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Testo e foto di Alfio Ciabatti @tutti i diritti sono riservati
Viaggiare sui mezzi pubblici è un modo per conoscere il territorio nel suo intimo. La Sardegna è ancora una regione dove in un ambiente naturale unico e meraviglioso si contrappongono modernità e tradizioni. Ma forse quest’ultime spesso sovrastano le prime. Basta allontanarsi solo pochi chilometri dalla costa e tutto cambia. Le vecchie miniere, le strutture preistoriche come i più noti nuraghi, il territorio carsico con le grotte e le voragini, le falesie per l’arrampicata, il mare azzurro incontaminato, gli allevamenti bradi oltre alle tradizioni del popolo sardo sono sono alcuni dei motivi per comprendere una regione con una storia che viene da lontano. Un ambiente che sembra abbandonato ma non lo è. È la natura profonda di questa terra aspra e difficile nel confronto fra le pianure e le montagne. Sono le Terre Alte di un isola da scoprire ma sopratutto da comprendere. La ferrovia Mandas-Arbatax a scartamento ridotto, la più lunga di questo tipo, collega l’Ogliastra, la Barbagia Seula e il Sarcidano, diventata recentemente Turistica, permette ancora di addentrarsi in ambienti dove i ritmi ancora sono quelli immutati di un tempo.
Luglio 2014, ore 7:30, il cielo sgombro dalle nuvole promette una bella giornata. Sono alla stazione di Arbatax, nella splendida costa dell’Ogliastra in Sardegna. Questa città ha vissuto momenti felici per la grande cartiera ma oggi vive prevalentemente di turismo. Sul porto a ridosso delle barche lì ormeggiate, c’è il trenino che aspetta. Acquisto rapidamente il biglietto e salgo sulla vettura accanto al locomotore che già brontola con il motore al minimo. Il treno è composto da un locomotore LDe degli anni ’50 con la cabina di guida al centro e con due lunghi cassoni esterni contenenti i due motori diesel-elettrici. Il fregio, una banda blu che termina con una V sul frontale, ricorda lo stile classico di quegli anni. Dietro, fa bella mostra di se, una vetture d’altri tempi con le ruote a raggi. Il singolo respingente sul frontale caratterizza questo piccolo treno
È il racconto di un viaggio fatto sul Trenino Verde della Sardegna da Arbatax fino a Mandas. Un viaggio che avevo già parzialmente fatto altre volte vari anni prima con altri scopi. Questa volta non mi interessava andare da nessuna parte, ma solo fare un viaggio su questa particolarissima ferrovia che attraversa alcune fra più belle e autentiche zone della Sardegna, l’Ogliastra, quelle a cui sono più affezionato, dove montagne, radure, boschi e mare sono uniti da un sottile cordone chiamato Trenino Verde.
Qualche minuto dopo le 8:00 il treno lentamente si muove. Passa tra le abitazioni con il caratteristico rumore cadenzato delle ruote sulle frequenti giunzione delle rotaie. Il fracasso proveniente dai finestrini aperti sopravanza le conversazioni dei passeggeri incuriositi. In questo tratto i piccoli binari sono ancora quelli originali di tanti anni fa.
Dopo la breve sosta alla stazione di Tortolì per far salire altri passeggeri, il treno abbandona la mondanità del mare con gli ombrelloni e altri sollazzi ed entra nel suo mondo, quello più gli appartiene: i pascoli, i boschi, le rocce e gli animali. La ferrovia Arbatax – Mandas lunga 159 Km, fa parte delle Ferrovie Della Sardegna (ARST – ex FDS). Fu costruita tra il 1890 e il 1894 per collegare Cagliari con Arbatax. Il criterio realizzativo fu, come per tutte le ferrovie secondarie, quello dell’economicità. Per lo scartamento fu scelto quello di 950 mm che permise la realizzazione di curve a raggio stretto e un basso numero di opere d’ingegneria come ponti e gallerie. Fu necessaria la realizzazione di numerosi tornanti per seguire l’andamento dei ripidi versanti montuosi particolarmente presenti in questa zona della Sardegna. Comportò per contro, un tracciato complessivo più lungo. É un percorso tortuoso dove le curve si susseguono senza interruzioni. I rari tratti rettilinei si trovano solo all’inizio e alla fine della linea. Una gran parte del territorio che attraversa non è raggiungibile dalle strade rendendo quindi la ferrovia è l’unico mezzo per arrivarci. Rese possibile il collegamento dei centri abitati più remoti con la costa e i capoluoghi.
