“Uno sguardo dai crinali del Pratomagno” di Giuliano Pierrallini

Annuario 2009

(foto Marcello Lisi)

Nella grande ansa formata dall’Arno, una volta raggiunta la piana, dopo aver abbandonato le boschive pendici del Falterona, si inserisce, quasi a voler farsi corteggiare, il lungo massiccio del Pratomagno, oltre sessantacinque chilometri di cresta, tutti percorribili lungo sentieri ben tracciati, individuati a suo tempo dal compianto Gian Paolo Matteagi, Presidente della sezione di Arezzo; un lungo itinerario percorribile in quattro tappe, dall’alto del quale, come a volo d’uccello, possiamo ripercorrere i gioielli del Valdarno Superiore e del Casentino, attestati lungo questa giogaia che fa da spartiacque.

Mulin di Bucchio

Il territorio che insiste intorno al vasto complesso risulta ricchissimo per numero di Comuni, Castelli, Pievi, Abbazie ed altre evenienze considerate minori solo rispetto all’importanza grandissima di quelle più comunemente considerate; impossibile in questo excursus che ripercorre alcuni crinali toscani addentrarsi compiutamente in una trattazione che richiederebbe un intero libro, e forse lo meriterebbe. Mi limiterò a dare alcuni cenni relativi a due tipologie d’indagine che mi sembrano le più coerenti ad un “assaggio” che preluda ad un’indagine più accurata, cosa che consiglio vivamente a chi abbia qualche curiosità e si voglia giovare di un’esperienza all’aria aperta, non difficoltosa, fra le più interessanti della nostra Regione. Una di tipo escursionistico, che si attaglia decisamente alla nostra attività, ed una che faccia riferimento a cenni culturali che ognuno poi vorrà sviluppare secondo i propri gusti, una particolare sensibilità, il proprio senso della scoperta. E’ ovvio beninteso che le due azioni s’intersecano e consiglio vivamente a chi voglia cimentarvisi di privilegiare appunto questo escursionismo attento al paesaggio in generale, non solo quindi a seguire la traccia del sentiero ma a comprendere quanto, quella direttrice e quelle che da essa si diramano, hanno da raccontare, riportando all’attenzione ed alla memoria fatti, episodi, momenti di vita vissuta le cui memoria è bene, di tanto in tanto in tanto, riprendere; ed insieme a tutto ciò, visto che dobbiamo sempre far riferimento al passato per poter con maggior cognizione guardare avanti, capire come possiamo meglio conservare questo patrimonio, metterlo a frutto, renderlo ragionevolmente fruibile alle nuove generazioni ed a coloro che, per pigrizia od impossibilità, fino ad ora lo hanno assurdamente trascurato.

Una viabilità principale di più di sessantacinque chilometri, come dicevo, percorribile sul sentiero OO (come diciamo noi per intendersi) che si parte dal Mulin di Bucchio, località posta sulla strada fra Stia e Londa, giunge al Passo della Consuma, prosegue per il Varco di Gastra, raggiunge il Passo della Crocina e conclude la cavalcata a Subbiano, sulla strada che da Arezzo va a Bibbiena. Quattro tappe che ognuno potrà giostrare a suo piacimento, adeguandole ai propri interessi ed alle personali capacità, percorrendole, se preferibile, in senso inverso, costruendo più brevi itinerari di andata e ritorno, favoriti in ogni caso dalla presenza di numerose strade asfaltate o sterrate, percorribili con le auto, che permetteranno di comporre gli itinerari con la maggior versatilità possibile. E dopo questi brevi avvertimenti, per non farla tanto lunga, non resta che partire per quella che considero un’affascinante avventura, come lo sono tutte quelle che non si esauriscono nell’arco di poche ore o di una giornata, ma spaziano nel tempo, sono realizzabili nella massima libertà secondo un proprio filo conduttore, documentandosi o lasciandosi sorprendere momento per momento, considerando il camminare cosciente come uno degli strumenti più idonei ad arricchire il proprio spirito.

