La Calvana di Adolfo Ciucchi

lago Trasimeno 2011 026Gennaio 2013

Una cara amica ci ha lasciati, o, per meglio dire, è andata avanti sul sentiero della vita e non ci ha aspettati. Era sempre presente alle nostre escursioni finché il male non l’ha fermata ma ancora ci ha fatto compagnia, ed ora ci manca molto. A lei che spesso ci ha raccontato quando ragazzetta andava con i genitori a passare ore liete sulla Calvana, io vorrei dedicare queste poche e misere righe. Cara Carla spero ti facciano piacere là dove sei adesso.

Ho la fortuna che la finestra del mio studio sia rivolta a nord verso la Calvana. Molte volte mi limito a osservarla, tutte le volte che gli impegni o il maltempo m’impediscono di essere lassù. Dalla finestra vedo chiaramente l’inizio della Calvana con Poggio Retaia, stupendo balcone panoramico sulla città di Prato, dove io risiedo, che sembra iniziare e chiudere tutta la Calvana mentre ne è solo l’inizio o quasi. Di fronte alla Retaia, al di là del Bisenzio si leva Monte le Coste, chiamato Spazzavento che Malaparte scelse come luogo della sua ultima dimora. Ma lo sguardo torna davanti allora è Poggio Castiglioni, irto di antenne, e con ai suoi piedi la Cementizia, una fornace che arrostiva il calcare detto alberese estratto dalle gallerie che forano il poggio per farne calce. Caratteristica la scala molto ripida di circa ottocento gradini che serviva agli operai, due volte al giorno, per salire alle gallerie e scenderne a fine lavoro. Ancora a sinistra, dopo Poggio alle Coste, il Monte Ferrato con il suo terreno particolare e che si distingue da tutte le altre alture essendo costituito da metalli pesanti e velenosi, ma su cui piante molto combattive, ancorché minuscole, sono riuscite a crescere. Il monte è anche ricco del cosiddetto marmo verde con cui sono fatte molte facciate di chiese, per esempio di Prato, il Duomo, e di Firenze, san Miniato al Monte. Dietro al monte Ferrato si eleva il Monte Javello ricco di faggete grazie alla lungimiranza di un proprietario terriero dell’ottocento e ricco anche di storia, tragica, grazie alle vicende dell’ultimo conflitto. In lontananza, approfittando della valle del Bisenzio, s’intravede il Monte Maggiore, il punto più alto della Calvana e gli Appennini di Montepiano che ci dividono dall’Emilia, ad un passo da noi. Infine a destra, staccato dalla valle della Marina, c’è Monte Morello con le sue tre punte. Un bel panorama non c’è che dire, può non essere spettacolare come un panorama dolomitico o alpino, ma a me basta e avanza. C’è di che sognare anche nei giorni brutti. La mattina il sole che sorge dall’intaglio tra monte Morello e Poggio Castiglioni, illumina la mia finestra ed è il miglior inizio di giornata che ci possa essere. La sera quando l’ultimo raggio di sole tocca la cima della Retaia, specialmente nelle sere d’estate senza la caligine dell’afa, è un ottimo modo di chiudere la giornata con la prospettiva di una fresca nottata. Ma non voglio certo illustrarvi la Calvana per filo e per segno, senz’altro ne saprete più di me, vorrei solo farvela vedere e farvela sentire come io la vedo e la sento, magari con l’aiuto di uno scrittore pratese, Armando Meoni, che meglio di me l’ha descritta nei suoi romanzi.

