E’ lo Statuto del Club Alpino Italiano che stabilisce, fin dalla sua prima formulazione scritta più di 150 anni fa, che lo scopo del Sodalizio, oltre all’alpinismo in ogni sua manifestazione, è la conoscenza e lo studio delle Montagne.
Un impegno molto antico dunque, che trova il suo concepimento nella ormai mitica lettera che Quintino Sella inviò a Bartolomeo Gastaldi che di fatto segna la nascita del Club Alpino Italiano. Le Montagne che fino a poche decine di anni prima della nascita del Club erano temute e considerate una minaccia per l’Uomo, iniziavano ad essere viste con occhi diversi, quelli dei primi naturalisti che daranno un impulso decisivo alla loro conoscenza. L’attività scientifica dal XVI secolo è stata la prima motivazione per l’esplorazione di questo territorio estremo e del suo peculiare ambiente naturale. L’esplorazione delle Alpi in forma più organizzata, da parte di scienziati e naturalisti, era iniziata nel ‘700. Furono Francesi, Svizzeri ed Inglesi i primi esploratori che motivati proprio dalla curiosità scientifica, iniziarono a salire le vette delle montagne per studiarle. Uno dei principali esordienti della conquista del Monte Bianco fu il naturalista svizzero Horace Benedict de Saussure, ossessionato dal desiderio di determinarne l’altezza. La Montagna verrà poi conquistata dai francesi Jacques Balmat e Michel Gabriel Piccard l’8 agosto del 1786, ma ci vorranno molti anni prima che venga riconosciuto questo merito in precedenza attribuito erroneamente al de Saussure. L’attività di esplorazione e ricerca proseguì in seguito in maniera regolare, ma a partire dalla metà dell’800 cominciò a prevalere il puro e semplice piacere della conquista della Vetta. Ecco che cominciano a nascere in Europa le associazioni per la Montagna: in Inghilterra nel 1857, l’Alpine Club, in Austria l’Österreiches Alpenverein del 1862, in Svizzera nel 1863 ed in Francia nel 1874.
Queste associazioni riunivano scienziati, alpinisti o semplici appassionati che condividevano il piacere di andare in montagna.
In Italia la nascita del Club Alpino avverrà nel 1863 ed analogamente a quanto accade nelle altre nazioni europee, anche l’associazione alpinistica italiana comprenderà al suo interno studiosi, noti scienziati, personaggi autorevoli, agiati professionisti e benestanti, assieme a guide alpine ed amanti delle escursioni in montagna che saranno chiamate “ascensioni”. Tra i soci fondatori c’erano soprattutto ingegneri minerari, geologi e naturalisti perché l’interesse preminente era lo sviluppo industriale dell’Italia così che la matrice è tradizionalmente sempre stata di impronta geologico- naturalistica tanto da frenare l’interesse verso altri rami della scienza.
Quintino Sella, scienziato e promotore di scienza come strumento per costruire la nuova Nazione, era un ingegnere minerario e cristallografo, Georges Carrel, il primo presidente della succursale di Torino ad Aosta (1865), era un sacerdote insegnate appassionato naturalista, Igino Cocchi, fondatore della succursale del Club di Firenze (1868), era geologo e paleontologo. L’ingegnere minerario Niccolò Pellati, fu il primo presidente della Sezione di Agordo (1868), Il prof. Arturo Issel docente di Geologia all’Università di Genova, sarà il quarto presidente della Sezione CAI Genova (1884).
L’abate Antonio Stoppani, geologo, fu il primo presidente della Sezione di Milano (1873) ed anche di Lecco (1874), Giuseppe Scarabelli Gommi Flamini, fu il primo presidente della Sezione di Bologna (1875), Domenico Zaccagna, ingegnere minerario, fu il primo presidente della Sezione di Carrara (1888), Giuseppe Ponzi, professore di zoologia e anatomia comparata all’Università di Roma, fu il primo presidente della Sezione del Club di Roma (1873).
