“5 giorni sulle Alpi Giulie” di Alessio Mazzanti

Gennaio 2011

Piccolo diario di una traversata sulle Alpi Giulie  tra le vie normali al Jof  Fuart e Jof di Montasio e gli itinerari attrezzati sulle mitiche cengie delle Alpi di Kugy.

30 giugno 2010
Non è stato facile decidere di iscrivermi a questa uscita in Alpi Giulie: il richiamo sempre più forte per la montagna (a cui mi sono avvicinato da pochi anni) sembra fatto apposta per litigare con la mia innata cautela, che chi mi conosce bene, specialmente dalla parti di Pontassieve, in qualche caso arriva a chiamare fifa. Il fatto è che la montagna me la voglio godere senza troppe tensioni, e  non voglio essere di peso agli altri. Il programma proposto dagli amici di Scandicci sembra impegnativo: troppo per me? E d’altra parte non sono queste le occasioni per una verifica?
Verso lo Jof Fuart

Così, dopo un paio di messaggi con il capogita Alfio per essere “rincuorato”, ora mi trovo in auto, insieme ai miei compagni, alla volta di Sella Nevea. Siamo in cinque, e davanti a noi un bel po’ di strada. Un po’ di buona musica, i primi abbozzi di conversazione: ancora musica, e poi libri, cinema, labrador (nel senso di cani, che adoro), politica e, naturalmente, montagna. Le esperienze che non hai fatto, se le senti raccontare con entusiasmo, diventano un po’ anche tue. Io ascolto, immagino, rivivo le mie poche escursioni alla luce di questi racconti. E i chilometri scorrono.

Siamo a Tarvisio: due passi ci vogliono, così come un po’ di provviste per la giornata. Riprendiamo l’auto, percorriamo la Val Raccolana fino a Sella Nevea (1175 m). Al parcheggio vicino alla caserma della Guardia di Finanza scarichiamo i nostri zaini. L’escursione ha inizio. Si comincia subito a salire, prima attraverso un bel bosco di abeti, poi in terreno aperto su su fino al Passo degli Scalini (2022 m). Il gruppetto si è allungato, ma siamo sempre a vista l’uno con l’altro: chi si gode il panorama, chi fa fotografie, chi riprende fiato grazie a panorama e fotografie, ma tutti siamo incantati dallo scenario in cui ci stiamo immergendo. Scendiamo di circa 150 metri,  incrociamo il sentiero che scende dalla Forcella Lavinal dell’Orso, poi la  Parete delle Gocce e lo spigolo dell’Ago di Villaco, e arriviamo finalmente al Rifugio Guido Corsi (1874 m).
Il rifugio è a nostra completa disposizione: ci sono solo il gestore Cristiano con moglie e figlioletta, il cuoco, un gatto, un paio di alpinisti amici del gestore. La situazione ideale per scambiare qualche parola, e per avere indicazioni di prima mano su tempi, segnaletica, presenza e condizioni della neve relativi alle escursioni che abbiamo in programma. La sera e la stanchezza (per le lunghe ore in auto e per i 900 metri di dislivello) calano rapidamente, insieme alla temperatura. Ci accorgiamo che in sala da pranzo fa ancora più freddo che all’esterno, ma c’è un bel camino, e non ci dispiacerebbe approfittarne. Purtroppo è già tardi per metterlo in funzione. Cristiano ci promette che ce lo farà trovare acceso il giorno successivo, e per la serata dovremo accontentarci del calore di zuppe, vino rosso e frico, frittatona di formaggio e patate tipica della Carnia di cui mi innamoro all’istante, e che non tradirò più fino alla cena di chiusura della nostre escursioni friulane.
Scendendo dalla Forcella Lavinal dell’Orso