Travallecroce a moriSanta BrigidaComunione 005

E’ difficile riuscire a parlarne con distacco se l’hai sempre davanti e se la frequenti continuamente, assaporandola via via col mutare delle stagioni e delle ore della giornata. Poi mi sembra un po’ riduttivo parlarne solo dal punto di vista escursionistico, per me la montagna tutta è un meraviglioso museo a cielo aperto. Per cui bisogna fare un passo indietro, un bel passo di circa tremila anni. Infatti, fin dall’Età del Bronzo, piccole parti di antiche popolazioni si erano insediate sulla Calvana in cerca di spazi per vivere. S’ipotizza che si trattasse di genti Celtiche di stirpe Ligure, questo in epoca Protovillanoviana, che hanno lasciato tracce molto importanti come un sepolcreto scoperto negli anni ’30 sul Poggio Camerella. Poi fu la volta degli Etruschi che, anche alla luce a quanto emerso dagli scavi di Gonfienti, erano presenti in zona. Essi ci hanno lasciato, oltre a dei toponimi di borghi, delle tombe molte suggestive, situate in un bosco e specialmente se visitate in una giornata nebbiosa. Poi i Romani grandi costruttori di strade, i Bizantini e i Longobardi questi ultimi riconducibili alle pievi romaniche dedicate a San Michel , santo guerriero, da loro molto amato. La montagna era per tutte queste genti un luogo che dava sicurezza e che poteva essere difeso bene e, non ultimo, molto più salubre della piana che era a quei tempi molto paludosa. Il clima doveva essere a quei tempi molto più piovoso che adesso, lo testimoniano le opere idrauliche per la salvaguardia del territorio di cui adesso rimangono solo tracce e massi forati che servivano da deviatori del flusso dell’acqua. Certo che la vita deve essere stata molto grama anche a quei tempi, lo spessore del terreno coltivabile non è molto, e se alle pendici più basse tutte le coltivazioni sono possibili, salvo la ripidezza del terreno, in alto si poteva solo trattare di agricoltura di sussistenza. Sicuramente ci sarà stato molto allevamento, specialmente ovino, con la fame di lana che ha sempre avuto Prato fin dal medioevo. Comunque questo non ha impedito che sorgessero borghi e castellari a difesa della viabilità che, specialmente nel medioevo, era molto frequentata. Mercanti, pellegrini e soldataglie preferivano passare di lì per andare in Mugello e poi in Emilia, piuttosto che passare dalla strada pedemontana che risentiva delle alluvioni e del brigantaggio. Fin dopo l’ultimo conflitto si è mantenuta questa rete di mulattiere, come, in effetti, erano.

Ora la Calvana è quasi deserta, vivono solo alcuni pastori sardi con i loro greggi e fanno un formaggio ottimo, vi si recano solo cacciatori ed escursionisti, quasi non ci si rende conto di come potessero vivere lassù una vita molto dura, sempre isolati, talmente che i frati di un eremo del luogo nel 1327 si ribellarono in quanto troppo isolati. Eppure ancora oggi, seppure sotto forma di rovine, si possono ammirare borghi come Cavagliano che era abitato fino agli anni ’50 e che possiede una chiesa, in rovina come tutto il resto e dal cui sagrato si domina una splendida vista. Le case sono arrivate a noi fin dal medioevo, alcune sono di linee molto eleganti, sicuramente case padronali. La chiesa che sicuramente era stata ammodernata in tempi più moderni, possiede un piccolo ma elegante abside di pietra, ma che il tempo, l’incuria e il vandalismo piano piano stanno finendo di distruggere. Sotto la chiesa esiste un cimiterino, poco più grande di una stanza, ormai ridotto a un macchione, quello che ha colpito coloro che l’hanno visto prima che fosse disfatto, all’abbandono del borgo, è stato che l’ultimo sepolto era un bambino piccolo. In questo borgo che io ho preso ad esempio, nel medioevo la vita era così misera che narrano le cronache un uomo “lombardo” che aveva sposato una del luogo scendeva a Prato a piedi e tornava su carico di concime con cui concimare il suo misero campicello.

Ripeto per me la Calvana è soprattutto un grande museo e un monumento alla fatica di quanti l’abitarono. Le memorie dei sempre meno viventi che ebbero la sorte di vivere in quei casolari spicciolati sui versanti del monte, narrano di vite vissute nella miseria senza saperlo contenti del poco che avevano. Vivendo le stagioni, ora con sacrificio d’inverno quando la neve cadeva più abbondante di ora imbiancava tutto e rendeva difficile lo spostarsi o accudire le greggi, ora con più gioia d’estate quando la buona stagione e l’abbondanza dei frutti del bosco permetteva una migliore esistenza. Finché schiacciati dalla povertà e messi di fronte allo svantaggio con la gente del piano non cedettero alle sirene delle fabbriche di Prato e scelsero un altro tipo di servitù ma che consentiva loro di dare un futuro ai figli.