Per aspera ad astra, attraverso la salita al raggiungimento del crinale, questo l’inizio della nostra proposta che muove i primi passi dall’ancora attiva costruzione del Mulin di Bucchio ove possiamo ammirare le tutt’ora efficienti pale mosse dalla forza dell’acqua dell’Arno giovane, desideroso di darsi da fare. Guadato l’affluente Vinceva si giunge, sempre in salita, a Castelcastagnaio, tipico borgo di montagna, dall’aspetto austero e riservato, caratterizzato dai ruderi, peraltro bel conservati, di un interessante maniero che presenta, quale momento di maggior considerazione, la visita alla sottostante, assai ampia cisterna, tale da assicurare una buona scorta idrica in caso d’assedio. Una serie di saliscendi che permettono di tirare un po’ il fiato ci consentono di porre il piede nella frazione di Gualdo, visibile da lungi, come tutti gli abitati montani, anche attraverso il bosco, per il campanile che spicca fra le modeste abitazioni, un po’ come un can da pastore che tenga sotto controllo le pecorelle affidategli. Il Passo della Consuma ed il relativo agglomerato sono la meta di questa prima tappa che ci ha portati già oltre i mille metri, in prossimità di quei crinali che ora distinguiamo e con impazienza contiamo di raggiungere al più presto, ben sapendo quanto, di lassù, il nostro sguardo potrà spaziare in una assai più vasta dimensione. In effetti l’itinerario sarebbe potuto anche partire da questo valico ma, a mio parere, ben ha fatto l’amico Matteagi a fargli prendere l’avvio dall’Arno, visto che proprio innanzi al medesimo avrà termine, segnando così, il fiume così caro a Dante,  spesso visibile dall’alto, il vero filo conduttore di questa esaltante cavalcata.

Vallucciole

La seconda frazione è quella che ci consente di librarci in quota, lungo le erbe tormentate dal vento e riarse dal sole del “grande prato”, è qui che la montagna mostra il suo vero volto, gli spazi si fanno immensi, la vista corre all’orizzonte, l’esaltazione personale annulla la fatica fino al punto di farci sentire leggeri quasi come quegli uccelli che, dall’alto, paiono sorvegliare i nostri passi, forse un poco seccati per la nostra intrusione. In località Secchieta tocchiamo uno dei culmini della nostra traversata e ci giunge provvidenziale il Rifugio ove il buon Giuntini, apparentemente burbero ma sempre disponibile ad un moderato sorriso, ci consentirà di ristorarci er affrontare con rinnovellato vigore il cimento dei vari Varchi che ci attendono, in successione: del Cardeto, di Reggello, di Gastra ove ha termine questa secondo tratto. Nel senso in cui stiamo camminando avremo alla nostra sinistra il Casentino sormontato dai monti che lo cingono a nord: Massicaia, Falterona, Falco, Poggio Scali; innanzi ai nostri occhi lo snodarsi sinuoso del crinale che dovremo ancora percorrere, con la Croce del Pratomagno, il culmine della nostra camminata che appare e scompare a seconda dei saliscendi cui saremo obbligati; più o meno nella stessa direzione, se saremo fortunati circa la visibilità, potremo cogliere il profilo delle montagna lontane dell’Italia centrale; alla nostra destra il Valdarno Superiore con i grandi paesi di fondovalle, le numerose frazioni, le infinite case sparse a testimonianza di un’antropizzazione notevole seppur contenuta in termini non eccessivamente invasivi; alle nostre spalle, pure assai lontane, le rotondeggianti cime appenniniche e le più aguzze Alpi Apuane; credo proprio che di più non si possa pretendere! A poco più di una ventina di minuti dal termine di questa seconda frazione avremo raggiunto il culmine dell’Uomo di Sasso, il secondo punto più alto dell’intero tracciato; gli ometti, nel nostro gergo montanaro, sono quei segnali fatti di pietre sovrapposte, lungo i percorsi prativi ove il segno biancorosso richiederebbe supporti appositi; orbene, su questo culmine, l’ometto è cresciuto, e “per la nostra salvezza si è fatto Uomo”, garantendoci anche in giornate di nebbia, non infrequenti, visibilità da lungi e garanzia di esser sulla retta via.

Porciano

Il terzo tratto, così come il secondo, consiste in una lunga maratona di crinale, caratterizzato dal raggiungimento di altri due varchi, quello della Vetrice e quello di Castelfranco; ancora un chilometro e mezzo e poi potremo entrare nel recinto che accoglie la grande croce metallica  del Pratomagno, nel punto più alto della lunga escursione a 1.591 metri; il panorama tutt’intorno appare fitto e lontano, siamo veramente alti sulle vallate che ci circondano eppure possiamo riconoscere monti e località che ci sono familiari, oppure, con una carta che è sempre opportuno portare con sé, divertirsi ad orientarla e subito dopo a riconoscere i vari toponimi, cercando, per quanto possibile, di muoversi in maniera responsabile. Da questo momento in poi, salvo brevissimi tratti in controtendenza, potremo goderci una lunghissima discesa, non eccessivamente ripida, che ci consentirà, pur mantenendo sempre una certa attenzione, di dedicarci con ancora maggior partecipazione allo studio del territorio sul quale ci muoviamo; i paesi, da una parte e dall’altra del crinale, ci serviranno da punti di riferimento finchè, giunti a Casa Feraglia, non avremo più che un quarto d’ora per giungere al Passo della Crocina, valico fra il Valdarno ed il Casentino, meta di questa terza giornata. Ci attende a questo punto il segmento più facile dell’intera traversata, tolto qualche leggerissimo saliscendi, quasi tutto in discesa con, in fronte, i monti dell’aretino, ormai in vista dell’Arno che ritroveremo a Subbiano, dopo averlo lasciato quattro giorni or sono.

