“Scienza ai confini del mondo” di Andrea Tozzi

Annuario 2010

Philip quella mattina si era svegliato molto presto, ma non che facesse molta differenza in quel luogo: era buio già da diverse settimane e la temperatura era crollata a -60 gradi centigradi… sempre meglio dei -74 stabiliti nell’ultimo record. Prima di cominciare il suo turno voleva controllare la posta e come al solito avrebbe trovato alla meglio un unico messaggio di sua madre che pareva essere l’unica persona a preoccuparsi per lui, quasi dimenticato su quel mondo lontano e freddo. Raggiunse la sua postazione di lavoro a piedi guidato dalle luci delle trivelle. Phill azionò il pulsante che controllava l’uscita dell’acqua calda: un getto di vapore lo avvolse procurandogli una piacevole sensazione di caldo fin sotto la tuta da lavoro di chiara origine spaziale.
“Scavare buchi profondi duemilacinquecento metri su un plateau di ghiaccio spesso tre chilometri a oltre tremila metri di quota con una temperatura attorno i quaranta gradi sotto zero, non è un lavoro da persone sane di mente” si ripeteva tutte le volte che schiacciava quel pulsante “senza parlare del fatto che lo stadio più vicino è a molte settimane di viaggio da qui… se riesci a raggiungerlo!”. Ma la paga era buona e anche se all’intervista aveva dichiarato il suo amore per la scienza e la volontà di contribuire alla ricerca scientifica, non gliene fregava poi molto di neutrini muonici o tauonici o elettronici che fossero. Ne avevano fatta di strada dalle camere a bolle, ma molta più strada aveva fatto la lista dei suoi creditori e allora eccolo li, all’estremo inferiore di un pianeta sperduto ai confini della galassia a posizionare migliaia di rivelatori sferici poco più grossi di una palla da basket in profondi buchi nel ghiacciaio più immenso su cui l’uomo avesse mai calcato piede. “E poi che scienza e scienza! A dir poco vogliono solo stabilire il numero di centrali atomiche sparse sul pianeta!”
“Dai Mr. Dick!” – lo fece sobbalzare un suo compagno di squadra – “Ancora due anni e avremo il più grande rivelatore di neutrini del sistema solare! Non sei contento?”.
Potrebbe essere l’inizio di un racconto di fantascienza e invece trattasi della Amundsen–Scott South Pole Station (http://www.nsf.gov/od/opp/support/southp.jsp)!
Latitudine: 90 sud, longitudine… quella che volete tanto non fa differenza qui. Quota: 2835 metri. Temperatura media estiva: -28 gradi centigradi, invernale -60. Fondata da diciotto uomini della US Navy nel lontano 1956 fu raggiunta via “terra” per la prima volta partendo dalla stazione Scott Base il 3 gennaio 1958 da Sir Edmund Hillary (quell’Hillary!). E da allora sempre abitata e in evoluzione continua: attualmente si sta costruendo un rivelatore di neutrini e ci vivono quarantasette persone.
IceCube (http://icecube.wisc.edu/)è il nome dell’esperimento il cui scopo è determinare direzione, origine e tipo dei neutrini, particelle fermioniche molto ostiche da rivelarsi non avendo né carica elettrica, né di colore, né massa! Vengono prodotte dalle reazioni nucleari ed essendo prive (quasi) di interazioni con la materia trasportano l’informazione che sta alla base della loro generazione immutata anche dopo milioni di anni luce di strada: un sogno per gli scienziati! E come tutti i sogni sono effimere anche loro e di difficilissima individuazione.
Concordia

Le rare interazioni con la materia esistono però e quando avvengono viene prodotto un muone la cui flebile luce blu si trasmette nel ghiaccio ultratrasparente del Polo Sud arrivando a colpire alcuni dei 4800 rivelatori di luce di cui è composto IceCube, capace di monitore oltre un chilometro cubo di ghiaccio. I segnali, elaborati da potenti computer, vengono tradotti in traiettorie con una risoluzione angolare di pochi gradi. I rivelatori delle dimensioni appunto di una palla da basket vengono posizionati nel ghiaccio secondo uno schema geometrico noto grazie a delle trivelle ad acqua calda che possono perforare il ghiaccio fino a 2.5 Km. Infatti, il quel punto del Polo Sud lo spessore della coltre di ghiaccio supera i 3 Km!