Poi c’è la parte “misteriosa” della Calvana, quella su cui anche gli studiosi non si sono potuti dare finora spiegazioni definitive. Come le cortine murarie che si possono vedere vicino e intorno al casolare abbandonato di Sottolano. Queste muricce sono costruite a secco con pietre squadrate ed hanno l’interno riempito a brecciame, sono alte circa 180 centimetri e larghe circa un metro e mezzo, non si capisce a cosa dovevano servire. Forse a protezione di un villaggio arcaico o come a segnare una zona sacra. Ce ne sono molti tratti e non tutti rettilinei. Siccome il casolare è situato in un posto remoto e ormai il bosco lo avvolge, essere lì mette addosso un certo non so ché. Poi c’è il lato geologico della Calvana, fatta di rocce calcaree che l’acqua erode facilmente ed ha permesso la formazione di molte grotte carsiche, circa 30 quelle censite e esplorate dal Gruppo Speleologico Pratese del CAI. Il territorio presenta forti caratteristiche carsiche con doline e inghiottitoi che assorbono le acque piovane e le rilasciano nella piana. Le grotte hanno anche valenza storica perché in una situata vicino a quella che era una strada romana, sono stati ritrovati frammenti d’anfora di chiara origine romana e in un’altra è stata trovata una mascella di orso bruno, un animale che è scomparso dalla zona da varie centinaia di anni.

La pratica dell’escursionismo è molto sviluppata, teniamo conto che la Calvana è una montagna di “casa” in quanto è raggiungibile anche a piedi da tutta Prato. Però vediamo quello che diceva Armando Meoni nel suo romanzo “Prato” del 1975: “Salire sui poggi di Prato importa ben altro che la distensiva ovvietà del riposo, anzi un’ansia di dura conquista interiore, un impegno contro la sicurezza del quotidiano, un perseguire mete che stanno sempre al di là; lungi da porgere il soccorso di rampe clementi, schierano impietose pettate da schiantare il respiro, oltre le quali non è l’accoglienza ristoratrice di prati vellutati di verde, bensì la breve avara pausa di cigli scoscesi, di petraie irte, di franose sassaie, fra cui sta prigione uno sparuto drappello di cipressi artrosizzati cui fanno guardia in ordine sparso file di quercioli rachitici, che spenta ogni speranza di toccare il cielo si consumano in una rassegnazione santificata degli anni” e poi ancora “Sentieri labili e sommessi al pari di parole, che pronunziate sottovoce cadono prima ancora che siano ascoltate, si staccano, s’intersecano, si dividono, si ricongiungono, si perdono per riapparire improvvisamente, conducono ovunque e forse in nessun luogo involgendo la cima del poggio e il poggio che ne divalla e i poggi attorno in una rete di enigmi ai quali nessuno risponde quasi lo vietasse la presenza invisibile di un Dio dal linguaggio troppo arcano perché sia dato a chiunque di interpretarlo”. Ma per fortuna tutto è molto migliorato, certo le salite sono rimaste, ma la rete dei sentieri è molto curata e anche molto estesa. Se si considera che tutta la dorsale della Calvana, da quando si stacca dagli Appennini di Montepiano a Poggio Castiglioni, supera i 20 chilometri, poi ci sono le pendici e i poggi ad essa collegati, c’è modo, volendo, di variare itinerari ed impegno. Io, per esempio, sono, oltre che un escursionista, anche un raccoglitore in quanto in primavera batto i boschi per la raccolta di asparagi selvatici e a settembre raccolgo more di rovo per farne marmellata.

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Sono ormai molti anni che percorro questa meravigliosa montagna per conoscerla e capirne i segreti, ma anche per capire me stesso. Ci sono stato con il sole, con la pioggia, nelle giornate di vento e anche quando c’è la nebbia che tutto cambia e ammanta di magico mistero. Ma il suo segreto mi sfugge sempre perché lei cambia sempre e forse è questo il suo pregio maggiore, farsi desiderare. Ed io desidero percorrerla perché solo lassù sento che sto bene e sento che la sua natura, tornata selvatica dopo un periodo di asservimento ai bisogni dell’uomo, mi rigenera completamente e poco importa se il respiro si fa sempre più ansante.

Arrivare in cima al Monte Maggiore, percorrere il prato sommitale sotto gli occhi fintamente placidi delle mucche bianche che vivono allo stato brado e che pascolano indifferenti alle ansie che ti assillano, arrivare alla piccola crocina mi da una pienezza totale e in quel momento mi sento in sintonia con tutto il creato. E poi devo tornare giù.

 

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