“Valanga” di Marina Todisco

Gennaio 2011

Un amico mi racconta di due escursionisti travolti da una valanga sotto gli occhi impotenti del loro compagno di gita, tutti senza Artva. E’ Manfred Stuffer

che narra, guida alpina dei Catores di Ortisei e membro del Soccorso Alpino; aggiunge che, certo, l’apparecchio per la ricerca dei travolti in valanga (ARTVA) non salva necessariamente la vita, ma dà una possibilità in più di essere ritrovati rapidamente. Il tempo che passa durante la ricerca discrimina fra la vita e la morte per ipotermia, ovvero per assideramento da freddo; sono i primi quindici minuti che fanno la differenza.

La valanga va evitata, prevenendo l’evento attraverso un’attenta valutazione del rischio, chiarisce Manfred, e sfata il mito che siano solo gli scialpinisti a provocare valanghe. Laconico conclude che conta tanto l’esperienza. Sì, ma in pillole?

Manfred è davvero preparato nel suo lavoro di guida internazionale, mi scruta con occhio attento e mi spiega con calma nel suo accento altoatesino.

La prevenzione avviene grazie ad accurate analisi, sia nei giorni imminenti la gita, sia durante la gita stessa. E’ importante parlare con le guide alpine e i rifugisti, e seguire i consigli dei più esperti.

Serve un accurato studio delle condizioni meteo nell’area della gita nei due o tre giorni precedenti: è piovuto o nevicato tanto? E’ stato ventoso? Sono cadute valanghe? Il termometro è sopra lo zero?

Seguono nell’analisi, una consapevole comprensione del bollettino valanghe e un’attenta scelta dell’itinerario: avanzeremo lungo pendii ripidi oltre i trenta gradi? Esposti e senza rocce sotto cui ripararsi? La zona è generalmente poco frequentata? Esistono vie di fuga o itinerari alternativi?

Occorre una profonda conoscenza del gruppo con cui si effettua la gita. Il rischio cresce se partecipano persone che non sono attrezzate con ARTVA, pala e sonda o semplicemente non istruite ad usarli. Ogni caduta sugli sci o a piedi provoca un maggiore sovraccarico della neve, quindi lo scarso livello tecnico dei compagni è un’aggravante. Ed infine, far parte di un gruppo parecchio numeroso, o composto solo di due elementi, aumenta il rischio.

Finalmente sulla neve, possiamo verificare se è bagnata o se, a piedi, ci si sprofonda più di venti o trenta centimetri, se è davvero accumulata dal vento, o brinata in qualche strato. Meglio sarebbe procedere distanziati nei tratti critici.

Trovando affermazioni a queste domande, dobbiamo consapevolmente prendere atto della crescente pericolosità dell’itinerario scelto.

L’esperienza non si dosa in pillole, ma si acquisisce, e, questo, è già un buon inizio per me. Ci tengo ad aggiungere una nota personale: compriamo ed impariamo ad usare un ARTVA, perchè la vita vale molto di più. Buona neve farinosa a tutti!

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