. Sulla cima delle Mésules, ho trascorso due ore sublimi: sono volate come in un sogno, ma forse ancor oggi non so rendermi conto della vera realtà”.

Nasce un amore per la montagna che supera ogni possibile manifestazione terrena, anche il sentimento verso una donna. D’altronde Nino ha sempre rifuggito il gentil sesso e forse l’unica che abbia risvegliato in lui un desiderio di avvicinamento al mondo femminile, la Signora Ranieri -ahimè già

sposata- poteva esser solo un fugace appiglio dove non avrebbe potuto aggrapparsi a lungo per salvare se stesso: “Per la sig.ra Ranieri avevo provato qualche cosa di più di una semplice simpatia occasionale, poiché alla bellezza della donna si univa la profonda comprensione di un’anima sensibile, come la Nene (N.d.R. sua cognata), a cui non trovavo strano di dire e di rivelare tutto me stesso. Ma col suo sbarco a Santos, probabilmente anche questo è finito. La sua vicinanza tuttavia non è stata estranea alla viva impressione di luce e di gioia che mi ha lasciato la stupenda baia di Rio e l’incanto delle ultime notti sul mare”.

La seconda guerra mondiale vede Ettore Castiglioni richiamato alle armi. Sin da piccolo Nino è vissuto in una famiglia con un forte orgoglio patriottico repubblicano, in cui i fratelli maggiori e lui stesso si sono riconosciuti. Durante la Grande Guerra, Manlio e Bruno, si sono già distinti nel ’18 al comando delle postazioni sulla Cresta del Maroccaro, a circa 3000m s.l.m. fra la Presanella e l’Adamello, riportando trionfanti a valle la bandiera tricolore.

Ettore contribuisce, durante la seconda guerra mondiale dal ’42 come ufficiale negli Alpini e istruttore della scuola alpinistica, poi dopo l’8 settembre sarà partigiano. L’Alpe del Berio diventa il rifugio, il ‘covo’ dei traffici di contrabbando necessari per portare avanti l’attività partigiana. Ettore con una dozzina di suoi allievi, “la repubblica del Berio”, mette in salvo più di un centinaio di ebrei e perseguitati politici  attraverso il passo montano della Fenetre Durand, fra il monte Avril e il Mont Gelé, dalla Valpelline fino al confine Svizzero.

Anche il futuro presidente della repubblica, Luigi Einaudi passa così il confine alla finestra Durand, quasi sempre sferzata da forti venti a causa dei quali è difficile progredire a piedi anche quando ben attrezzati per un’escursione; e lo dico per esperienza diretta. “L’estate all’alpeggio: in quest’ultimo periodo del Berio però le cose vanno meglio. Ci sentiamo davvero tutti compagni, tutti amici, tutti eguali. Dettando lo statuto di questa nostra piccola repubblica indipendente…”. L’attività illegale di contrabbando conduce Nino una prima volta in prigione in Svizzera, dove si ripromette di non ricapitare, tanto più per il senso di oppressione e di staticità della prigionia, che per le angustie della detenzione stessa. Viene però fermato e trattenuto ancora, durante una quasi innocente traversata con gli sci da Valmalenco a Maloja, dove pare stesse concludendo una missione di spionaggio.

Non sappiamo molto dell’ultimo mese di attività di Castiglioni perché, si immagina per prudenza, aveva smesso di scrivere nel suo diario. Del suo ultimo giorno di vita, sappiamo solo che fu trattenuto dalle guardie di frontiera presso l’Albergo Longhin, chiuso in una camera senza scarpe e vestiti; ma Nino scappa nella notte, dalla finestra, come un eroe romantico, calandosi sulle lenzuola annodate, una coperta per abito e degli stracci ai piedi per scarpe. Gli rimangono i freddi ramponi, che usa sì sul valico del Forno, semplicemente allacciati sopra gli stracci, ma su quel varco una tempesta supera la sua leggendaria resistenza al freddo, stremandolo e addormentandolo per sempre. Il  suo corpo protetto in un balzo della roccia, così come aveva voluto proteggerlo Ettore, appena sotto il valico sul lato italiano, fu ritrovato solo a giugno, al disgelo, dando triste conferma ai presentimenti dei familiari e degli amici.

La morte di Ettore Castiglioni è proprio”da lui’, da romantico e sognatore: così può arrivare a pensare il lettore della sua biografia e dei suoi diari, ma io penso allo spazio prossemico, alla bolla vitale di Nino già corrotta, infranta, soppressa, freddata con la sola detenzione in quella stanzetta d’hotel. La sua vita tutta era la libertà di esser per monti: “E insieme alla musica è tornato anche il sole. Un sole tiepido di primavera, un’aria leggera e trasparente, un vento crudo e vivificante come una brezza montana. Lo aspiravo a pieni polmoni, a grandi sorsate, come per bere quell’aria dei monti. Vorrei tanto poter ritornare tra i monti, per ritrovarmi, per ritrovare tutta la mia energia, il mio spirito d’iniziativa, la mia volontà d’azione, il più vero me stesso”.

La morte di Nino lascia i familiari e gli amici vuoti e nulli, come anch’io mi sento tutt’oggi dopo più di mezzo secolo dalla sua tragica scomparsa. Mi sento come sospesa, in attesa di leggere della sua prossima salita, sulla prossima pagina del suo diario, in quella prosa appassionante che mi sembra poesia; e mi sovviene anche il mio caro zio Dino, con cui dovevo scrivere un romanzo sui nostri avi e sulla nostra famiglia, così incredula rimango, in questo senso di incompiuto.

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