Da quasi 50 anni, il Cerro Torre è protagonista di una commedia. Una commedia consumata nei dubbi, nelle incertezze, molto spesso in affermazioni di cattivo gusto ed opinioni in libertà. Una commedia, la cui rappresentazione finale avrà, prevedibilmente, luogo in un aula di tribunale.Un aula vera, con giudici veri ai quali poco importa che i protagonisti siano alpinisti, ortolani o coiffeur, un aula nella quale tutto è rigorosamente appeso ad un codice. Cosa ben più seria del grottesco processo messo in scena pochi mesi fa da una giuria composta da celebri alpinisti che oltre a saperne di alpinismo, su questo non c’è dubbio, pretendono di farsi custodi della verità. Su tutto, su tutti, pesa e peserà come un macigno la mole del Cerro Torre, una montagna simbolo dell’alpinismo che ho visto solo in fotografia – tanto per essere chiari – ma che per fama e bellezza estetica eccita la fantasia anche di coloro, come chi scrive, che quelle linee non ha potuto apprezzare da vicino. Prende spunto da qui, senza alcuna presunzione, la mia personale rappresentazione di questa commedia.
Sono passati quasi due anni, da quei primi mesi del 2005, in cui presentai alcune “profetiche” serate, come benevolmente le definisce l’amico Melucci, nelle quali illustravo storia e vicende alpinistiche del Cerro Torre. Serate che io stesso attesi con una certa ansietà e delle quali anch’io mi meravigliai; se fino ad allora, nelle mie precedenti, modeste apparizioni pubbliche, mi ero limitato a parlare di fatti, in quell’occasione si trattava di dare motivi di interesse ad una platea che chiedeva risposta ai tanti punti interrogativi da me sollevati. Risposte che non potevo dare, e da qui la mia ansietà, perché parlavo di semplici ipotesi, non di fatti. A conferma, tuttavia, dell’interesse suscitato dal Torre e dalla curiosità che gli episodi discussi provocano, le serate ebbero buon successo di pubblico. Uno dei punti critici sollevati nella mia illustrazione dei fatti fu, ovviamente, la discussa ascensione di Maestri ed Egger realizzata nel gennaio 1959 e riportata in discussione, più o meno al tempo delle mie serate, da un articolo pubblicato dall’American Alpine Journal – “A mountain unveiled” – a firma di tale Rolando Garibotti, talentuoso alpinista italo-argentino cresciuto sul granito della California e, fino a quel momento, sconosciuto ai più. In quelle occasioni, ci tengo a dirlo, non espressi giudizi, lasciai la più ampia libertà di valutazione sulla scorta dei fatti illustrati. A giustificare quelle mie serate fu il fatto che tutta la storia alpinistica del Torre ruota intorno a questa prima ascensione. Mi sembrò interessante, a distanza di così tanti anni, porre a confronto la versione di Maestri con le rivelazioni di Garibotti. Questa ascensione, d’altronde, era, ed è, per molti versi discutibile – inutile negarlo – e realizzata lungo un itinerario che si è rivelato negli anni fra i più problematici. Altri elementi influivano a renderla discutibile: la morte di Toni Egger colpito da una scarica di ghiaccio, il ritrovamento in fin di vita di Cesare Maestri salvato a stento da Cesarino Fava, nessuna prova della riuscita ascensione se non la parola di Maestri stesso, essendo andata perduta, con la caduta, la macchina fotografica custodita da Egger con impresse le immagini scattate in vetta.
Partendo da tali elementi è facile intuire perché, come d’incanto, la commedia si arricchisca di protagonisti peculiarmente distinti da sceneggiature e copioni diversi. Il primo interprete di questa commedia è un giornale locale di Buenos Aires che subito, non appena Maestri vi mette piede al ritorno dal Torre, insinua il fatto che sia responsabile della morte di Egger. Passano alcuni anni, la scena cambia: Carlo Mauri appena tornato dal fallito tentativo alla parete ovest, nel gennaio del 1970, dichiara che il Torre è montagna “impossibile”; nelle sue dichiarazioni non fa mai il nome di Maestri ma ne è chiaro il riferimento. Franco Rho, giornalista sportivo – non poteva certo mancare un giornalista nel cast – ce la mette tutta, proprio tutta, per dimostrare che la cima del Torre non ha mai avuto piacere di ospitare “piede d’uomo”. Cesare Maestri, si sa, è uomo dalle grandi provocazioni, di sanguigna teatralità. Per questo, nel dicembre del 1970, torna al Torre per realizzare una nuova prima ascensione, rivolge le sue attenzioni allo spigolo sud-est portando a compimento un itinerario più comunemente chiamato, “la via del compressore”, ancora oggi, credo, la più ripetuta e conosciuta. Giunto al termine delle difficoltà, a circa 30 metri dalla cima, ritenendo conquistato il Torre, Maestri decide di non salire il fungo di ghiaccio sommitale dichiarandolo estraneo ed in procinto di essere “soffiato via uno di questi giorni”. Si cala dalla cima strappando i chiodi posti negli ultimi venti metri di parete, lega all’ultimo di questi il compressore con il quale ne aveva piantati più di 400 e ridiscende.
