“Una giornata in Padule” di Marco Bastogi

Gennaio 2006

Domenica 27 febbraio 2005, si è svolta una gita programmata del gruppo escursionistico Emilio Orsini, diretta da Giuseppe Ercoles e dal sottoscritto. Un escursione un po’ diversa dal solito non certo la consueta camminata in montagna su creste e dirupi che magari …si conclude raggiungendo l’anelato rifugio ove trovare un momento di piacevole ristoro e di piacevole compagnia. Una gita inconsueta anche sotto l’aspetto del camminare perché il dislivello massimo ha raggiunto forse appena qualche decina di metri ed anche i percorsi a piedi sono stati estremamente ridotti proprio per le caratteristiche peculiari del territorio che ci ha ospitato: il Padule di Fucecchio.

Si tratta di un ambiente generalmente estraneo per la natura escursionistica che ci distingue, che si estende tra quote di appena 14-16 m s.l.m. e su  particolari “sentieri”: gli argini dei canali. A farci da guida, grazie al supporto che ci hanno fornito gli amici della Sezione CAI di Valdarno Inferiore, Valerio: un esperto ed appassionato di questi luoghi che ben volentieri si è prestato per spiegarci gli aspetti faunistici, storici e sull’uso di questo territorio che riveste un interesse molto particolare  proprio per l’insolito ambiente che in esso si scopre. Attualmente i territori palustri sono considerati a pieno titolo ambienti da tutelare perché costituiscono ecosistemi ad elevata biodiversità e con un gran numero di specie animali e vegetali rare o in via di estinzione. Il padule di

Cappiano

Fucecchio da questo punto di vista, riveste particolare importanza oltre che per la ricchezza di specie vegetali ed animali, per il fatto che esso, per la fauna migratoria, rappresenta il collegamento tra costa tirrenica e l’interno della nostra penisola. Il Padule occupa una superficie di circa 1.800 ettari distribuiti tra le province di Pistoia e Firenze e rappresenta la più grande palude interna italiana. Per lo più, questa area umida, si estende nella parte meridionale della Valdinievole e rappresenta ciò che resta di un antico lago pleistocenico. La visita ci porta da prima a Ponte a Cappiano, il Ponte Mediceo sul canale dell’Usciana dove il padule si chiude. Qui è possibile ammirare la spettacolare opera idraulica realizzata dal Granduca Cosimo I dei Medici nel 1550 per rialzare il livello delle acque del padule, in modo da poterle sfruttare come riserva di pesca ad esclusivo uso della casa regnante.