Transitiamo dalla località Spedale, una denominazione che ci ricorda l’esistenza di una costruzione atta ad ospitare viandanti e pellegrini, di fatto, a tutt’oggi, è allocata ancora una vecchia costruzione con le finestrine inferriate che condivide la radura con un’antica chiesetta in pietra; il luogo è molto suggestivo e merita una sosta, non solo per riposarsi, ma per un poco di riflessione su quanto abbiamo fatto e visto, solo così i nostri passi non saranno stati inutili e la nostra avventura avrà avuto un senso compiuto. Prima di raggiungere la meta ci aspetta ancora l’incontro con un’evenienza interessante, gli avanzi delle Torri di Belfiore, ruderi degradati che, con un po’ di fantasia, elemento necessario in certe circostanze, ci danno ancora l’idea di un castello dell’XI°-XII° sec., uno dei tanti del comprensorio aretino, probabilmente appartenuto ai conti Guidi che, in un determinato momento storico, furono gli incontrastati signori della zona.

Finisce qui questa breve indicazione circa la proposta di attraversare integralmente il massiccio del Pratomagno, se riusciremo a compiere la traversata, come indicato, saranno stati quattro giorni pieni durante i quali, oltre a respirare la buona aria di montagna, avremo arricchito non poco le nostre conoscenze naturali e storiche. Ma c’è un altro modo per godere ancora maggiormente delle possibilità infinite che questo territorio e le sue adiacenze offrono: quello di costruirsi, utilizzando la carta e le indicazioni del fascicolo allegato, degli anelli giornalieri che, dai paesi, dalle strade di fondovalle e da quelle di media montagna, raggiungono i crinali attraversando le zone abitative e tutte quelle costruzioni, più o meno in buone condizioni, che ci danno la dimensione della ricchezza storica di questa montagna da sempre compiutamente abitata. A questo proposito, mi sembra opportuno far seguire a questi brevi suggerimenti adatti soprattutto ai camminatori, alcune note relative ai paesi, alle chiese, ai castelli, allargando la possibilità di conoscenza anche a chi vi possa giungere comodamente con la macchina e quindi possa dedicare il proprio tempo allo studio attento di quanto avrà modo di incontrare, scattando magari qualche foto, prendendo qualche appunto ed, avendo la fortuna di incontrare le persone giuste, poter parlare con qualche anziano che riporti alla memoria particolari che nessun testo è più in grado di ricordare.

Tralascerò volutamente quelle architetture o quei luoghi che, inseriti in un circuito turistico, godono di una frequentazione costante anche se purtroppo non sempre attenta; cercherò di mettere in luce certi aspetti o particolari, talvolta trascurati, che meritano di essere segnalati perché possono costituire vere, autentiche scoperte.

Comuni del Casentino

Bibbiena merita una visita di una giornata, magari con una sosta pranzo visto che, nel capoluogo, si mangia bene; segnalo comunque il Palazzo Dovizi, la Chiesa di San Lorenzo, con i tesori robbiani, la Chiesa dei SS. Ippolito e Donato, il Santuario di S.Maria del Sasso, un chilometro e mezzo fuori della cittadina. A Capolona, del cui comune fa parte Subbiano, meta del trekking suggerito, non si può assolutamente ignorare la Pieve di Sietina, toponimo di natura etrusca, poco fuori il centro abitato; la costruzione attuale risale al IX°-X° sec. ma sicuramente, dalle tracce rilevate, possiamo parlare di un preesistente edificio paleocristiano; all’interno, su pareti, pilastri ed arcate si possono ammirare affreschi risalenti al XIV° sec. di scuola fiorentina, così come ebbe a giudicare l’aretino Giorgio Vasari quando venne a visionare la “Madonna della tosse”.

