Reduci perplessi dalla due giorni al Valparola, che è costata due denti a Tommaso, il naso a Luca e soprattutto la caviglia al Nanni, Carlo (Il Barbolini) prenota due giornate alla torre di Padova per la sezione, e, vivamente, raccomanda di parteciparvi. Noi del Badile decidiamo d’iscriverci, ma solo due lo faranno: Fabio ed io. Con noi quasi tutti quelli che erano al Valparola, e altri ancora. C’è posto per il secondo giorno, il 10 novembre. Arriva, invece, la convocazione per la serata preparatoria: il 7 novembre, mercoledì ovviamente, riunione in sede per spiegare cosa accadrà a Padova. Sono molto felice di ritornare in sede, era tanto che non c’andavo. Con un ritardo medio arriva il Direttore della Piaz, l’ottimo Eriberto, e spiega, lezione asciutta e piacevole.
Qualche domanda, poi si fa le macchine. Saluti e arrivederci a sabato mattina. Col fido compagno di cordata Fabio all’ora x siamo all’appuntamento. Il nostro terzo non c’è, lo aspettiamo invano poi andiamo (scopriremo che aveva avvisato della sua rinuncia, ma la notizia era stata tenuta segreta!). Arrivo a Padova puntuale, tutti e non siamo pochi, tant’è che c’annunciano che ci divideranno in due gruppi. Comunque, saluto di rito agli istruttori della torre, e si comincia. Cielo plumbeo, umido e gioia, gioia di essere, se non in parete, comunque in tema.
La Torre per chi non c’è stato va spiegata. Si tratta, dicono, di un traliccio enel, molto ma molto modificato, e arricchito da più piattaforme a livelli differenti unite da una vera e propria scala, a ogni livello si può stare in diverse persone (più di 10). All’interno dell’originario traliccio v’è un binario verticale su cui s’eleva e s’abbassa un corpo morto di 80 Kg, mosso da un motore elettrico. Alla sommità del binario c’è una cella di carico che registra la forza d’arresto del corpo morto, quando viene fatto cadere. Viene registrato anche il percorso compiuto dal corpo morto. Tutti i dati sono registrati e trasmessi ad un elaboratore. Di rimpetto alla torre vera e propria c’è un piccolo traliccio, che io chiamerò la controtorre, su cui si sale con scala a pioli, dalla cui sommità si diparte una stretta passerella, dove appunto si sbarca dalla scaletta. Passerella che unisce alla torre. La torre non sembra neppure tanto alta (10 o 12 m), non ha un aspetto ostile, non c’incute terrore.
La giornata alla Torre inizia con una lezione su forza d’arresto, fattore di caduta, corde dinamiche ed efficacia dei freni; lezione arricchita da una serie di slide (più esattamente cartelle celofanate e appese per una pinza al muro): si ripassa tutti insieme i concetti base mai abbastanza noti, e già trattati il mercoledì. Tutti attenti e compiti – consci di rappresentare il CAI Firenze – non corrono nemmeno troppe battute; l’istruttore è molto disponibile e competente. E’ un veneto simpatico. Ma chi va in montagna col cuore mi è sempre simpatico. Fine del ripasso, ci si divide in due bei gruppi. Sulla base di questo criterio: chi è che salta? chi salta di là, gli altri su. Zitti, zitti, con nonchalance i più puntano la scala. Sarà un caso ma le glorie presenti son tutte alla scaletta (Ciabatti, Orsenigo, Crocetti etc). Insomma, gruppo uno: quelli che saltano (!), gruppo due: quelli che vanno su.