La pesca perdurò fino al 1780 quando Leopoldo I di Lorena, dopo proteste secolari degli abitanti che si lamentavano dell’ambiente insalubre nel quale dovevano vivere, fece aprire definitivamente le cateratte della pescaia abbassando per sempre il livello delle acque. Il primo tratto dell’escursione ci ha portato al ponte alla Cavallaia, da cui, lasciato l’autobus, abbiamo percorso un bel tratto dell’argine del canale Maestro. Ampie vedute si aprono sul padule con sullo sfondo, l’abitato di Masserella ed il rilievo delle Cerbaie. I “Chiari”, così si chiamano gli specchi d’acqua lasciati liberi dalla vegetazione palustre dove viene praticata la caccia utilizzando gli “stampi”, finte anatre che agiscono da richiamo per quelle vere. Qui è stato facile avvistare aironi cinerini, folaghe, garzette, nitticore e  lungo l’argine tantissime tane di gamberi della Louisiana (chiamato anche gambero assassino), un crostaceo sfuggito (così si dice) alcuni anni fa da un allevamento in Spagna e che in poco tempo ha raggiunto l’Italia infestando i nostri ambienti fluviali e lacustri e facendo “piazza pulita” di uova di tante specie di pesci e non disdegnando nei momenti di magra neppure alcune specie erbacee caratterizzanti del paesaggio oggi divenute rare nel padule. Dopo il pranzo a sacco lungo l’argine, con l’autobus ci siamo spostati lungo la sponda occidentale, risalendo il blando rilievo delle Cerbaie, toponimo molto discusso che ricorda l’antica presenza del cervo o (per altri) dei boschi di cerro. Il pulman ci ha lasciato sulla sommità del rilievo (ben 50 m s.l.m. o poco più) per permetterci di discendere a piedi in direzione del Porto Stillo. Prima di raggiungere la località, ci siamo soffermati per far notare le particolari caratteristiche litologiche di questi terreni. Lungo i tagli delle scarpate stradali, è facile infatti osservare, mescolati con le sabbie ed i limi pleistocenici, piccoli ciottoli quarzosi bianchi; si tratta di frammenti arrotondati per il trasporto operato dagli antichi corsi d’acqua che provenivano dal Monte Pisano dove si trova la roccia madre (Verrucano). Questi fiumi trasportavano sedimenti strappati dalle rocce del Monte Pisano, facendoli depositare  nell’antico lago chiamato delle “Pianore” che un tempo occupava il territorio compreso tra il M. Pisano, il Monte Albano e le colline a sud dell’Arno. Oggi, dopo un recentissimo sollevamento risalente soltanto a qualche migliaio di anni fa, questi sedimenti di fondo lago, si ritrovano a costituire il ripiano sommitale delle Cerbaie. Discesi a Porto Stillo, Valerio, la nostra guida, ben attrezzata con gli strumenti utilizzati da sempre per la pesca nel padule, ci ha spiegato le tecniche tramandate dal passato che ancora oggi vengono attuate. Tramagli e nasse di varie forme e grandezze, una sorta di canestri in giunco e di reti cilindriche, vere e proprie trappole fatali per il pesce quando posizionate sapientemente in opera lungo canali minori o i percorsi frequentati dalla fauna ittica. Strumento essenziale per il pescatore in padule è l’immancabile e caratteristico “barchino”, il mezzo di spostamento più opportuno per muoversi sulle acque basse e spesso ostruite dalla vegetazione palustre. Il barchino, come dice il nome, è una piccola imbarcazione di legno di cipresso con il fondo piatto, una prua appuntita e la poppa piatta, nero perché completamente ricoperto di bitume per proteggerlo dall’acqua e farlo durare più a lungo; una sorta di gondola per il padule. Sembra che oggi sia rimasto soltanto un ultimo artigiano che lo sa costruire e che sia stracarico di prenotazioni.

Valerio, la nostra organizzatissima guida che naturalmente possiede un proprio barchino, parcheggiato proprio qui a Porto Stillo, ci ha illustrato la tecnica di “guida”; con una lunga pertica, in piedi al centro della piccola barca, facendo leva sul fondo del padule, si spinge ed ecco che il barchino sfreccia silenzioso e veloce sul pelo dell’acqua.     Nel pomeriggio si prosegue con l’autobus ed il successivo ed ultimo spostamento ci porta alla riserva naturale protetta de “Le Morette” istituita dalla Provincia di Pistoia dal 1996, che assieme all’area “La Monaca Righetti” (non troppo lontana da qui), raggiunge una superficie complessiva di 200 ettari. Qui lungo un percorso attrezzato con vedute sul padule, ben confuse nell’ambiente, è possibile osservare molte specie ornitiche protette tra le quali le Morette che danno il nome al porto e quindi alla riserva; gruppi di folaghe animano le acque calme e stagnanti, mentre numerose tracce sull’argine, lasciate dalle nutrie avvertono di una intensa frequentazione di questo roditore anch’esso naturalizzato nel nostro territorio da alcuni anni, ma proveniente da ambienti esotici. In questa riserva viene praticata una gestione attiva che comprende il controllo della vegetazione, il recupero ambientale degli specchi d’acqua libera (i così detti “chiari”), e le opere di manutenzione tese ad incrementare le opportunità di visita.

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