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Man mano che lasciamo la pianura, il treno inizia la salita, allontanandosi sempre di più dal mare e dai suoi colori che si estendono in profondità verso l’azzurro. Il trenino gira e rigira continuamente tra le rocce di granito rosso, tra le terre arse punteggiate dai fichi d’India che sembra vogliano protendersi verso il mare. Si scorge il Supramonte di Baunei con le alte pareti rocciose illuminate dal sole. I paesi arroccati appaiono come pennellate chiare in quadro tra il marrone delle rocce ed il verde intenso dei boschi. Dai finestrini aperti si avverte l’intenso odore dei fichi.
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Giungiamo nella stazione di Lanusei dove i binari sono nel piazzale asfaltato condiviso con gli autobus. Sul primo binario una pompa tipo automobilistica per il gasolio, completa la singolare coreografia della stazione. Una targa sul fabbricato viaggiatori ricorda che la ‘recente’ ristrutturazione dell’edificio. Diversi turisti con gli zainetti colorati salgono sul treno.
Ripartiamo. Il treno si inerpica ancora sulla mezza costa della montagna dove sono addossate le ultime case di Lanusei. Non ci sono più boschi fitti, l’aria è frizzante e si possono ammirare scorci particolarmente suggestivi verso la pianura verde di Tortolì e l’azzurro del mare.
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A Pitzu e’ Cuccu, poco sopra Lanusei, la ferrovia compie un gioco d’ingegneria: per prendere quota in breve spazio, passa sotto-sopra su se stessa con una curva circolare completa a 360 gradi, come con una piroetta. Che impressione fa vedere i binari appena percorsi pochi metri sotto di noi! Come quella del Trenino Rosso del Bernina. Passiamo accanto al rudere dell’alta casa cantoniera sa figu craba che domina Lanusei da cui la vista si perde dall’orizzonte lontano del mare dell’Ogliastra, alle montagne del Gennargentu e del Supramonte.
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Continuano a sfilare accanto a noi i ruderi delle case cantoniere. Erano il presidio delle linea. Nelle case cantoniere si vivevano i ritmi di una vita. Alcuni amici locali ricordano ancora che quando erano ragazzi, il fischio del treno scandiva gli orari della giornata. Il cantoniere, in genere l’uomo, percorreva giornalmente il tratto di ferrovia assegnato per controllare che tutto fosse in ordine e nel caso faceva qualche piccolo intervento. A casa la donna accudiva la famiglia e le faccende domestiche. Nel pressi della casa era presente un forno e un piccolo appezzamento di terra per la coltivazione dei generi di prima necessità.
Siamo al termine della salita più impegnativa. Dopo il capolavoro d’ingegneria, il trenino lascia gli ampi panorami sulla costa e entra in un ambiente completamente diverso. Nella stazioncina di Arzana, punto più alto del percorso a 853 metri di quota, il cui paese come molti altri è lontano alcuni chilometri, sono presenti gli scheletri di due vecchi carri merci reduci di un incidente. Stanno lì come impietosa memoria di un tempo che fu. Nella breve sosta necessaria per far salire alcuni passeggeri, i motori sembrano volere riprendere fiato dopo la lunga salita. Ripartiamo.
Superata la piccola stazione di Villagrande Strisaili nel cui paese è prodotto un ottimo pistoccu, giungiamo su un arido altipiano dove inizia il bacino del Lago Alto Flumendosa. Animali allo stato brado come suini, cavalli e mucche caratterizzano la fauna. La quota rimane intorno agli 800 metri e si fa sentire con l’aria fresca che entra dal finestrino. In alto si individuano i contrafforti brulli delle non lontane cime del Gennargentu.
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Improvvisamente il treno rallenta la sua già modesta velocità. Un fischio. Ci affacciamo al finestrino e sui binari vediamo pascolare tranquille alcune mucche. Il treno si avvicina lentamente quasi per non disturbarle, esse si spostano pigramente per poi rioccupare il loro territorio dopo il passaggio del convoglio
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La marcia riprende, passiamo accanto ad una strada. Da un auto con targa estera dei ragazzi ci salutano e noi ricambiamo. Certo che un trenino così non può che essere una rarità.
Il nostro capotreno, una persona appassionata, racconta che le case cantoniere erano in totale circa cento, una ogni chilometro e mezzo, veramente tante. Oggi sono tutte abbandonate e la maggior parte sono dei ruderi. Allora la linea era di elevata importanza, richiedeva una grande attenzione dovuta al territorio particolarmente impervio che richiedeva una vigilanza continua. –E oggi? chiedo al macchinista che gentilmente mi ha fatto accomodare nella cabina di guida. –Oggi la manutenzione è ridotta all’essenziale. Sai, sono rimasti solo cinque cantonieri su tutti i 159 Km di linea– Mi fa vedere il punto dove qualche anno fa un treno deragliò a causa dell’allentamento di un binario. Fortunatamente non ci furono particolari danni. –Cose che succedono– dice sospirando.