Montemignaio - La Torre dal Palagio

A Montemignaio e le sue frazioni gli amici del Gruppo Namastè hanno dedicato un sentiero circolare che le percorre tutte in un continuo, affascinante saliscendi; tanto per dare un’idea dell’estensione di questo territorio semi-abitativo dirò che il giro, attraverso il quale si prende visione dell’intero nucleo sparso, comporta circa 5-6 ore  di cammino sempre che non si voglia soltanto guardare l’orologio. Fra tante perle, due le cose principali da non trascurare: il Castello del Leone che domina con la sua torre la vasta conca, ovviamente appartenuto ai Guidi, e la Pieve romanica di Santa Maria del XII°-XIII° sec., affiancata da una torre di probabile, antecedente costruzione; a parte i successivi rifacimenti che hanno un po’ guastato l’armonia dell’insieme, interessanti restano i capitelli perfettamente inseriti nello stile dell’epoca.

Ortignano e Raggiolo, fino alla metà del 1800 erano due frazioni distinte, si sono poi riunite con sede comunale ad Ortignano; il territorio è stato oggetto di vari passaggi di proprietà, probabilmente non incruenti: Vescovi di Arezzo, Camaldolesi, Guidi di Poppi, Ubertini e Tarlati; le cronache parlano di almeno due castelli attualmente non visibili o forse, in parte, inglobati in successive costruzioni. Raggiolo si connota per viuzze strette selciate che serpeggiano attraverso costruzioni pure in pietra; Ortignano mostra la Chiesa di san Matteo con opere pittoriche di un certo pregio.

Poppi ci gratifica solo se possiamo dedicarle una mezza giornata, oppure una intera se vogliamo accuratamente visitare il celeberrimo, quasi intatto Castello che domina la piana come la torre di controllo di un aeroporto. L’alto mastio, dell’VIII°-IX° sec., con funzione di avvistamento, è la parte più antica intorno alla quale, in epoche posteriori, XII°-XIII° sec, venne edificato il resto della costruzione che mostra all’interno i motivi più pregevoli che giustificano la visita. Affreschi, una grande sala, una stupenda scala in pietra, la biblioteca Rilliana, un gioiello di pregevole interesse; narra il Vasari nelle sue Vite che Arnolfo di Cambio, architetto del fiorentino Palazzo Vecchio, per la costruzione del medesimo ebbe ad ispirarsi a questo edificio casentinese il quale, fra le nebbie che sovente caratterizzano il bacino dell’Arno, naviga a mezz’aria con effetti sorprendenti. Nel borgo vecchio si dia un’occhiata alla Torre dei diavoli alla quale è legata una leggenda boccaccesca di amori e delitti, per i quali, la bella Matelda, ebbe a ritrovarsi murata viva onde pagare il fio dei suoi eccessivi appetiti sessuali.

Scendendo dalla Consuma si incontrano i due comuni di Pratovecchio e Stia, separati da brevissima distanza territoriale, conosciutissimi ed estremamente frequentati, tanto che possiamo parlarne in un unico, veloce accenno visto che le notorietà è tale che non resta più molto da scoprirvi: oltre agli avanzi del Castello e della celebre pieve di Romena, rammenterei ai curiosi, nel primo dei due comuni, una robbiana nella chiesa parrocchiale del SS.mo Nome di Gesù ed il decentrato edificio religioso di S. Maria a Poppiena risalente a poco oltre l’anno mille. Mentre a Stia, a parte la Pieve di S.Maria Assunta, una delle più importanti del Casentino, proporrei il castello di Porciano, recentemente restaurato e visitabile per appuntamento, nonchè la chiesa di S.Maria della Grazie, fuori abitato, sulla rotabile che porta a Londa, per le decorazioni in terracotta invetriata (teste di cherubini) ed ulteriori robbiane di cui il territorio aretino è particolarmente ricco, come testimoniato da una recente mostra, svoltasi nel capoluogo provinciale, che ha avuto particolare successo. Il Castello di San Niccolò, dalla caratteristica torre dotata di orologio,  domina il corso del Solano e l’abitato di Strada in Casentino, un paese che si distingue per la laboriosità che, nel tempo, ha messo in luce, favorito dalla ricchezza dell’acqua, numerosi mulini, uno dei quali operante ancora con la macina in pietra, oltre a frantoi e magli per la lavorazione del ferro battuto, altra caratteristica locale. Ma è all’inizio dell’abitato, per chi provenga da Borgo alla Collina, che si trova il monumento più interessante di questa località, la Pieve intitolata a San Martino di Tours, un gioiello dell’arte romanica, che ha ritrovato la sua essenzialità in seguito e recenti restauri, cancellando quanto di deplorevole il “deprecabile” barocco aveva inteso aggiungere ad una costruzione di per sé perfetta.

