Testo di David Pellegrini e Lorenzo Riganella
Ci stavamo chiedendo come chiudere le ferie con un giretto nelle nostre montagne prima di immergersi nel tran tran lavorativo di tutti i giorni; qualcuno butta là un nome: “Pisanino”.

Già il nome ha fatto drizzare le orecchie a qualcuno… e le ha fatte abbassare a qualcun altro… ma alla fine in quattro siamo partiti per la Val Serenaia, nonostante il meteo incerto e il terrorismo psicologico fatto il giorno precedente quando alla semplice domanda: “Ma come è?” la risposta è stata tanto altrettanto semplice: “Non è difficile, ma, se inciampi, muori“.
Scesi di macchina alle 9.00, i vari siti meteo ci davano una finestra di sole fino alle 17.00: “allora si va per davvero!”; ci siamo imbragati e, caricati due spezzoni di corda negli zaini, siamo partiti per il Pisanino passando dalla “Bagola Bianca”.
Già questo nome faceva paura solo a sentirlo… chissà poi cosa sarà mai…

Dopo un’ora di buona salita ripida, ci troviamo alla prima placca e al primo salto di roccia; il passaggio non velocissimo del primo ci ha messo un tarlo in testa: “Senti, abbiamo le corde… usiamole!” E così è stato… diciamo – col senno del poi – che sono state utili più per un aiuto psicologico che necessario.

D’altro canto il terreno è infido, pieno di sassi smossi e rocce rotte che rendono non agevole l’attrezzaggio di una sosta… chissà che sarebbe successo se uno fosse volato! Insomma, bisogna stare attenti, non è proprio una scampagnata, la prima sicurezza devi trovarla dentro di te.

Dopo aver ripreso la cresta di paleo scalettato siamo arrivati al secondo punto in cui abbiamo optato per riusare le corde, uno spigolo esposto e malmesso.
Dopo un’oretta tutti e quattro eravamo sopra il secondo balzo, da lì alla cima è stata una passeggiata (insomma, quasi, diciamo, vista l’esposizione sempre sostenuta), fino alla rinomata Bagola Bianca che finché salivamo era solo un nome; ma appena superata e voltati indietro, grazie al sole scintillante, si è mostrata in tutto il suo splendore.
Il Pisanino è ora là davanti a noi, alto e slanciato, e sembra davvero impossibile poter arrivare lassù. Laggiù in fondo, 1000 metri sotto, c’è invece Gorfigliano; vediamo le altre due creste (della Forbice e della Mirandola) che mostrano tutte le loro difficoltà; quella davanti a noi brilla di un verde intenso, aerea e affascinante (“mamma mia come è stretta …”)… tutti e quattro con un bel respiro siamo andati oltre… e qui abbiamo capito perché non si può inciampare!

Arrivati sulla cima del Pisanino, il nostro amico meteo ci ha voluto mostrare di cosa era capace: super temporalone sull’altro versante della Garfagnana, isolato e localizzato, ma che tuoni! Foto ultra veloce alla Madoninna di vetta e giù per il Canale delle Rose, pronti ad assettarci sul paleo nel caso fosse arrivato il temporale. Temporale che alla fine non è arrivato e che ci ha permesso di fare il traverso sotto gli Zucchi con molta tranquillità. Nonostante l’apparenza, anche nel punto della cengia più stretta in realtà non ci sono grosse preoccupazioni: la roccia è buona e con mille appigli.

Risaliti alla Foce di Cardeto, altra sorpresa di questi luoghi: la grotta con la neve, quasi impossibile da crederci, se non fosse che ci abbiamo camminato sopra!


Spuntino di rito (fino a qui praticamente non ci siamo mai fermati) con le nostre cibarie e qualche lampone offerto dalla natura e poi giù fino in Val Serenaia.
Rientrati alle auto, dopo sette ore di cammino e un millino nelle gambe, abbiamo fatto giusto in tempo a cambiarci e a bere una bella birra che il tanto temuto temporale è arrivato, ma con nostra grande gioia, noi eravamo già in auto!
Alla fine, che dire? La gita non è per nulla banale; la salita alla Bagola è infatti un’impegnativa via, a cavallo fa l’escursionismo e l’alpinismo, che si snoda sull’affilata e ripida cresta ovest, caratterizzata dalla presenza di rocce smosse e paleo di cui hai piena consapevolezza solo quando ci sei, però è bellissima!
Ah, un’ultima notazione: il nome “Bagola Bianca” deriva probabilmente dalle rocce bianche che la contraddistinguono e che si stagliano inconfondibili sull’onnipresente tappeto di paleo che caratterizza questo versante del Pisanino.