Le Alpi e gli Appennini, iniziano ad essere svelate attraverso la penna di scienziati ed intellettuali che apriranno la strada al turismo montano. L’attività scientifica è stata quindi, in passato, lo stimolo principale per andare in Montagna. Secondo L’abate Antonio Stoppani, “Il Cai scientifico serve soprattutto a stimolare il saggio alpinista che sia solo un puro camminatore o un puro escursionista, a vedere, a scoprire quei fenomeni che interessano le Alpi, i problemi connessi, le cause degli stessi fenomeni, e ad amare sempre maggiormente anche sotto gli aspetti scientifici, i nostri sentieri, le piste, le pareti, le rocce, i pascoli, le foreste, i fiori e gli insetti, ad amarli e a rispettare quanto natura ha creato e va creando”. Di questo suo pensiero darà ampia dimostrazione nella sua opera principale: “Il bel Paese” che avrà larghissimo eco facendogli acquisire un posto di primo piano in campo scientifico divulgativo e contribuendo, al contempo, alla diffusione dell’alpinismo in Italia.
Tra gli argomenti di interesse scientifico che dalle origini hanno destato interesse nel Club Alpino, c’è, primo tra tutti, quello delle osservazioni meteorologiche.
Si tratta di uno studio veramente pionieristico, possibile soltanto dalla seconda metà dell’800 perché negli anni precedenti si avevano ancora incertezze dovute sia alla scarsa conoscenza dei corpi aeriformi, ma anche all’imprecisione dei dati rilevati da strumenti ancora troppo rudimentali.
Fu l’invenzione del telegrafo nel 1843, la “chiave di volta” che permise di istituire la prima rete di comunicazioni grazie al rapido scambio di dati meteorologici rilevati simultaneamente nei diversi osservatori con l’immediata possibilità di comprendere e prevedere i fenomeni meteorologici. È la nascita della così detta “meteorologia sinottica”; dai dati rilevati simultaneamente da diverse stazioni con strumenti compatibili e tarati tra loro, si giunge ad una rappresentazione grafica delle condizioni meteorologiche riportandole con appositi simboli su mappe geografiche per ottenere le così dette “Carte del Tempo”. E’ con lo studio delle proprietà dell’atmosfera terrestre e dei fenomeni fisici e dinamici che in essa si svolgano che nascerà la moderna meteorologia.
Emerge qui la figura del Padre Barnabita ed ingegnere Francesco Denza che sarà socio onorario della Sezione di Varallo. A Denza, considerato il Padre spirituale della meteorologia italiana, va il merito di aver educato e sostenuto in Italia, una scienza nuova ed in ascesa e di aver posto le basi per lo sviluppo delle reti di osservazione anche in luoghi impervi iniziando dalla sua Regione: il Piemonte.
Grazie a questo studioso, il Club Alpino Italiano istituirà la prima rete di stazioni meteorologiche in Italia che da allora è giunta fino ai nostri giorni.
Anche Filippo Cecchi, un altro insigne studioso, ma questa volta un Padre Scolopio direttore dello Ximeniano di Firenze, seguendo il progetto intrapreso da Denza e sostenuto dalla Sede del Club di Firenze, amplierà la rete degli osservatori meteorologici realizzandone dei nuovi negli Appennini. Nascerà così quella che dal 1873 verrà chiamata ”Corrispondenza meteorologica italiana alpina-appennina” che eleverà il Professor Cecchi al titolo di socio onorario del CAI. La giovane nazione italiana, si unificava anche con il sincronismo dei dati climatici. Alla morte di Padre Denza (1894), la rete meteorologica italiana promossa dal CAI, consisterà di oltre 500 stazioni. Fu un’ opera di grande prestigio per quel tempo che pose in primo piano ed all’attenzione di tutti, anche in campo internazionale, l’operato del Club Alpino Italiano. Da questa grande esperienza nascerà la Società Meteorologica italiana.
Le relazioni tra il CAI e Meteorologia, continueranno sino agli accordi del 1937 tra il Club ed il Ministero dell’Aeronautica. Si stabilirà che gli alpinisti possano usufruire di regolari bollettini meteorologici e che le Sezioni del CAI favoriscano l’impianto e la diffusione di nuove stazioni meteorologiche sul territorio.
Il campo di interesse scientifico più fruttuoso fu tuttavia quello legato a gli aspetti geologici e della Geografia Fisica. Nei primi anni del Bollettino sociale, appaiono articoli sulla divisione orografica tra Alpi ed Appennini e disquisizioni tra punto di vista del Geografo e quello del Geologo. Spicca tra le ricerche geologiche, la salita al Monte Cervino compiuta nel settembre del 1869 dall’ Ing. Felice Giordano, sulla scia della conquista italiana alla vetta ormai sfumata con la tragica vittoria dell’inglese Whymper tre anni prima.