Meglio salire che saltare (leggesi volare), il gruppo due è ovviamente il mio. E’ ancora troppo freddo per fare qualcosa, meglio guardare. E invece sbaglio, perché …. l’ignoranza aiuta a essere felici. Con fare incerto saliamo all’ultimo piano della torre. Dove il clima è un po’ più ostico, ma niente di che, abbiamo avuto fortuna (penso a Eriberto e gli altri che hanno trovato pioggia e vento tramontano). Il peso di 80kg viene attaccato a uno spezzone di una vecchia corda, e questa fissata alla cella di carico, il peso viene sollevato di un po’ (un metro) e fatto cadere tre volte, la partenza è data con un meccanismo che quella mattina s’inceppa facilmente. Tre voli e via. Non succede niente. Si alza il punto di caduta a un metro e mezzo: che vuoi che sia …. non si mette nemmeno un rinvio dopo un metro e mezzo. Via e uno, via e due, via e tre ….. la corda si spezza. Mi si gela il sangue. Ma come da un metro e mezzo questa si rompe già. Mi si dirà, a corda bloccata, ma tuttavia “la s’è rotta, altro che chiacchere”.
Ma allora: quanto ho rischiato? mi sento un alpinista dubbioso. Non è che gli altri ridano, ma forse io l’ho presa peggio. Si cambia esperimento s’allunga la corda, e si fa partire il bolide di 80 kg, un due e tre, e la corda si rompe ancora. Dunque, prima non è stato un caso. Sia chiaro: si rompe proprio. Come se l’avessero tagliata con l’accetta. Penso: certo, non arrampicare più dispiace.
L’istruttore e i più esperti – Orsenigo, Ciabatti, Crocetti – con fare rassicurante invitano a rammentare che si tratta di corda bloccata: lodevole intento, dall’effetto nullo. Vedere quella corda rompersi ha minato la sicurezza di molti, lassù in torre. Non faccio a tempo a realizzare ciò, che dalla controtorre si vedono precipitare nel vuoto i “saltatori”, qualcuno urla, qualcuno nemmeno respira più, qualcuno sbianca… Ovvio che sono legati (e con due corde una di sicurezza) e che da terra gli fanno sicura, ma insomma.
Ma dove cavolo siamo, se volevano farci smettere d’arrampicare … , mentre faccio questi pensieri vedo la Claudia che sale la scaletta a pioli verso il suo salto, sarà stata la suggestione, però mi pare molto attenta. Sarà preoccupata? no, penso, che vuoi che sia, saranno forse dieci metri. Intanto, i nostri esperimenti proseguono: s’invertono i ruoli. Ora tocca a noi spettatori discenti. Chi vuole provare? Io. Eccomi. Si tratta di tenere, con un mezzo barcaiolo, l’ogiva di 80 kg, mollata all’improvviso da un metro e mezzo (o un metro solo non ricordo). L’istruttore mi dice devi lasciar andare il braccio, devi accompagnare, devi bloccare accompagnando, devi usare tutta la corda tra te e il freno, devi rilassarti, devi tenere il ramo della corda verso il peso con un dito della mano sinistra così. Pronto? eh, ah si, pronto. Vai Jean. Il peso non parte, alla terza parte. Shhh bum. L’ho tenuto senza particolare sforzo. Tuttavia, non ho accompagnato, non sono stato morbido, insomma ho fatto come m’è venuto, un disastro. Si misura la forza d’arresto, molto alta.
Intanto non mi son fatto male, anche se mi sono stirato il medio sinistro. Questo esercizio è comunque semplice e tutti fanno una bella figura. La più bassa forza d’arresto la fa Fabio. Nel mentre dall’altra torre continuano a piovere esseri umani urlanti e trasfigurati. Si scende di un piano e si passa ad un altro esercizio, bloccare la caduta con mezzo barcaiolo, ma rinviata da un rinvio, posto alla cella di carico, e, appunto, rilevamento della forza d’arresto al rinvio. Esercizio ancora meno muscolare, il rinvio è importantissimo, è quasi incredibile: riduce moltissimo la forza. Si sa, ma una cosa è sentirlo dire o leggerlo, altro e vederlo dal vivo, tutta un’altra cosa. Il mio gruppo riesce bene anche nel secondo esercizio. Si scende ancora, si rimette i piedi in terra. Di là continuano a piovere cristiani, mentre altri cercano di fermarli e ci riescono, anche abbastanza bene. Fanno sicurezza al volante-saltatore con tuber a un sosta ad asola inglobata. Sembra che si divertano. Ma?