Arriviamo alla stazione di Gairo-Taquisara incassata tra ripide pareti e fitti boschi. Scende un bel gruppo di persone, alcune attrezzate per escursionismo. Da queste parti sono presenti alcune fra più famose falesie per l’arrampicata in Sardegna
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Da questa stazione è inoltre possibile fare alcune belle gite a piedi con percorso ad anello salendo sull’altipiano sovrastante, arido ma affascinante dove sono presenti delle particolari cavità naturali come la grotta Taquisara, oltre ad alcuni bei nuraghi. Fino al 1956 da qui si dipartiva un tronco di linea di 7 km che raggiungeva Jerzu passando per Osini e Ulassai. Il tratto fu dismesso per vari motivi tra cui il fatto che negli anni ’50 nella zona ci furono eventi alluvionali catastrofici che fecero franare parte dei paesi di Gairo e Osini e tratti della linea. I paesi furono ricostruiti in zone più sicure ma la ferrovia non fu più riaperta.
Penso a quando nel 1894 quando la ferrovia fu inaugurata e per la costruzione furono necessari solo quattro anni. Per l’epoca fu un avvenimento eccezionale in quanto la ferrovia ruppe l’isolamento di vari paesi dell’entroterra collegandoli con la costa in tempi rapidi per allora. Erano momenti in cui le stazioni erano realmente vissute e l’arrivo del treno con il caratteristico sbuffo del vapore, scandiva l’orario ed era salutato come una festa per l’arrivo dei passeggeri che erano una novità. Era il tempo quando durante il viaggio si potevano conoscere persone nuove e vedere luoghi sconosciuti. Storie oramai lontane ma da non dimenticare.
Giuseppe, il macchinista, aziona la lunga leva del comando della velocità che ricorda quella delle locomotive a vapore. Chiedo perché sui locomotori ci sono due macchinisti invece che uno come sulle automotrici. Risponde facendomi notare fra le varie cose che dal posto di guida il lungo “muso” del locomotore impedisce di vedere il lato opposto delle curve strette. È quindi necessario essere in due per controllare cosa c’è davanti. Qui si naviga come su una barca a vela, penso fra me e me. Guardando tra i pochi strumenti della cabina di guida, osservo che il tachimetro ha la lancetta ferma sullo zero. Domando ad Antonio, l’altro macchinista: –Ma come fate a regolarvi per la velocità da tenere?”. “È semplice”, risponde, “con l’esperienza. É una linea che facciamo oramai da oltre trenta anni e sappiamo regolarci semplicemente guardando dove siamo e sentendo il motore. Conosciamo ogni curva. Comunque la velocità dovrebbe oscillare tra i trenta e i trentacinque chilometri l’ora-. Rifletto pensando alla profonda conoscenza che hanno queste persone delle loro macchine e del territorio. Penso anche che questa è la velocità giusta per assaporare questo meraviglioso territorio. Andare più veloce non servirebbe a nulla.
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Stiamo attraversando la foresta di Montarbu nell’omonimo parco naturale. Le strade asfaltate sono oramai lontane e accanto sfila solo qualche raro tratto di sentiero e tracce di passaggio di pecore e capre. Gli alberi di leccio e quercia da sughero con qualche acero dominano incontrastati creando il sottobosco nudo senza vegetazione. Qualche rapace volteggia in alto.
Il treno rallenta, si ferma in mezzo al bosco. Non vedo nessuna abitazione o costruzione ma riconosco infine la fermata di Niala. È solo un corto marciapiede in terra battuta con un semplice cartello, senza alcuna costruzione intorno. Scendono alcuni escursionisti. Qui inizia un bellissimo itinerario escursionistico che ho già fatto in passato. Attraversando boschi secolari, si raggiunge una delle cime più interessanti dell’intera zona, Pizzu Margiani Pubusa 1324 mt, nella zona dei caratteristici “tacchi”. Sono così denominati questi altipiani con i fianchi rocciosi verticali formati da un bel calcare che va dal giallo al grigio. Il “tacco” più famoso è Perda Liana visibile da grande distanza. Sono strutture rocciose tipiche di questa parte della Sardegna. Su queste pareti si svolgono molte vie di arrampicata. La difficoltà è spesso solo la non facile raggiungibilità. Ma forse questo non è un limite. Nella zona sono presenti anche alcuni voragini di cui una particolare è Su Stampu.
