Il battesimo della Montagna

Stefano Cerchiai

Articolo non disponibile sulla rivista cartacea. Solo online.

Casella di testo: Figura 1: Punta Spiriti, gruppo Ortles
foto tratta da: www.gulliver.it

Figura 1: Punta Spiriti, gruppo Ortles
foto tratta da: www.gulliver.it

La montagna mi ha sempre attratto più del mare; quando nacqui, nell’ottobre del 1950, mio padre era in missione in montagna e mia madre pensava sempre a lui: mi sa che mi dava latte e montagna! Mio padre infatti era topografo dell’Istituto Geografico Militare, il glorioso ente di via Battisti a Firenze, e stava fuori Firenze 6 mesi l’anno per fare rilievi e ricognizioni al fine di aggiornare e migliorare le carte topografiche, le famose “tavolette” al 25.000. Ha girato mezza Italia e anche più, dai paesini più sperduti del Gennargentu alle vette degli Appennini e delle Alpi. A piedi, in Fiat Campagnola e anche a dorso di mulo, quando nei primi anni 50 salì sul Velino ancora innevato ai primi di maggio piantandoci anche la tenda in attesa di tempo buono per fare “triangolazione” con i segnali trigonometrici delle vette all’orizzonte, sentendo anche il lupo vicino alla tenda nella notte.

E noi? Dove andava lui e dove andavamo noi. Dapprima per tutto il periodo, poi, con l’età scorale, io mia madre e mia sorella lo raggiungevamo appena finita la scuola e si ritornava a Firenze appena in tempo per San Remigio (a quei tempi la scuola iniziava il 1° ottobre per San Remigio). E così nel 1959 ci ritrovammo a Sluderno in alta val Venosta dove mio padre aveva preso in affitto una camera con uso di cucina presso una famiglia del luogo.

Un giorno, di ritorno da un’uscita in ricognizione, mio padre mi fa: “ti andrebbe di venire domani con me, si va in alto! A Punta degli Spiriti, ma bada, ci vuole fiato, attenzione e ci alziamo alle 2 di notte”. Il cuore mi balzò in petto e dissi subito di sì. Ci mettemmo all’opera per recuperare l’abbigliamento necessario, infatti fino ad allora, non avendo ancora 9 anni, avevo fatto solo semplici camminate senza salire mai molto in quota, pertanto mi mancava l’attrezzatura adeguata. Nonostante l’età ero già alto quasi 1 metro e mezzo e mio padre sapeva come rivestirmi per l’occasione: in un paese vicino c’era un suo collega cui era stata assegnata una zona limitrofa, era molto basso, poco più alto di me… ed eccomi munito di tutto l’abbigliamento per affrontare l’alta montagna!

Figura 2: io su Punta Spiriti – gruppo Ortles
 foto di mio padre Mario Cerchiai

Il giorno seguente sveglia prestissimo (le 2 di notte), ci vestiamo, prepariamo il mangiare al sacco e partiamo con la Fiat Campagnola dell’esercito con alla guida un giovane autiere di leva e dietro, insieme a me, un alpino di leva e la strumentazione occorrente: teodolite Zeiss, treppiede, tavoletta. A Trafoi ci fermiamo ad imbarcare la guida che mio padre aveva prenotato e proseguiamo fino al passo dello Stelvio. C’è un bar aperto, nonostante l’ora ancora antelucana, per rifocillarci prima di proseguire. Con la fida Campagnola ci inerpichiamo verso lo storico Rifugio Pirovano dove lasciamo la Campagnola e l’autista e iniziamo la salita.

Casella di testo: Figura 2: io su Punta Spiriti – gruppo Ortles
 foto di mio padre Mario Cerchiai
Figura 3: cornice di cresta
foto tratta da www.sestogrado.it

 La salita sul ghiacciaio inizialmente è tranquilla e senza pericoli, ma la guida dopo poco ci lega in cordata: la guida, io, mio padre e l’alpino con il suo pesante fardello di strumenti sulle spalle. L’aria è fredda, siamo dentro una nuvola e un leggero vento punge la mia faccia come mille spilli. Si continua passando vicino a dei crepacci. L’esperienza della guida ci consente di salire in sicurezza anche se la visibilità è limitata a poche decine di metri. Finalmente, appena prima della mèta, usciamo dalle nuvole e ci troviamo davanti uno spettacolo mai visto prima: un mare di bianche nuvole come panna montata e le cime più alte che spuntano tutto intorno. Poco dopo eccoci in vetta su Punta Spiriti sotto il segnale trigonometrico, sono le 8 e la temperatura è -15°C. Sono stanco, ma felice! Mo padre mi addita le cime intorno: l’Ortles, il Gran Zebrù, il Cevedale. L’aria è tersa, si vedono anche le cime più lontane, la guida ci indica il Bernina.

Mio padre si mette al lavoro ed io mi godo quella vista eccezionale, insaccato nella giacca Duvet e nei pantaloni imbottiti del collega di mio padre, infreddolito, ma con gli occhi che luccicano. Poco distante il vento ha creato una cornice pensile di neve che spiove sulla parete sottostante, non avevo mai visto una cosa simile! E grande fu la mia sorpresa quando più tardi, guardando nella stessa direzione, non la vidi più: con il salire della temperatura il tetto di neve era collassato.

Il sole adesso è alto, è mezzogiorno, la temperatura si è alzata e mio padre ha appena finito di fare i rilievi trigonometrici. Tiriamo fuori i panini preparati da mia madre, la frittatina è fredda, ma si mangia con voracità. Mi tolgo la giacca ed i pantaloni e rimango in maglione e pantaloncini corti di velluto (a quei tempi a 9 anni si andava sempre in pantaloni corti anche d’inverno).

È l’ora di smontare e rientrare alla base. La discesa è veloce, chissà come sarebbe stata bella farla con gli sci, ma in quegli anni non pensavamo certo agli sci: mio padre aveva una famiglia da tirare avanti, con sacrificio e senza fronzoli. Ed eccoci rientrati a casa con mia madre che mi abbraccia sciogliendo l’ansia che aveva avuto fin dalla sera prima senza farlo vedere. Quella notte dormii di sasso, avevo avuto il mio battesimo della montagna.

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