Nemmeno il tempo di rendersene conto ed il proscenio ruota rapidamente su se stesso. L’ambientamento si fa di stile inglese: Ken Wilson, direttore della rivista Mountain, solleva, più o meno nello stesso periodo (settembre 1972), molti sospetti su quanto dichiarato da Maestri. Mosso anche dalle testimonianze di un gruppo di formidabili alpinisti (Crew, Boysen, Burke, Haston oltre a Fonrouge vincitore del Supercouloir del Fitz Roy nel 1965) che invano avevano tentato, nel 1968, lo spigolo poi domato da Maestri, dichiara proprio sulle pagine della rivista che Maestri non ha mai raggiunto la cima del Torre. Certo è che Wilson e, direi, un pò tutta la stampa anglosassone in generale, hanno avuto, anche negli anni a seguire, un ruolo determinante in questa commedia. Non ultimo l’aver caldeggiato e reso possibile il processo farsa di cui ho accennato e di cui parlerò in seguito. Nel gennaio 1974 una spedizione dei Ragni di Lecco, condotta da Casimiro Ferrari, conquista il Cerro Torre lungo la parete ovest raggiungendo la sommità del fungo di ghiaccio. A calpestarlo per la prima volta nella storia dell’alpinismo, come in molti sostengono, sono Daniele Chiappa, Mario Conti, Casimiro Ferrari, e Pino Negri. Ecco … questi sono i fatti.
Passano gli anni, anni apparentemente sereni, fin tanto non salgono alla ribalta due nuovi personaggi: Rolando Garibotti ed Ermanno Salvaterra. Di Garibotti ho già detto. Scrive nel 2004 “a mountain unveiled” nel quale grazie ad una personale ricostruzione dei fatti fondata anche su autorevoli testimonianze – molte di queste anglosassoni ovviamente – dichiara che Maestri non ha mai raggiunto la cima del Torre. Di Salvaterra dirò che da molti anni dedica buona parte della sua attività alpinistica a questa montagna che pare averlo stregato. Di fatto, quindi, ne è uno dei suoi migliori conoscitori al mondo (terza ripetizione della via del compressore nel 1983 bissata, a distanza di due anni, dalla prima ascensione invernale in compagnia, peraltro, di Paolo Caruso meglio conosciuto per aver introdotto il noto, omonimo metodo di arrampicata. Nuova via alla parete sud – “Infinito sud” – nel 1995 che gli varrà la Genziana d’Argento al Filmfestival di Trento nel 1996. Nuova via alla parete est – “Quinque anni ad paradisum” – nel 2004) Salvaterra si è sempre schierato a fianco di Maestri ma ecco che nell’estate del 2005 il quadro cambia ancora una volta: il quotidiano “il Trentino” del 19 luglio 2005 riporta una sua intervista, rilasciata alla rivista Alp, nella quale dichiara di pensarla diversamente rispetto a quanto dichiarato “fino a qualche tempo fa”, rivendica di aver difeso Cesare “a spada tratta” ma sostanzialmente di essersi sbagliato tanto da giungere alla conclusione, dopo attenta analisi della documentazione, che Maestri “non può aver raggiunto la cima del Torre” …
Come per magia entra in scena, a questo punto l’ultimo degli attori del cast …. il Re degli ottomila. Non poteva certo far mancare il suo pensiero. Fra Sua Maestà e Maestri non è mai corso buon sangue. Già nel 1970, al ritorno di Maestri dalla vittoriosa ascensione dello spigolo sud-est e quando ancora sono soltanto due gli ottomila nel curriculum del futuro Re, i due si guardano in cagnesco, si annusano reciprocamente con ostilità. Messner accusa pubblicamente Maestri di non aver rispettato alcuna regola etica, gli contesta, in pratica, l’uso del compressore come, d’altronde, saranno in molti a fare negli anni a seguire. Il “Ragno delle Dolomiti” non si fa pregare e, come al solito, non essendo mai riuscito a tenere a freno la lingua, risponde per le rime, sempre di fronte ad un pubblico numeroso. La cosa finisce lì, fino al 2006 quando Sua Maestà torna a parlare di Maestri dichiarando sostanzialmente che “salendo” il Cerro Torre “undici anni dopo in stile diverso e per una via diversa […] ha dimostrato che la prima volta qualcosa non era andato per il verso