Lo scienziato questa volta tuttavia, sarà attratto unicamente dagli aspetti scientifici come lui stesso dichiara, e salirà la vetta compiendo, oltre alle osservazioni barometriche per la determinazione della quota della montagna (altro tema di grande interesse nei primi anni di vita del Sodalizio promosso dallo stesso Sella), il primo rilievo geologico di dettaglio della montagna e della zona alpina circostante. Giordano azzarderà addirittura una ipotesi sull’origine del particolare settore della catena alpina e si spingerà molto vicino alla moderna “teoria delle falde”, in alternativa ai rigidi modelli “fissisti” dell’epoca. Giordano rasenterà la teoria “mobilista”, parlando di “pieghe a fungo o a ventaglio”, particolarmente “esuberanti in senso orizzontale”. Doveva trovare una spiegazione sul fatto che rocce con caratteristiche identiche, si trovassero distribuite a distanze considerevoli sopra altre rocce che riteneva più giovani. Scarterà questa ipotesi perché troppo rivoluzionaria per quel tempo; dovranno passare almeno altri venti anni affinché le moderne teorie faldiste [1] si facciano strada per poi consolidarsi definitivamente dopo gli anni ’60 del 900.
Degno di particolare interesse risulta lo studio sull’attraversamento delle Alpi con le grandi gallerie ferroviarie (1865), pubblicato sul Bollettino CAI del 1866 (Sismonda, Gastaldi, Giordano). Molti sono comunque gli studi e le ricerche di carattere geologico e minerario che appaiono sulla stampa sociale del Club a firma di numerosi e diversi studiosi in relazione a gite o alla stesura di guide su aree montane specifiche. Talvolta questi brevi elaborati danno la sensazione di essere una scusa per poter svolgere, successivamente, studi più approfonditi. Il risultato, oltre a sottolineare l’interesse specifico legato a questa particolare branca della scienza, è quello di produrre un gran numero di ricerche e studi originali spesso precorritori.
A Firenze il Professor Carlo De Stefani, geologo fondatore della Scuola di Geologia fiorentina, effettuò studi sulle Alpi Apuane con digressioni sugli aspetti della vita economica dei montanari apuani ed appenninici.
L’interesse per lo studio dei ghiacciai e delle loro variazioni volumetriche è un altro grande argomento che stimola l’interesse dei soci fin dai primi anni di vita del Club, un campo che è anche oggi di grande attualità ed al centro dell’attenzione per i cambiamenti climatici che caratterizzano il nostro Tempo e che riducono rapidamente le masse glaciali. Un settore questo che porterà, con l’attività di controllo dei ghiacciai alpini da parte di molti soci, a dar vita al Comitato Glaciologico Italiano nel quale molti soci CAI confluiscono. Può suscitare ilarità, la singolare disquisizione, nei primi anni di vita del Club, sulla origine dei massi erratici (se trasportati dal ghiaccio o da torrenti), ma questo è stato in effetti, uno degli aspetti più dibattuti che ha appassionato i soci alla fine dell’800. L’abate Antonio Stoppani sarà il primo, seguito poco dopo dal Prof. Igino Cocchi, a riconoscere tracce di antichi ghiacciai nelle Alpi Apuane ed il Prof. Carlo De Stefani scriverà una importante memoria sugli antichi ghiacciai delle Alpi Apuane.
Giovanni Marinelli, alla fine dell’800 iniziò ad occuparsi di Geografia cominciando dalle sue Montagne friulane così come avevano fatto i naturalisti svizzeri, francesi ed inglesi per le Alpi Occidentali. Effettuò numerose ascensioni per determinare l’altitudine delle vette, compiere osservazioni orografiche e per raccogliere notizie circa agli insediamenti umani e la toponomastica. La sua attività scientifica ha avuto carattere prettamente divulgativo. Anche il figlio Olinto è stato un celebre geografo ed ancor più del padre dedicò alle Alpi buona parte della sua corposa produzione di studi.
Ad iniziare dagli anni ’20 del 900, l’interesse scientifico nel Club si amplia verso gli argomenti di geografia umana (ricerche etnografiche). Gli aspetti che più interessano sono l’insediamento umano sulle nostre Montagne e le condizioni economiche della Montagna. I contributi, spesso originali, vertono sull’esplorazione geografica di territori montani e studi sui caratteri etnici delle popolazioni alpine.
