Testo e foto di Marco Bagnoli
Tra le varie motivazioni che mi spingono a fare escursionismo e che condivido con un gruppo di amici, c’è anche la voglia di avventura e di esplorazione. Calcare zone non note e poco frequentate, infatti fa assaporare maggiormente l’andar per monti e rendono questa esperienza più personale.

Sorprendentemente le montagne della Val di Lima, così vicine a noi, si sono rivelate una miniera in questo senso.
In particolare mi riferisco ai rilievi posti in gran parte tra il torrente Lima (a valle di Popiglio) e l’Appennino a nord; ad essi si aggiungono la Penna di Lucchio e il m. Memoriante che invece sono a sud del corso d’acqua.

E’ una zona caratterizzata da ampie superfici lontane dai centri abitati, (solo poche case isolate erano presenti), nelle quali si praticava la pastorizia, dove l’abbandono è avvenuto da lungo tempo.

Questi luoghi si presentano selvaggi e remoti e il forte senso di isolamento che si percepisce nel percorrerli è sottolineato dalla mancanza o carenza di sentieri, spesso ridotti a flebili tracce, così come dai rari resti di edifici.
Queste montagne sono accomunate dalla roccia calcarea, che le differenzia dal vicino Appennino, roccia che dà loro una morfologia spesso aspra, con valli molto incassate e versanti molto ripidi.

Tutti questi ingredienti rendono questo ambiente particolare e ricco di fascino.

Certo, per frequentarli bisogna essere disposti qualche volta a perdere la direzione, a essere costretti a tornare indietro o fare deviazioni, ma lo sforzo sarà ampiamente ripagato dalle emozioni ricevute.
Fino al 2018 ero salito solo sulla Penna di Lucchio e sul Balzonero, gli unici due monti che sono serviti da sentieri ufficiali CAI.

Incuriosito dalla guida “Le dolomiti della Val di Lima” (2018, E. Mastripieri), che è un riferimento fondamentale, ho coinvolto gli amici di sempre, nel gennaio del 2019 con una prima escursione sul m. Limano. Da quel momento, questa zona ha affascinato me e i miei compagni, tanto da spingerci ad esplorare in modo quasi sistematico le altre cime principali nel giro di un anno e mezzo.

Il m. Limano per la cresta sud è stato il primo incontro con la difficoltà di orientamento tipiche di questa zona: un tratto di avvicinamento ci siamo fatti letteralmente spazio tra le eriche. L’altra cosa interessante di questo itinerario è la facile e panoramica cresta rocciosa, dove c’è da aiutarsi di tanto in tanto con le mani, che è un altro dei caratteri ricorrenti di questi percorsi. Assomiglia un po’ a quella del Balzonero, ma al contrario di quest’ultimo, non ha tratti attrezzati da superare.

Ancora più bizzosa è la costa di Mazzalucchio per arrivare sul m. Cimo: inizia come dorsale larga, ma ad un certo punto si impenna e diventa affilata ed arcigna. In realtà la superiamo senza difficoltà e con molto divertimento, aiutandoci un po’ con le mani. Da segnalare un punto suggestivo chiamato “Malpasso”, nel quale passiamo tra due grandi rocce.

La serie delle vette, che sono disposte in gran parte su dorsali con orientamento nord-sud divise da valli profondamente incise, è proseguita, sempre verso est, per cui è arrivata la volta del Balzo Rosso, forse l’itinerario dove il senso di isolamento e la difficoltà di orientamento è stata massima.

Tra i punti più suggestivi ricordo la zona detta “Grotte”, dove ci sono dei ruderi addossati ad una parete calcarea, come anche la divertente cresta, il cui nome è tutto un programma (“Schiena d’asino”), dove i passaggi vanno scelti anche se non sono obbligati e il cui culmine è piuttosto aereo e che ha fatto scatenare i fotografi e le “pose plastiche”. Completa questo itinerario un traverso da fare in puro stile “apuano” su sfasciumi. Il tratto però che mi ha più colpito è stato quello sotto il versante orientale del Balzonero, una prospettiva veramente potente, tra le più belle tra quelle viste in questa zona.
Rimanevano gli ultimi due rilievi visti dal Balzo Rosso che sembravano inaccessibili: il m. Montale e il Balzo della Colonnetta. Due vette di elevazione ancora più modesta, ma che per la loro posizione isolata, una volta raggiunti, ci hanno regalato delle belle visuali sulle altre cime della zona e sull’Appennino che sta sullo sfondo. E che dire della wilderness! Siamo stati costretti a fare un tratto letteralmente a naso, per arrivare ad un posto entusiasmante: la grotta del Dordoio che contiene una fragorosa cascata che forma un ruscello. Quasi in cima al Balzo della Colonnetta si trovano poi due vecchie miniere, e viene da domandarsi chi poteva pensare di fare queste attività in un luogo così remoto. Da menzionare Tanabetti, uno dei pochi insediamenti formato da più case, ormai ridotte in ruderi inghiottiti dalla vegetazione.

Sul più noto Pratofiorito, siamo andati a risalire la frizzante cresta di Carpineta, il cui accesso, è così complicato come orientamento e poco battuto che ha richiesto un secondo tentativo. Anche se più conosciuto, non poteva mancare anche il Balzonero per la Fessa (cresta sud).
Per concludere, una zona che consiglio caldamente a chi è amante di ambienti non scontati, ostici, da conquistare passo dopo passo, perché riserva soddisfazioni che vanno oltre quello che le quote contenute sembrano poter promettere.