giusto. Chiunque compie un’impresa alpinistica la vuole poi ripetere per dimostrare che l’ha fatta davvero” (fonte: quotidiano Il Trentino – 20 luglio 2005). Ora … al di là del fatto che con la morte di Egger è evidente che qualcosa non è andato per il verso giusto (verrebbe quasi voglia di rispondere “certo Maestà che qualcosa non è andato per il verso giusto, è morta una persona se n’è accorto? ma chi se ne frega del Torre, sappia che non c’è nessuna cima al mondo che valga la morte di una persona.”), ma è anche oltremodo curioso che un alpinista senta il bisogno di ripercorrere le vie dopo averle aperte solo per dimostrare che l’ha davvero aperte. Non mi risulta, peraltro, che chi sostiene ciò l’abbia mai fatto. Voglio tuttavia crederci, tanto da stimolare il mio protagonismo ad andare a ripetere un banale monotiro che con Fabio di Borgo aprimmo, circa venti anni fa, al Rocchino di Cavrenno. Checchè se ne dica, per due volonterosi innamorati come noi fu una gratificante realizzazione e a dispetto della miseria alpinistica di chi l’aprì, quella via c’è ancora, qualcuno l’ha addirittura inserita in qualche guida d’arrampicata con un livello anche più alto di quello che pensammo allora. Se le cose stanno come dice Sua Maestà, prometto pubblicamente di andare a ripetere quei banali venti metri di parete dimostrando così al mondo intero la bontà di quanto affermato. Oltretutto, con il rischio che la cosa prenda piede, vorrei evitare che qualcuno mi freghi quel capolavoro balistico. Come Ken Wilson e Franco Rho sanno benissimo, questo è il grande potere della cronaca. Sono riusciti nell’intento di mettere in discussione le parole di Maestri, a me è riuscito accostare il Cerro Torre al Rocchino di Cavrenno. Che risate gente …
Il Cerro Torre (da www.allposters.it)
Il 13 novembre 2005 Ermanno Salvaterra, Rolando Garibotti ed Alessandro Beltrami raggiungono la cima del Torre lungo quello che si presume sia stato l’itinerario di Egger-Maestri nel 1959, la rivista Rock and Ice titola “Maestri route finally climbed”. Nutro molti dubbi sulla oggettività di questa affermazione ma, d’altronde, questa è la rappresentazione di un romanzo intricato e ricco di colpi di scena. Per quanto mi riguarda la via di Maestri non è ancora stata ripetuta. La nuova via – chiamata “Arca dei venti” – sfrutta infatti parte di una via già aperta sulla parete ovest per poi riguadagnare lo spigolo nord all’uscita del quale i tre alpinisti tornano a calpestare le simboliche impronte lasciate dalla spedizione di Ferrari nel ’74 e da qui, ripercorrendone le gesta, guadagnano la cima del fungo di ghiaccio. Maestri ha sempre dichiarato che la sua via corre lungo lo spigolo o a sinistra dello spigolo in piena parete nord. Forse, da quello che è dato vedere, “l’Arca dei venti” ne ripercorre la parte alta ma non può apertamente essere considerata la prima ripetizione della via di Maestri. Mi giustifico: dunque, fino al Colle della Conquista non è un nuovo itinerario, fino al punto in cui la via si porta in parete nord sfrutta una via già aperta (Cristalli nel vento), la parte alta non è un nuovo itinerario ma è quello della spedizione dei Ragni di Lecco. Dunque Garibotti e company – begli alpinisti perbacco – hanno aperto, stando a ciò, una nuova porzione di via lungo la parete nord. Volendo infierire … un concatenamento fra vie? Una bella variante? La Egger-Maestri, francamente, è un’altra storia. Tanto dovevo …