Merita a questo proposito di essere ricordata la figura del Geografo e Geologo, Giotto Dainelli (Presidente per quasi 10 anni della Sezione di Firenze), al quale va certamente il merito di aver consacrato la Geografia come materia scientifica; in precedenza la Geografia aveva un’impostazione di stampo umanista.
Sono ancora vivi gli echi della fruttuosa spedizione scientifica, in Karakorum, prima con il medico esploratore De Filippi (1913-1914), assieme all’amico e collega geografo Olinto Marinelli, e poi con l’Istituto Geografico Militare nel 1930. In quelle occasioni furono affrontate tematiche che spaziavano dall’origine geologica delle montagne Himalayane e della valle dell’Indo, alla geografia fisica e l’esplorazione dei ghiacciai e sugli usi e costumi delle popolazioni del Karakorum, producendo (in buona parte da solo) una messe spropositata di scritti molti dei quali pubblicata in una corposa serie di volumi e portando in Italia campioni di rocce, oggetti di uso locale e specie vegetali, ancora oggi oggetto di studio.
La speleologia è un altro grande tema scientifico di larghissimo interesse che si fa strada già dai primi anni di vita del CAI. Nel bollettino di agosto 1865, Bartolomeo Gastaldi, uno dei primi pionieri dello studio geologico delle Alpi, oltre che secondo presidente del Club, riferisce su una passeggiata fatta, …”non sul dosso, ma bensì nell’interno di un monte”. E’ il primo accenno verso un’attività che prenderà sempre più piede e si ramificherà nei più diversi aspetti ed interessi scientifici: carsismo, fauna ipogea, meteorologia ipogea, ecc… Si segnala tra l’altro la prima esplorazione dell’antro del Corchia sulle Apuane, agli inizi del 1870 ad opera del naturalista Emilio Simi che ci lascerà il primo rilievo della grotta. Parimenti vanno ricordate le prime esplorazioni nelle grotte delle Calvana (1910–1913), tra Prato e Firenze, effettuate dal giovanissimo socio, Giovan Battista De Gasperi, discepolo del Prof. Giotto Dainelli, prematuramente scomparso in un’azione di guerra, durante il primo conflitto mondiale nel 1916.
L’esplorazione botanica delle Montagne inizia nel 18° secolo con la ricerca di specie utilizzabili a scopo medicinale.
Nell’800 i botanici raggiungono tutte le vette alpine e le valli più isolate; si completano così gli studi sulla flora alpina che viene conosciuta in tutti i suoi aspetti. In Piemonte ed in particolare in Valsesia, spicca la figura dell’Abate A. Carestia che sarà proclamato socio onorario del Club durante l’Adunanza generale dell’11 febbraio 1869. Per gli Appennini settentrionali e le Apuane la vera esplorazione sistematica è documentata dal 18° secolo ad opera di Pier Antonio Micheli, Antonio Vallisneri, Giovanni Targioni Tozzetti e Lazzaro Spallanzani.
Nella seconda metà dell’800, sulle Alpi Apuane, dopo la prima salita al Monte Procinto (A. Bruni e C. Dinelli 1879), raggiungerà la cima anche il botanico fiorentino Stefano Sommier, Presidente della Società Botanica Italiana e socio consigliere della Sezione fiorentina del Club. Sulla vetta troverà una specie botanica nuova per la scienza.
Vale la pena di ricordare inoltre la figura di Odoardo Beccari che fu esploratore botanico in Borneo per due anni (1865), ed in Eritrea. Fu decorato con medaglia d’oro dalla Società Geografica Italiana per il valore delle sue scoperte.
Molti sono inoltre i resoconti e le relazioni di botanica o scritti legati ai problemi sulla forestazione del territorio montano. Molto meno dibattuto è l’ambito zoologico. I contributi di interesse zoologico, sono per lo più specializzati per un determinato ambiente ad esempio quello ipogeo, oppure sono relativi ad uno specifico campo trattato come ad esempio quello entomologico o quello erpetologico. Nel 1882 la Sezione torinese del Club propone il tema naturalistico “La Fauna alpina e la distribuzione degli animali a varie altezze”. L’invito non viene raccolto, ma poco tempo dopo il Prof. Silvio Calloni zoologo dell’Università di Pavia, scrivere una importante memoria che sarà premiata dall’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, dal titolo: “La Fauna nivale con particolare riguardo ai viventi delle alte Alpi”.