Seconda parte della lezione teorica: soste e mezzi di assicurazione. Noi della Piaz (soprattutto i non istruttori) siamo integralisti: mezzo barcaiolo e piastrina, punto. Il resto sono vezzi, inutili orpelli, superfetazioni. In questo siamo tutti fermamente convinti. A nord del Po un po’ meno, molto, ma molto meno. Quasi in coro diciamo: ma il mezzo barcaiolo è quello che frena di più. Risposta patavina, appunto per questo non va preferito sempre. Sul mezzo barcaiolo, quelli della torre sono particolarmente critici. Ci ammoniscono: l’assicurazione deve essere il più dinamica possibile – e vengono subito alla mente le corde spezzate della mattina – più è dinamica e meno sono sollecitati gli ancoraggi, della sosta e dei rinvii, e, soprattutto, la corda riesce meglio a fare il suo lavoro, allungarsi e disperdere l’energia di caduta.
Oggi, con dolore, anch’io sono molto meno convinto del barcaiolo. Partono scherzose critiche alla didattica della Piaz, che oscillano tra il sospetto di una certa ignavia del corpo docente, e la più benevola convinzione che alla Piaz prevalga la scelta di limitare al minimo indispensabile gli insegnamenti, lasciando l’ex-allievo sicuro di cavarsela, ma stimolato ad accrescere il suo sapere. E adesso molti sanno. Dalla lezione emergono tante cose strane, anche sulle soste. Una chicca: la commissione tecnica sta per consigliare una nuova sosta, e io la fotografo. Uno scoop. Non proprio, ma insomma. Fine della mattina. Passeggiatina perplessa fino alla pizzeria, nelle leggere brume patavine. Ad ogni buon conto, non piove e tutto sta andando per il meglio. Mi faccio vivo con casa, dove le mie donne sono tutte vivissime, e s’eran proprio scordate di me: potevo risparmiare la telefonata. Non si curan troppo della forza d’arresto, dall’altro capo del telefono e fanno male. Pizza.
A tavola, bella tavolata. Si sarà più di trenta, c’è anche il mitico Bressan ideatore e creatore della torre. Mangiamo, intorno a me non si parla della mattina, ma di programmi futuri, di arrampicare, strappo un paio di dritte a Emanuele, Sergio racconta della sua estate, altri due parlano del loro bambino a casa con la nonna che gli ha fatto un uovo strano (queste nonne, che rompono il giallo dell’uovo!). Si sta bene. Caffè all’in piedi e via di nuovo. Rieccoci alla torre. Le squadre si scambiano i ruoli, ora tocca a noi volare nel vuoto. Chi parte per primo. Io ovviamente, eccomi che salgo lassù baldanzoso e ignaro. Fabio mi segue. La scala finisce e comincia la passerella che unisce la controtorre alla vera torre, e qui le cose – psicologicamente – si complicano. Percorro la passerella larga non più di 40 cm. Fatta di un reticolato che lascia perfettamente vedere cosa c’è sotto: 12 metri d’aria. Riesci a vedere anche cosa c’è intorno: aria. Arrivo al punto da cui dovrei saltare, e m’aspetta sornione un istruttore della torre, che cerca di alleviare la tensione, e di tranquillizzarmi. Devo infatti percorrere la passerella, come se fossi su una ferrata, poi, appendermi a due tubi innocenti, il più in fuori possibile, staccare i piedi, penzolare nel vuoto, mollare le mani e …. volare. Mi presento faccia al vuoto. Lo sforzo è grande. Rivedo in un attimo un documentario di Folco Quilici sulle Isole di Pasqua: quelli che, per conquistare la futura sposa, si buttano da una torre di bambu legati alla caviglia con una liana.