Siamo ormai agli sgoccioli della commedia, l’11 maggio 2006, a Lugano, si riunisce una giuria di insigni alpinisti che ha cercato di dare risposta a questo giallo che dura da 47 anni. L’occasione del confronto è data dal Festival dei Festival, rassegna internazionale della cinematografia di montagna. In sostanza, al di là delle dichiarazioni di principio, è un processo a Maestri bello e buono. Al termine dei lavori, a notte fonda, nessuna decisione è presa, praticamente si risolve con un nulla di fatto. Sostanzialmente il giudizio finale (ma la chiamerei sentenza in bello stile) “sfocia nell’indeterminatezza, perché la razionalità continua a fare i conti con i margini di dubbio (fonte: quotidiano La Provincia – 13 maggio 2006)”. Indeterminatezza, razionalità, dubbio? Che vi siano margini di dubbio, sono d’accordo con voi … ma c’era bisogno di un processo per capirlo? Di più … si tiene sospeso un giudizio di questa importanza, ammesso abbia pubblica validità, cosa di cui dubito, solo fondandolo sulla razionalità? Cosa c’entra? Di cosa si parla? Si può liquidare l’onorabilità di una persona solo basandosi sulla razionalità? Se fosse dipeso dalla oggettività dei fatti, al di là di credere o meno alle parole di Maestri, l’avrei capito, anche perché ognuno ha il diritto di pensarla come vuole, ma coltivare il dubbio basandosi sulla razionalità … bah. Se si fosse parlato solo di indeterminatezza allora sì che il giudizio poteva essere credibile. Certo che la salita del ’59, e sono pienamente d’accordo, è difficile da determinare ancor più in coloro nei quali il tarlo del dubbio si insinua fra le parole di Maestri. Ma incorniciare l’alpinismo in un quadro di razionalità … via siamo sinceri, cos’ha di razionale l’alpinismo? Per quanto mi riguarda arrampicare è qualcosa di incredibilmente bello, affascinante, piacevole, tutto fuorché ragionevole. Il Torre poi … non è ragionevole, razionale oggi, figuriamoci nel 1959 con i materiali di allora, con le conoscenze di allora, Maestri ed Egger mica avevano le scarpette da arrampicata del Garibotti, mica avevano attrezzi al carbonio, perdio.
L’ultima novità alla quale voglio accennare sta nell’uscita, pochi mesi fa, del tanto atteso “Enigma Cerro Torre” scritto da Giorgio Spreafico. Gran bel libro, scritto molto bene, veramente un ottimo lavoro giornalistico. Certo non risolve l’enigma ma credo non fosse nemmeno nelle intenzioni dell’Autore. Lo consiglio serenamente a tutti coloro che volessero approfondire l’argomento. Bene … il momento di concludere questo mio contributo si avvicina, avrei voluto scrivere di più ma purtroppo lo spazio è quello che è. Certo a nessuno interesserà, ma credo sia arrivato il momento di dichiarare da che parte sto, anche perché, dalle mie serate ad oggi, ancora non l’ho fatto e ciò credo basti a sollevare almeno un briciolo di curiosità. Avrei voluto parlare dei tanti tentativi fatti alla parete nord, avrei voluto parlare meglio e più a lungo di Salvaterra che è e reputo un grande alpinista al di là delle sue dichiarazioni, avrei voluto parlare del grande “Miro” Ferrari la cui conquista del Torre nel 1974 viene, da molti, oggi considerata la prima ascensione di questa montagna, avrei voluto parlare di più di Toni Egger che nel 1959 era forse il miglior alpinista su ghiaccio d’Europa e tra i più forti in assoluto al mondo, insomma …. mi limiterò a qualche riflessione in difesa del Torre ed in difesa dell’alpinismo.
Dunque … partiamo da un dato: c’è qualcuno che mi sa dire se Balmat e Paccard hanno davvero raggiunto la cima del Bianco? Oppure se Whymper ha raggiunto quella del Cervino, se Casara ha veramente salito in solitaria gli strapiombi nord del Montanaia, se Tomo Cesen ha calpestato la cima del Lothse, se Hermann Buhl ha raggiunto quella del Nanga Parbat? Potrei proseguire citando i dubbi sorti dopo la prima ascensione dell’Annapurna o dopo la conquista del Nanda Devi da parte di Tilman e Odell. C’è ancora qualcuno che crede che Hillary e Tenzing siano davvero arrivati insieme sulla cima dell’Everest come hanno sempre dichiarato? Come se sulla cima dell’Everest ci si arrivasse a braccetto come fossimo in via Calzaiuoli. Sono episodi, storie, verità. E cosa dire di Elizabeth Hawley che da diecine di anni tiene un archivio aggiornato delle spedizioni in Himalaya e che riceve molto spesso proposte di mazzette per essere accreditati nel suo curriculum?