Lo spirito di ricerca, passione e preparazione di molti soci del Club ha arricchito l’associazione di un numero rilevante di studi fisici, naturalistici ed antropici così che nel 1931 si renderà necessario dotarsi di un apposito gruppo ufficialmente competente per gli aspetti scientifici della montagna. Sarà il prof. Ardito Desio, altro illustre socio del sodalizio, a dare vita al Comitato Scientifico Centrale di cui sarà il primo presidente. Di questo insigne studioso basterà ricordare il valore della spedizione scientifico-alpinistica che nel luglio del 1954 ha portato per la prima volta la bandiera italiana, quella pakistana e l’emblema del CAI sulla cima del K2.
Numerosi sono stati gli articoli pubblicati sulla stampa sociale del Club Alpino Italiano sulla scia di questo grande successo, nell’arco di tempo che va dal 1920 al 1990.
Verso la fine dell’800 sarà la Medicina a destare l’interesse scientifico di molti soci.
Molti sono gli studi di fisiologia relativi al comportamento del corpo umano ad alta quota che sono stati impostati e condotti in ambito C.A.I.. Un pioniere di questo settore fu il fisiologo torinese Angelo Moso, professore di Fisiologia presso l’Università di Torino e Senatore del Regno, vissuto tra la fine dell‘800 e gli inizi del‘900. Dopo aver traslocato l’istituto di fisiologia nel 1893 nella nuova e più ampia sede collocata in prossimità del parco del Valentino a Torino, ed averla dotata di laboratori moderni per seguire gli interessi suscitati dalla passione alpinistica, già al centro di una memoria (La respirazione dell’uomo sulle montagne, Torino 1884), nel 1895, fondò anche una stazione scientifica sul Monte Rosa (Capanna Regina Margherita), alla quale fece seguito un vero e proprio istituto al Col d’Olen (m 2.901), inaugurato nel 1907. Nel frattempo Moso aveva pubblicato alcune ricerche sulla fisiologia dell’uomo sulle Alpi (Torino 1897, tradotto in inglese e tedesco), che dettero inizio allo studio della fisiologia di alta quota indirizzando al contempo la medicina di Montagna e l’Aeronautica.
Non mancano comunque scritti divulgativi di soci competenti a proposito di traumatologia fisiologia, igiene dell’alpinista, argomenti trattati anche in seno al Comitato Scientifico Centrale.
Dal gruppo iniziale del Comitato Scientifico, nel corso degli anni si staccheranno altri Organi Tecnici Centrali con tendenze più specialistiche ed applicative. La Commissione Centrale Medica, costituita da medici specialistici in varie branche della Medicina è uno di questi ed ha specifiche competenze in ambito della Medicina di Montagna, svolgendo un ruolo consultivo e di aggiornamento su tematiche mediche. Dal gruppo iniziale del Comitato Scientifico, si sono staccati anche altri Organi Tecnici Centrali con tendenze specialistiche e applicative, come la Commissione Nevi e Valanghe, (poi Servizio Valanghe Italiano) la Commissione protezione Natura Alpina (poi Commissione Tutela Ambiente Montano) e la Commissione per la Speleologia. Lo scopo del Comitato Scientifico è la promozione della conoscenza e dello studio degli ambienti montani, specialmente di quelli italiani, nei loro aspetti naturalistici ed umani; ciò viene realizzato attraverso un’opera di divulgazione per informare ed aggiornare sui problemi scientifici della montagna, anche attraverso la costituzione di commissioni scientifiche periferiche e con la promozione di ricerche e studi sui vari ambienti.
La rapida rassegna sulle attività scientifiche principali sviluppate dal CAI nel corso della sua storia, non esaurisce gli argomenti e le curiosità di ambito scientifico che negli anni sono stati proposti costituendo nell’insieme un bagaglio di studi che poche associazioni, non espressamente scientifiche come il CAI, possono vantare. L’attività scientifica costante svolta dal Club nel corso della sua storia, anche se fondamentalmente di carattere divulgativo, ha contribuito ad aumentare e da mantenere vitale il patrimonio di conoscenza dei numerosi frequentatori della Montagna.
[1] Le teorie che riguardano la traslazione di grandi unità rocciose chiamate “falde” che durante la formazione di una catena montuosa a causa di enormi spinte compressive, si spostano orizzontalmente anche per diversi chilometri.