“Che fine ha fatto il Gornergrat?” di Andrea Tozzi

Gennaio 2009

La telefonata mi giunge la sera tardi, mentre sono in laboratorio. Piero, un mio caro collega, mi domanda se sono disposto a portargli del materiale al telescopio del Gornergrat, in Svizzera. Era il 2002 e non avevo molte cose da fare oltre il lavoro e il volontariato… e dunque acconsento: una risatina all’altro capo del telefono è la risposta. Firmati in fretta e furia i pochi fogli di autorizzazione, fra gli sguardi allibiti di taluni e fra i sospiri di altri, parto la mattina dopo di buon’ora… ovviamente e rigorosamente con mezzi pubblici! Era il 2002: palmari e cellulari non erano ancora entrati nel mio vocabolario. Due appunti scritti in fretta erano tutta la mia mappa. Brig era la chiave del percorso, località di cui memorizzai subito il curioso nome essendo Zermatt e Gornergrat nomi che proprio, all’epoca, non mi dicevano un bel niente.
Il treno mi porta oltrefrontiera: il simpatico pastore tedesco del poliziotto svizzero non parve molto convinto dalla mia scatola di cartone… legata in fretta col classico spago. Se sperava in salsicce e salami rimase un po’ deluso: all’ispezione scapparono fuori solo cavetti, componenti elettronici e preziosissime ottiche. Arrivato a Brig salto su di un trenino a grimagliera sfruttandone i quasi sessanta incresciosi secondi di ritardo nella partenza: provvidenziali, perchè ancora il viaggio era a niente!!
Era il 2002 e  vestivo solo di cotone (“il tessuto della morte” come me lo chiamarono di li’ a due anni alla Tita Piaz, durante un corso) e scarpe da ginnastica. Il freddo cominciava a farsi sentire. A zermett trovo la neve, ma perdo il biglietto e fra il saltare sul trenino e aspettare il successivo preferisco la multa… in preziosa valuta di Franchi Svizzeri, s’intende, che io non avevo ancora avuto l’onore di toccare. Il placido controllore m’invita a guardare bene nelle tasche ed ecco saltar fuori anche il biglietto! Il viaggio comincia a farsi un po’ troppo lungo: è quasi buio, dell’osservatorio non se ne vedon le tracce o per meglio dire, le cupole, il trenino a crimagliera arranca e sono solo nel vagone se si esclude una simpatica famigliola. Madre, biondissima, perfetta ed avvolta da una candida pelliccia bianca, marito, tonico e sorridente, figliolo clone del padre. Tre valige di lusso e l’anello di lei mi mettono in allarme… ho sbagliato treno!! Il trenino arranca e guardando fuori ti vedo un monte a punta di una bellezza agghiacciante. A mezza costa scorgo un rifugio: incredibile! Sulla vetta lingue di vento spazzano la neve nella luce rossastra del tramonto. E’ senz’altro l’immagine più bella che ho di una montagna, da sempre. Trattavasi ovviamente del Cervino (4478m), che da quelle parti si fa chiamare Matterhorn… ma era il 2002 e io a malapena sapevo dove fosse Zermatt. Arrivati ad una piccola casetta di legno il trenino si ferma e ti vedo saltare dentro il vagone due arzilli tipi in livrea verde seguiti da un terzo in livrea rossa che parte a dare ordini e a dispensare sorrisi, certamente non a me ma alla bella famigliola. Una scena da favola: con tutta quella neve e i tipi in maschera m’aspetto di vedere anche qualche gnomo e magari Alice in compagnia del Bianconiglio! Finalmente il treno riparte, arranca di nuovo per la salita ed ecco il capolinea.
Domando se quello è il Gornergrat e il conducente, telegrafico, mi dice più che altro che quello è il capolinea. Ferale notizia. Scendo. Un freddo birbone m’attanaglia le mani nude.
Di Piero manco l’ombra, ma son fiducioso. Percorro le ultime decine di metri verso l’unico edificio che fa bella mostra di se di due cupole, chiaro sintomi che li c’hanno da essere dei telescopi. Entro da una porta e mi ritrovo in un bell’ambiente caldo e pieno di gente allegra: un tizio mi intercetta prontamente, squadra il mio bagaglio, capisce tutto e anche qualche cosa di più e m’avverte che quello è l’albergo, di girare attorno l’edificio ed entrare da dietro… “se cerca il telescopio”. Esco di nuovo al freddo senza neppur aver avuto modo di obiettare qualche cosa, giro un angolo, apro un’uscio di legno (“vai che ora m’appare lo Stregatto!”) e finalmente mi ritrovo nella calda atmosfera rabberciata dell’osservatorio italiano più alto del mondo: 3150 metri! Il ritmico “swing-swing” del liquefattore d’azoto mi invita a poggiare il pacco: méta in quindici ore.
Gornergrat