Spostiamoci alla base italo francese di Concordia (http://www.concordiabase.eu/). Latitudine 75 gradi Sud, longitudine 123 gradi Est, 3233 metri s.l.m., record di temperatura di -84,6 gradi centigradi (26 agosto 1982). Tipicamente si raggiunge dalla Base Italiana costiera Mario Zucchelli in Antartide, raggiunta via nave dalla Nuova Zelanda. In questa base, a differenza della Amundsen–Scott, la presenza italiana è numerosa: CNR (consiglio Nazionale delle Ricerche) per primo ma non solo. L’attività scientifica è multidisciplinare e si va dalla glaciologia all’astrofisica, dalla medicina alla sismologia, dalla biologia alla scienza dell’atmosfera…  fra un taglio e un altro ai fondi della ricerca italiana!
Amundsen-Scott South Pole Station

Dome C: Il paradiso degli astronomi! Aria tersa, vento assente, umidità nulla: cielo limpido! Un telescopio di 25 cm è operativo in via sperimentale dal 2007 (Small IRAIT) e l’IRAIT da 80 cm ne è il successore. Il telescopio ha una curiosa base di legno che ricorda i vecchi telescopi, ma non per il taglio ai fondi, solo per isolarlo termicamente dal plateau. Se volete una spiegazione del perché Dome C sia perfetto per le osservazioni astronomiche leggetevi la spiegazione dell’amico e collega Runa Briguglio su http://www.concordiabase.eu/diario/diario-winter-2007/46-la-luna-latmosfera-e-lorizzonte.html uno dei partecipanti della missione 2007 che vi svelerà anche i misteri del mitico “raggio verde” che, al Polo Sud, è di casa! Ogni missione a Concordia dura sei mesi e considerate che lavorare in questi luoghi assomiglia un po’ a lavorare nello spazio: l’isolamento, il clima ostile, la convivenza forzata, la necessità di supporti vitali. Indovinate chi è il personaggio più essenziale della stazione: il meccanico! Provate a pensare cosa può accadere se si ferma la caldaia o si rompe un tubo! Hai voglia te ad avere la stazione d’emergenza, gli aiuti possono impiegarci settimane ad arrivare. E se vi chiedete dove sono tenuti i viveri, dalla verdura, al prosciutto, alla birra, la risposta è “nel container la fuori”. L’importante è tenere sempre sott’occhio la scorta di cherosene!

Anche le difficoltà tecniche nel far funzionare le cose sono molto simili a quelle che s’incontrano nello spazio: muovere un telescopietto da duecento chili a -60 gradi centigradi non è affatto uno scherzo e se poi lo volete puntare su un astro e fare delle acquisizioni nell’infrarosso che durino molti minuti, allora siamo al limite delle cose fattibili.
Le stazioni antartiche

Queste sono due delle stazioni scientifiche presenti al Polo Sud che di fatto è il continente in cui la percentuale di popolazione impegnata in attività di ricerca rasenta il 100% così come i fondi che là vengono spesi per la ricerca, il che è di sicuro conforto per un paese come il nostro in cui la percentuale di persone impegnate nella ricerca non raggiunge l’1% della popolazione adulta (1) e in cui i fondi spesi per la ricerca raggiungono a malapena l’1% del PIL (2).

(1) Secondo il rapporto ISTAT “La Ricerca e Sviluppo in Italia nel periodo 2003-2005”, presentato nell’ottobre 2005, la ricerca intra-muros nel 2003 ha coinvolto 161.830 unità di personale impegnate a tempo pieno, di cui 70.333 ricercatori.
(2) proiezione di G.Sirilli, ISPRI-CNR

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