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Attraversiamo rumorosamente l’alto viadotto sul torrente di San Gerolamo, uno dei pochi ponti metallici con queste dimensioni.
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Il treno corre costantemente immerso nel verde dei lecci e querce da sughero, ai piedi delle pareti contornandole lungamente o attraversandole mediante profonde trincee.
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Sono presenti solo con qualche rara galleria e alcuni bei viadotti. Nei tratti con curve strette o punti esposti, sono presenti le controrotaie per evitare in caso di deragliamento la fuori uscita completa del treno. Ogni tanto il rumore di ramo che striscia sul tetto delle vetture indica la natura di questa ferrovia. È come quella di un antico sentiero nel bosco, dove è necessario farsi strada spostando a volte i cespugli.
Per la conformazione del percorso nelle strette e profonde vallate, si possono vedere i binari sul lato opposto del versante in una dimensione assolutamente unica per una ferrovia. Un nuraghe appare in lontananza per ricordare l’antico passato di questi territori. Siamo nella Barbagia di Seulo.
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Dopo tanti scuotimenti, raggiungiamo il paese di Seui dove c’è la sosta per l’incrocio con il convoglio che proviene da Mandas. È la prima stazione degna di una qualche vita. Qualcuno scende. La stazione è come un piccolo porto dove in ogni arrivo si spera nella novità. Dopo che è giunto l’altro treno, una automotrice nel suo caratteristico colore grigio e verde, il capostazione con il tradizionale berretto rosso, dà il via e riprendiamo il viaggio. Attraversiamo il paese passandoci nel mezzo. Le alte case costruite a ridosso della ferrovia la fanno sembrare quasi un erboso vialetto interno.
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Poco dopo passiamo accanto alla vecchia miniera di carbone oramai abbandonata di San Sebastiano-Corongiu che ha vissuto il suo momento più importante proprio con l’apertura della ferrovia. Proprio la presenza di questa miniera fu uno dei maggiori motivi di interesse per il passaggio della ferrovia li vicino. La miniera di carbone antracite, l’unica della Sardegna e una delle poche in Italia, ebbe il suo momento di maggior sviluppo negli anni tra le due guerra. Vicino alla ferrovia è presente la laveria dove il carbone arrivava attraverso una teleferica. Il paese di Seui si trasformò e da una economia rurale si trasformò in industriale consentendo lo sviluppo di una socialità sconosciuta.
Altre Informazioni sulla miniera
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Le oscillazioni della vettura che a volte rendono impegnativo fare le foto e prendere appunti, danno proprio l’idea di un viaggio su una carrozza di tempi lontani. I sedili bassi senza poggiatesta, consentono ai passeggeri di voltarsi e parlare tra di se in una sorta di condivisione del viaggio. Dagli ampi finestrini completamente apribili si può entrare in contatto, letteralmente, con ciò che scorre intorno. Infatti è necessario fare attenzione alle frasche che spesso strisciano sui fianchi del treno e possono strisciare anche sul viso
Ecco, ad un certo punto da un finestrino entra una farfalla, si ferma, si fa trasportare per qualche chilometro riposandosi, poi con un battito d’ali vola via scendendo dal “suo” treno.
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Un’altra sosta è alla stazione di Sadali, il paese delle acque buone e abbondanti. Molti scendono per il tour guidato “grotte+porceddu”. Rimaniamo in pochi. Il capotreno ci chiama “i coraggiosi”, siamo quelli che per fare i 159 km ci mettono 5 ore.
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Il convoglio riprende la discesa. Un particolare mi colpisce: prima di entrare nelle gallerie rallentiamo e poi riprendiamo velocità. Chiedo il perché a Giuseppe il macchinista, mi dice: “sai in questa stagione quando è molto caldo, gli animali al pascolo ma anche altri animali, si rifugiano nella gallerie per trovare un po’ di fresco, e, in particolare nelle gallerie in curva, all’improvviso ce li siamo trovati davanti e non siamo riusciti ad evitarli. Il ferimento di un animale è un grave danno per l’animale ma anche per il pastore”. Un altro particolare che fa riflettere sul senso e il rispetto della ferrovia nel verde. Solo ora capisco ora perché le motrici sul davanti in basso hanno una sorta di vomere, non è solo per la neve, forse è anche per evitare danni maggiori agli animali investiti.