Salgo una rampa di scale e mi ritrovo nella foresteria: Piero ci accoglie calorosamente, me e la scatoal di cartone.

Si mette a ridere: “solo un ragazzo avrebbe acconsentito a precipitarsi fin quassù!”. Mi fa fare un rapido giro del piccolo osservatorio: la sala controllo e’ zeppa di monitor e tastiere; dato l’angusto ambiente ricorda l’interno di una MIR. AL telescopio, poco più su, si accede tramite un’infida  botola e un’altrettanto infida scaletta.
TIRGO: Telescopio Infrarosso del GOrnergrat. Un edificio arroccato fra le più alte vette d’europa, circondato com’è da alcune decine di montagne che superano i quattromila metri. Un cielo terso da far spavento e da lasciarti ammutolito, un panorama sconcertante che non ti ci raccapezzi nemmeno come sia saltato fuori tutto quello che vedi: una cattedrale sconfinata di ghiaccio e neve, un paradiso per alpinisti e gente di buon senso.
Mi portano nella mensa, un piccolo vano ammezzato ricavato tra la camerata e la sala controllo. Dalla pentola a pressione, cronometro alla mano, escono degli ottimi spaghetti cotti a puntino e la cena ristoratrice fa da preludio ad un sonno profondo per niente turbato dalla quota e dal Chianti.
L’indomani mattina il lavoro ferve: è saltata una preziosa notte d’osservazione in pieno inverno, quando il freddo è più intenso e il vapor d’acqua condensa liberando l’atmosfera della sua fastidiosa presenza e permettendo superbe acquisizioni nella banda dell’infrarosso, vanto del telescopio. Un metro e mezzo di diametro non è poi molto, ma a quella quota, in mezzo ai ghiacci non ce ne son tanti di telescopi! Bel posto, sito astronomico eccellente. Ma ecco che nel 2004 fu deciso di smantellare il telescopio del Gornergrat: troppe spese. Smontato letteralmente a pezzi, fu portato giù, motoslitta compresa, in parte a Bologna e in parte a languire in un’altro laboratorio dismesso della collina di Arcetri.
Se adesso vi salta alla mente qualche immagine di rifugio alpino abbandonato magari sepolto dalla neve in cui fischia solo il vento, vi sbagliate di grosso: il luogo è stato prontamente rilevato dalla locale sezione di un gruppo astrofili svizzero che ha preso in gestione la cupola, ci ha installato un commercialissimo telescopietto e ha aperto l’uscio a facoltosi vacanzieri giapponesi che con l’occasione di visitare il bel centro commerciale di lusso ricavato nei locali della ex foresteria e magari permottare nel prospicente albergo di lusso, si concede anche una bella serata osservativa a un non modico prezzo, alla faccia del Cervino lì di fronte che, perplesso, scruterà noi essseri umani intenti a costruir negozi attorno ai quattromila metri, chiedendosi se magari l’aria fina aiuti gli acquisti e forse, nelle notti di luna piena, chiede pure al Piccolo Cervino: “psss… di un po’, come ti va? Si vende, si vende, ehh?”, giusto per esorcizzare il fatto che un centro commerciale lo faccian prima o poi anche in cima alla sua splendita mole… ovviamente dopo averne spianata un pò la scomoda punta, s’intende!
Ma d’altronde come si può pretendere rispetto per le montagne da parte di un genere umano che, in larga parte, non ha più rispetto neppure per i suoi simili, quando questi, appunto, son “simili” e non proprio uguali?
Una vecchia carta che indica il panorama che si gode dal Gornergrat
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