1 luglio

Sveglia alle 6.30, rapida colazione, un ultimo controllo agli zaini, e si parte, direzione dello Jof Fuart. L’escursione è stata ben preparata da Alfio e Cristiana, e le previsioni meteo ci confortano. Il sentiero sale fra prati e ghiaie. Alla prima paretina che incontriamo siamo accolti da un branco di giovani stambecchi, che dall’alto ci osservano tranquilli: meglio tirare fuori i caschetti, e anche imbraco e kit, che comunque di lì a poco dovremo utilizzare. Alla forcella di Riofreddo una targa indica l’inizio del sentiero Anita Goitan. I cavi metallici e qualche staffa sono limitati ai tratti più delicati, e in un paio di occasioni Cristiana mi fa notare come questa “sobrietà” rasenti talvolta l’incongruenza: –  Vedi, qui il cavo si interrompe un paio di metri prima del dovuto! O il cavo non lo si mette, oppure lo si stende fino a evitare ogni rischio!
La salita procede senza problemi, i cavi lasciano il posto a  ampie cenge e qualche roccetta fino alla cresta, che ci porta alla piccola sella che separa le due cime dello Jof Fuart. Forti della consuetudine a questi passaggi i miei compagni superano di slancio anche il gradino roccioso a metà della sella e sono alla piccola croce di vetta con madonnina (2666 m). Io mi fermo sulla prima cima, per riprendere fiato e concentrazione. Mi accorgo che la mia non è solo cautela: è anche un modo per prolungare l’emozione che, per quanto mi riguarda, è inesprimibile. Mi unisco agli altri. Lo sguardo spazia a 360°. Foto di rito, i nostri nomi sul libro di vetta, un rapido spuntino e prendiamo al via del ritorno, che ci porta fino alla forcella Mosè: qualche altro tratto attrezzato, un paio di lingue di neve da attraversare e siamo sul sentiero che in poco meno di un’ora ci riporta al rifugio. Un po’ di relax, la cena, il camino acceso, due chiacchiere con il gestore. Dopo aver sfogliato alcuni bei libri sulle due comunità (austriaca e italiana) che vissero su queste montagne le atrocità della Grande Guerra, la conversazione vira inopinatamente verso campi elettrostatici e  telecomunicazioni, e più precisamente verso le gabbie di Faraday, utilizzate come protezione dai fulmini (e quindi anche nei rifugi e negli alloggiamenti militari), e che pare si siano rivelati anche un  mezzo di intercettazione. Alfio si mostra una vera autorità in materia, la conversazione si fa tecnica e quasi misteriosa, da iniziati. Così qualcuno abbandona il tavolo per il fascino ipnotico del fuoco del camino: è il naturale preludio alle brande, anche se l’indomani sarà una tranquilla tappa di trasferimento.
Foto di vetta