Dopo Sadali la ferrovia comincia la lunga discesa per raggiungere l’attraversamento del Flumendosa. Raggiungiamo la vecchia stazione di Esterzili il cui paese è distante alcuni chilometri. I fabbricati ferroviari abbandonati sono oramai diventati dei ruderi. Ma mi colpisce un particolare. Oltrepassata la stazione, la ferrovia compie un doppio tornante di cui il primo è spettacolare. Si tratta uno stretto giro all’aperto su stesso di 360 gradi con raggio di meno di 100 metri che la porta a rivedere il tratto poco prima percorso una ventina di metri sopra. Come fosse una giostra o un plastico ferroviario ma invece è in un ambiente reale e autentico!
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Dopo un ennesima curva, la ferrovia si affaccia su una profonda valle. Sul fondo ritroviamo il fiume Flumendosa che si trasforma in breve in lago, inizialmente stretto, come un fiordo e poi sempre più largo e più lungo. È il lago Basso Flumendosa. È lungo 17 Km ed è stato formato da uno sbarramento artificiale. Fu costruito nel 1952 per la generazione di energia elettrica e irrigazione delle pianure del Sarcidano. Una breve sosta per vedere la famosa casa cantoniera “Palarana”. Fu costruita fra due alte parete rocciose su cui sono presenti solo le gallerie. Si racconta che era riservata ai cantonieri più riottosi al lavoro. Era considerata punitiva in quanto era particolarmente isolata. A quei tempi non c’era né il lago né le strade di oggi.
La ferrovia costeggia l’invaso scendendo fino all’attraversamento su un ponte nei pressi della diga. La risalita del versante opposto presenta ancora alcuni spettacolari stretti tornanti.
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Una famiglia con tre ragazzi fa il mio stesso viaggio. Sono seduti sui sedili davanti a me. Sono abitanti nelle Marche, il padre originario della Sardegna mi dice che è stato su tutte le ferrovie della Sardegna. Questa era l’ultima che gli mancava e mi dice che forse è la più bella.
Ora gli aridi campi orlati da siepi, hanno preso il posto dei boschi. All’ombra di una grande querce un gregge di pecore si ripara dal caldo cocente. Il capotreno con una passione rassegnata, racconta che tutti sanno che questa ferrovia è un gioiello di questa terra, inserita così profondamente fino a farne parte, ma avrebbe bisogno di grandi interventi di manutenzione e di un maggiore organizzazione orientata al turismo. Dice: “qualche finanziamento arriva, ma si ferma sempre vicino a Cagliari”. Il Trenino Verde della Sardegna è in predicato di avere il riconoscimento di patrimonio mondiale dell’Unesco al pari del Trenino Rosso del Bernina. Chissà. Sicuramente se lo meriterebbe.
Il treno continua perdendosi tra i boschetti di leccio, olivastri e campi inariditi dal sole cocente girovagando tra le alture come volesse farci vedere tutti i risvolti del suo territorio.
Oltrepassiamo le piccole stazioncine di Nurri e Orroli e dopo un’altra serie infinita di curve e controcurve che assecondano le ondulazioni del terreno, ci immettiamo sulla linea per Isili-Sorgono-Cagliari. Con un breve tratto finalmente rettilineo senza scosse e ondulazioni, raggiungiamo la stazione di Mandas. Questo tratto della ferrovia è stato recentemente ammodernato e fa parte del servizio del trasporto pubblico locale dell’ARST.
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Dopo pochi minuti, nel caldo assolato della pianura del Sarcidano, ci accoglie la grande stazione di Mandas segno di un trascorso importante. Ora è trascurata e sotto utilizzata.
Oggi è caratterizzata da una totale assenza di vita. Nel parco binari oltre a qualche locomotore, è presente qualche vettura e automotrice pronte a prendere servizio. Mi colpiscono alcune vecchie locomotive a vapore abbandonate completamente arrugginite con altrettanti vecchi carri merci. Sono lì come muti testimoni del servizio che hanno svolto in modo onorevole fino ad vari decenni fa. Sono monumenti per ricordare una storia passata da non dimenticare.
Dal nostro treno scendono due coppie di ragazzi con lo zaino. Viaggiano così, senza tempo. Aspettano l’autobus. Mi dicono che andranno a Cagliari.
Due ferrovieri discutono concitatamente del Mondiale. Sono arrivato. Solo il frinire delle cicale nella calura mi fa compagnia. Aspetto il treno per il ritorno.
Alcune foto sono state fatte in momenti diversi
Altre informazioni su https://it.wikipedia.org/wiki/Ferrovia_Mandas-Arbatax e su http://www.treninoverde.com/
Una bella carta interattiva della Sardegna http://www.sardegnasentieri.it/mappa-interattiva