Dei comuni casentinesi Talla, in special modo per i fiorentini, è sicuramente il meno conosciuto e, proprio per questo motivo, quello che consiglio per una gita fuori porta; la fortificazione della Castellaccia non esiste più, ma alcune case torri in pietra costituiscono l’eredità alto medioevale di maggior pregio che testimonia visivamente l’utilizzo delle pietre appartenenti all’antico maniero. Per chi volesse poi dedicarsi ad una bella passeggiata nei boschi di castagno, non c’è che avviarsi alla volta della Badia di Santa Trinita in Alpe, una volta luogo di culto assai famoso, risalente a prima del Mille, posta in un fascinoso angolo di foresta, semidiroccata ma ancora in grado di suggerire un’antica nobiltà richiamata anche dall’esistenza dell’annesso monastero che ebbe grande notorietà su entrambi i versanti del Pratomagno.

Comuni del Valdarno Superiore aretino

Lungo la strada Sette Ponti, che collegava un tempo Arezzo a Fiesole, in comune di Castel Franco di Sopra, sorge la badia di San Salvadore a Soffena, costruzione dell’XI° sec., oggetto di un recente, ben riuscito restauro che ha potuto accertare preesistenze romane e financo etrusche, ma, quel che più conta, si è potuto recuperare un importante ciclo di affreschi rimasti sepolti sotto l’intonaco delle pareti; la Chiesa non vanta la celebrità di quelle famose del Valdarno (in particolare Cascia e Gropina), costituisce perciò un’interessante sorpresa che consiglierei di non trascurare.

Il paese di Loro Ciuffenna, al quale è legata la presenza della Pieve di Gropina, la più conosciuta e famosa dell’aretino, è caratterizzato da una numerosa presenza di borghi montani sparsi lungo le pendici orientali del Pratomagno: fra i tanti i più notevoli rispondono ai nomi di Anciolina, con i resti della rocca al culmine dell’abitato, di Rocca Ricciarda, il cui castello si basava sul macigno che incombe sulle viuzze tormentate del selciato, de La Trappola, anch’essa dotata di un arroccamento che probabilmente faceva parte del sistema difensivo comprendente la cinta delle mura. La Pieve di Santa Maria a Pian di Scò non è fra quelle considerate imperdibili, ciò nonostante, risalendo al Mille, e mostrando pressochè intatto l’impianto generale, le tre navate, la solennità spaziosa ed essenziale dei luoghi di culto romanici, merita a mio avviso, di essere assai rivalutata anche per la presenza di capitelli dalla finitura e dalle raffigurazioni decisamente incisive malgrado la voluta sobrietà.

Comuni del Valdarno fiorentino

Pelago e Reggello insistono sul versante orientale del lungo massiccio, sono località troppo note per doversi dilungare, dirò solo che, nella prima località, presso l’antico castello di Altomena, sono stati rinvenuti resti preistorici, mentre, nel centro del paese, si può ancora individuare la presenza dell’antica fortificazione feudale. Per quanto riguarda Reggello, non occorre sottolineare l’importanza di san Pietro a Cascia e dell’ancor più nota Abbazia di Vallombrosa; mi vorrei soffermare invece sulla presenza della Chiesa di S.Agata ad Arfoli, ubicata un po’ fuori del paese, in una posizione di verde riposante decisamente invidiabile. Cito il Matteagi “ Questa piccola chiesa ha una grande storia che risale sino ai Goti che portarono il culto della santa catanese dalla Sicilia alla Toscana”; una lastra tombale all’interno riporta la data del 1126, su questa si può notare una delle prime raffigurazioni del giglio fiorentino.

Bagno Vignoni

Da tutti i Comuni, per i quali ho dato brevi cenni di interesse generale partono sentieri che si arrampicano lungo le pendici del nostro massiccio, taluni lunghissimi che collegano addirittura Casentino e Valdarno, altri più brevi che fanno, da ambo le parti, capo al crinale; ognuno ha la possibilità di godere a proprio piacimento questo amplissimo, aereo territorio, i percorsi sono facili, ben identificati dai sentieri C.A.I., talvolta un po’ faticosi vista la pendenza dei versanti, in particolare quello valdarnese sul quale, la Sezione di Arezzo, sul Monte di Loro, ha aperto addirittura una ferrata che non è propriamente banale.

Sul Pratomagno ci sarebbe ancora tanto da dire ma mi pare di aver stuzzicato abbastanza la curiosità di chi vorrà approfondire culturalmente ed escursionisticamente la propria conoscenza; in definitiva è l’unico vero monte che abbiamo alle porte di casa, un ambiente vasto e multiforme al quale non manca veramente nulla: Storia, Arte, Natura; vale la pena, a parer mio, di dargli un’occhiata appassionata e ne saremo ripagati.

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