2 luglio

Sveglia alla solita ora, colazione, saluti e  foto di gruppo assieme al gestore, e riprendiamo il sentiero da cui siamo arrivati al rifugio Corsi, verso il Passo degli Scalini. La tappa prevede però una deviazione sul sentiero CAI n.626 che risale per prati di un verde intenso verso il catino che conduce alla forcella Lavinal dell’Orso (2138 m). L’ultima mezz’ora di salita la facciamo sulla neve, apparentemente ignorati dai numerosi stambecchi che a qualche decina di metri da noi si godono il tepore del sole nell’aria ancora fresca del mattino. La vista del Montasio che si gode via via che si sale verso la forcella è impagabile, ma l’ampia Val Rio del Lago che abbiamo di fronte mentre  torniamo sui nostri passi  non è da meno. Il resto è semplice trasferimento verso il rifugio Di Brazzà (1660), situato su un bello sperone roccioso al centro del vasto altopiano dominato dal Montasio. Siamo un po’ in anticipo sui tempi previsti, il rifugio è occupato “militarmente” da una quarantina di ragazzi e dai loro accompagnatori, ma ben presto ci ritroviamo ancora una volta soli. Le ore di luce a disposizione sono ancora molte, così in tre decidiamo di scendere a Sella Nevea a recuperare l’auto, che ci consentirà di risparmiarci quei chilometri scendendo dal Montasio all’indomani. Al nostro ritorno siamo sommersi da un diluvio, ma per fortuna siamo in auto, al riparo. Aspettiamo tranquilli che il temporale faccia il suo corso, e poi raggiungiamo i nostri amici rimasti al rifugio. A cena posso confrontare il frico del Corsi con quello del Di Brazzà: vince quest’ultimo, ma è l’unica nota positiva del rifugio, che ci appare assai poco confortevole.
3 luglio
Sveglia di buon’ora, colazione, zaino in spalla e siamo sulla la via normale del Montasio, che da prima scorre quasi in piano su bei prati fioriti per poi salire alla volta della forcella Disteis (2201 m), da cui si ha un impressionate affaccio sul canalone delle Clapadorie. È sabato, e si vede: i giorni passati sembrava che la montagna fosse nostra esclusiva proprietà (escludendo gli stambecchi), oggi gli escursionisti salgono in gruppetti a intervalli regolari. Alla forcella Disteis il sentiero gira bruscamente sulla destra e poco dopo troviamo la neve: attraverso tranquillamente la prima lingua, alla seconda sono già un po’ più teso, poi il sentiero ritorna sul “sodo”, e affronto con tranquillità alcuni gradoni rocciosi e canalini detritici. Alla terza lingua di neve, che si snoda erta fino alle pareti rocciose che portano alla scala Pipan, decido di rinunciare, per evitare che la tensione che già avverto possa bloccarmi. Cristiana mi accompagna alla forcella: la rapidità con cui ritorna sui suoi passi per raggiungere gli altri conferma che stavo anche rallentando il passo dei miei compagni.
Resto solo:  l’attesa sarà lunga, ma di certo non sgradevole. Il sole riscalda piacevolmente, l’ambiente è meraviglioso,  i camosci sono così tranquilli e noncuranti che potrebbero venire a brucare fra i miei scarponi. Il Montasio alle mie spalle, l’anfiteatro dei Piani e il Monte Canin davanti a me. Insomma, non vivo la mia rinuncia a proseguire come un fallimento, ma come una scelta giusta: magari eccessivamente prudente, ma giusta. E mi godo il molto che è alla mia portata. Il sole se ne va, e comincia a raffrescare. Decido di scendere un centinaio di metri, e mi sistemo su un prato con lo sguardo verso  il sentiero da cui scenderanno i miei amici. I piccoli gruppi di chi sta scendendo si stagliano sulle ultime lingue di neve, qualcuno si ferma di sua iniziativa a scambiare due parole e mi informa sui “toscani”: – Tutto bene, stanno scendendo, fra una mezz’ora saranno qui. Anche questo mi fa amare la montagna. Qualche goccia d’acqua precede l’arrivo dei tre: un rapido saluto e via di buon passo verso il rifugio: stasera ci sarà tempo e modo di vivere con loro la parte di escursione che mi sono perso. Siamo al rifugio: raccogliamo i bagagli che avevamo lasciato al mattino e scendiamo verso l’auto, che ci riporterà al rifugio Divisione Julia di Sella Nevea. Dopo la doccia e prima di cena c’è anche il tempo per un prosecco sulla terrazza della Baita Delle Alpi Giulie: è il brindisi che mancava.
4 luglio
La domenica è divisa fra gli acquisti gastronomici (la malga Montasio è un forziere di prelibatezze  a cui non ci sottraiamo) e una breve visita a Malborghetto-Valbruna  (Casa Alpina Julius Kugy) nel primo pomeriggio, al ritorno da un’ultima passeggiata. Dal parcheggio di Malga Saisera (1004 m) scendiamo verso il torrente Saisera, di cui percorriamo parte dell’amplissimo letto asciutto, fino a un sentiero sulla nostra sinistra, che facciamo fatica a trovare: una frana ha modificato la conformazione del terreno disseminandolo di massi e tronchi che rendono assai poco agevole il passo. Poi il sentiero risale con bella pendenza una fitta faggeta, e arriva finalmente ad alcuni ruderi militari e al bivacco Stuparich (1587 m). Da qui possiamo ammirare il versante nord del Montasio, lo Jof di Somdogna, lo Jof Fuart: il miglior sigillo a questi giorni nel cuore delle Alpi Carniche.
Scendiamo rapidamente dallo sperone roccioso dello Stuparich, e dopo una breve puntata al rifugio Fratelli Grego (che ci offre riparo da un imprevisto e rapido ma discreto temporale) siamo di nuovo al parcheggio.
Ormai non resta che riprendere la via di casa. C’è tempo per un ultimo fuori programma: Alfio, appagato, si spoglia delle vesti di attento capogita e mi “guida” all’ingresso in autostrada dalla parte sbagliata. Conclusione, una imprevista puntata in Austria, con tanto di bollino sul parabrezza. Non lo toglierò.
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