Ditemi, se io mi invento di aver salito, che ne so … il K2, ammesso qualcuno colpevolmente ci creda, cosa ci guadagno? Sicuramente non soldi, forse una effimera notorietà, ma poi? Poi vivrò sempre con una spada sul collo, vivrò nel rischio quotidiano di essere sputtan… scusate smascherato, prima o poi. E notasi bene, io non sono un professionista, una Guida Alpina come Maestri, che lega il proprio mestiere al proprio buon nome. Io francamente credo che i due protagonisti principali di questa commedia hanno pagato ben duramente quella loro avventura. Su Maestri si è abbattuta una valanga ancora peggiore di quella che ha portato via Egger: il sospetto. La calunnia peggiore che possa capitare a una persona, quella di aver mentito. L’ascensione del 1959 ha apertamente dell’incredibile, il Torre oltretutto ha grandi problematiche, per vincerlo occorre una fortunata combinazione di tutti gli elementi che producono effetti legati alla particolare situazione meteo. E’ anche vero tuttavia che Maestri ed Egger erano i più forti in quel periodo, gente tosta che può essere stata aiutata da questa fortunata combinazione ambientale. Sono in diversi oggi a sostenere che su quel particolare tipo di crosta ghiacciata le moderne picche da piolet traction servono il giusto, meglio … molto meglio un vecchio attrezzo di legno, degli anni 70. E allora voglio proprio dire la mia, come quei giurati.
Rolando Garibotti (da 123people.com)
Facciamo una cosa, ribaltiamo la frittata … perché ostinarci a cercare la verità? Partiamo invece dal presupposto che in alpinismo tutti raccontano bugie. Salvo naturalmente non sia provato il contrario. E’ una provocazione? Certo che lo è, scrivere non è solo cronaca è anche critica. Quando su una parete troviamo un chiodo, abbiamo la prova che qualcuno è passato prima di noi. Ma se non troviamo nessun chiodo, ciò è la prova che nessuno prima di noi vi sia passato? Pensateci. Nessuno, fino ad oggi e per quanto ne so, ha ripetuto la via Egger-Maestri. Sono in molti a cercare di dimostrarlo ma nessuno … ripeto nessuno ha mai ripercorso per intero la via che Maestri ha dichiarato di aver realizzato pur con le sue contraddizioni, con le sue amnesie, con le sue incongruenze. Il corpo di Egger fu ritrovato nel 1975 a circa due chilometri dalla base del Torre, non aveva fotocamera ed aveva una corda ancora legata intorno in vita … rotta e sfilacciata. Qualcuno ha ritrovato il capo di quella corda annodata attorno ad uno spuntone di roccia poco sotto il nevaio triangolare del Torre, il minimo per dare corpo alle più assurde congetture. Qualcuno ha voluto dimostrare la propria giustezza dei fatti dicendo che il deposito materiale di Maestri, situato poco sotto il nevaio, era ancora inutilizzato. Qualcuno ha detto che Maestri, Egger e Fava non sono nemmeno giunti al Colle della Conquista, eppure Maestri parla di una parete che solo da lì si può osservare, parla di camini, di conformazione rocciosa. Nella sua relazione dichiara le quote segnate dal suo altimetro, c’è qualcuno che ha verificato?