Posso? meglio, devo andare? Vado? Un attimo, mi dice l’istruttore, giù stanno discutendo. Come se non bastasse, mi tocca stare lì ad aspettare che giù quei buontemponi dei miei compagni finiscano di discutere di chissacchè. Tutta gente che arrampicata da una vita e proprio ora si devono far spiegare come si fa sicurezza al compagno o chissà cosa, ma, e allora? Nulla, son curiosi, e mi tocca aspettare tutti i loro distinguo. Tutto è finalmente pronto. Allora ricordati esci di spalle e prendi i tubi con le mani più all’esterno possibile, lascia andare i piedi e poi molla le mani. Ok. Ok un accidente. I piedi non ne vogliono sapere di staccarsi dalla passerella, eppure non ho pestato niente d’appiccicoso. Penso e dico piano: ma io non salto. L’istruttore: ma dai, stai tranquillo. E sia, moriamo da deficienti. Lascio la Terra, penzolo un istante nel vuoto, indietro non si torna, e mollo le mani. Volo. Un flash. E già mi blocca il mio assicuratore. Tutto bene. Libero la sicura (la seconda corda, hai visto mai che il compagno …. ), e mi calano. Non sono elettrizzato, ma nemmeno paralizzato. Bell’esperienza. Mi duole un 50% delle parti basse. Allora l’assicurazione col bicchierino funziona. E’ una buona cosa.
Salta giù Fabio. Il suo volo s’arresta, e viene calato. Non è lui. E’ in confusione. Non ride, non piange, non tradisce alcuna emozione, ma non parla, sembra in tranche. Un pugile che ha preso un bel gancio sulla punta del mento. Son convinto pensi a quanto è stata vicina la fine, senza saperlo. Taciturno rieccolo tra noi. Aspettiamo adesso il turno da assicuratore. Il nostro pensiero va a uno di quelli che oggi non è venuto, che se ci fosse svenderebbe corda e imbrago.
Ora vado ad assicurare. Mi tocca il Ciabatti, salta e tac, fermato. Anche abbastanza facilmente. Mi rincuoro. Sarà la pizza. Insomma tutto funziona. Si continua a saltare, tutti tranne uno, chissà perché poi. Comunque non salta. C’è pure chi salta due volte, è una ragazza: i maschietti rifuggono dal bis, e si toccano proprio lì, insomma abbiamo capito che i cosciali vanno messi con una certa cura, pena … un possibile salto di ottava della voce. Si guarda i sollevamenti della sosta e dell’assicuratore e si ride, mi sento come a scuola, e già questo vale la gita patavina, finisce il giro.
Ri-teorica. Le soste e il loro ribaltamento. Questi della torre ce l’hanno proprio col nostro mezzo barcaiolo, la Piaz non insorge più, tollera. Ultimo esercizio. Bloccare il missile di 80Kg in caduta da un metro e mezzo, con sei-sette metri di corda e alcuni rinvii, prima con il mezzo barcaiolo alla sosta e poi col tuber in vita. Rilevamento della forza d’arresto all’ultimo rinvio. Parte il missile, sdabum, l’assicuratore parte per l’alto e sbatte nella parete. Riparte il missile e risdabum, legnata bis nella parete. Mezzo barcaiolo o tuber, non ce n’è uno che non vada a sbattere. Tocca a me. Nuove raccomandazioni: usa tutta la corda, controlla e non bloccare. Parte il maledetto missile, e che fo io? blocco con la destra e già che ci sono dò pure una bloccatina con la sinistra. Disastro perfetto. Forza d’arresto:410 kg (aura mediocritas). Col tuber, invece, blocco e basta. Realizzo che col tuber è molto meglio. Bisognerà dirlo alla Piaz. Fabio m’ha filmato. Ora tocca a lui. Molto bene. Sbatte in parete ma fa una forza d’arresto molto buona, sia con tuber che col mezzo barcaiolo. E io lo filmo. Appena il tempo di veder imbrunire, e finisce la nostra esperienza alla Torre di Padova. Si può tornare a casa. Ci spiace, ma è finita anche oggi. E’ stata una giornata divertente e molto interessante.
Salutiamo, con quella mestizia che c’è sempre quando finisce una giornata di montagna. Si rientra con questi due pensieri fissi: perché siamo così fissati con mezzo barcaiolo e gigi (e la Piaz con noi); secondo, dove si va a arrampicare? Il Crocetti m’ha dato un paio di dritte, e forse possiamo sentire se viene con noi. Ma il pensiero più bello che porto con me, è un altro: che bello scordarsi per un giorno della carta d’identità, delle responsabilità, e di tutto e stare con gli amici. E il Cai è sempre almeno questo