Allora, come concludere … io non so se Maestri ha raggiunto la cima del Torre nel 1959. Non so nemmeno se si può chiamare conquista quella avvenuta nel 1970. La cima di una montagna dov’è? Dove finisce la roccia o sul ghiaccio che la ricopre? Vale il concetto che la cima di un monte è quel luogo dove solo il cielo è sopra di noi? Se è così, prepariamoci ad un duro lavoro, quello di rivedere buona parte della storia dell’alpinismo. Un ultimo pensiero lo voglio rivolgere a Maestri, di cui finora ho parlato solo indirettamente. Cesare Maestri è stato, ed è, un grande alpinista. Prendetevi il suo curriculum, ve ne renderete presto conto. Ha fatto cose impensabili, certo uno dei più grandi della sua generazione per prestazioni, tecnica, forza fisica e morale ma anche per l’amore e la passione che lo distingue. Credo che la statura alpinistica e sociale dell’uomo debba andare oltre quella barriera nata con la salita del ’59 e forse anche oltre la via del compressore, una via – tanto per afferrare il concetto – nata solo per vendetta. Maestri ed Egger, lo ripeto fino alla noia, erano nel 1959 una delle cordate più forti al mondo, erano avanti … dieci, venti anni rispetto agli altri. Anche nel 1970 Maestri era avanti, lo hanno accusato di essersi tirato su un compressore
Il compressore Atlas Copco di Cesare Maestri
dell’Atlas Copco, eppure sono in molti oggi a farlo anche se il compressore è divenuto un trapano a batteria più maneggevole. Cosa cambia allora? Il compressore no, il trapano si. C’è ancora chi si arrrampca sugli specchi per dimostrare che sono due cose diverse. Mi sconvolge inoltre il fatto che qualcuno fra questi grandi ed affermati alpinisti sostenga che la via del compressore è una bella ferrata, sicuramente la più impegnativa al mondo, ma una ferrata …. ma mi faccia il piacere, diceva Totò. E cosa dire del confronto che Maestri ha, inevitabilmente, dovuto sostenere, da circa 30 anni, con i Ragni di Lecco? Grandi alpinisti perbacco, ma non certo avanti come Maestri. Nel 1974 al Torre hanno aperto una via in stile classico, scavando gradini con le piccozze tanto che solo tre anni dopo è stata ripetuta in tre giorni in stile alpino. Ci avevano impiegato un mese. Non vuole essere una critica, per carità, erano un gruppo formidabile eppure questa è la verità, quella che tanti cercano. E la cercano con tale costanza che a voler essere così cattivi come in molti lo sono stati con Maestri … chi ci dice che le foto in cima al Torre, avvolte nella nebbia, sono vere? Oltretutto negli ultimi cento metri di parete non è stata trovata traccia del passaggio dei Ragni. Tantomeno corde e fantocci abbandonati sulla cima. Scherzo naturalmente … era una nuova provocazione (anche se fino a un certo punto).
Due sono gli episodi personali che riguardano Maestri, che ho impressi nella mente. Il primo risale ai primi anni ’80, l’occasione non era delle più felici: ricorderete in molti di una sciagura avvenuta sul sentiero Bogani, a pochi minuti dal Rifugio Brentei. Uno smottamento del terreno causato da una pioggia insistente si prese la vita di alcuni bambini in gita di piacere. Fu anche l’occasione di uno scambio epistolare con Maestri motivato da ragioni che non sto qui a dire. Una bella lettera, in particolare, che peraltro ancora oggi conservo, mi toccò profondamente. Era scritta di pugno da Cesare. L’altro episodio si è verificato qualche anno fa grazie alla squisita cortesia di Giancarlo e Olga Dolfi che, oltre che a Cesare Maestri, estesero l’invito a pranzo anche a Marco Orsenigo e al sottoscritto. Due episodi, due occasioni nelle quali ho avuto modo di confrontarmi con Maestri … Cerro Torre compreso. In ambedue le occasioni, a viva voce e di pugno, mi ha ripetuto fino alla noia la stessa cosa. Mi ha detto, più o meno: “il Cerro Torre mi ha rovinato la vita, forse sarò ricordato per il compressore …. ma io spero che il tempo mi dia ragione. Vorrei tanto che con il tempo mi fossero riconosciute le mie salite in Dolomiti … ecco a questo ci terrei molto”.
Forse abbiamo perso il senso della misura, fatto ancor più grave se è perso da alpinisti illustri o da ex-direttori di riviste specializzate ormai in pensione, peraltro dal talento alpinistico almeno discutibile. Io credo francamente sia giunto il momento di calare, per sempre, il sipario su questa commedia. Non fosse altro per il rispetto dovuto ad una persona che non è più in tenera età e che ha diritto, sì perbacco il diritto, di godersi la sua vecchiaia in pace senza doversi strascicare per aule di tribunale. Ed agli illustri alpinisti dirò di imparare proprio dai Ragni di Lecco che vinsero il Torre ne‘74, grandi signori, che non hanno mai rivendicato niente, mai una parola fuori posto. Buona montagna a tutti.
P.S.: Solo nel rileggere questo mio contributo mi sono reso conto di non aver ancora sciolto la promessa di dichiararmi convinto, o meno, dell’ascensione del ‘59. Mi sono anche accorto, tuttavia, di non avere più spazio a disposizione. Alla prossima …