“Ne è valsa la pena” (miniracconto di Roberto Masoni)

Gennaio 2010
C’era un forte odore di terra nel bosco.
Walter saliva lento, convinto com’era che solo la lentezza permettesse di assaporare il piacere di muoversi. Almeno in montagna.
Passo dopo passo, posando i piedi con la consueta maestria sui sassi ormai levigati del sentiero, sentiva allontanarsi i rumori del progresso, le grida dei turisti che, come ogni anno, avevano preso d’assalto il paese. Di quando in quando, camminando, buttava un occhio al cielo. La pioggia aveva da poco lasciato il posto ad un pallido sole che, benevolo con gli uomini, aveva preso per mano un alito di vento che stava lentamente mantenendo la promessa di liberare il cielo dalle nuvole.
Saliva ripensando al messaggio di Marco che aveva trovato, di buon mattino, nella posta elettronica. Un messaggio inatteso che criticava un certo tipo di stampa. Solo la sera prima si era addormentato sull’ultima pagina di un libro che raccontava la storia di due fratelli, noti come i migliori arrampicatori al mondo, e non aveva provato alcuna emozione, solo una sequela di cime conquistate, di movimenti sempre più esasperati.
“Che abbia ragione Marco?” pensava.

Refuge des Rognes

In quel momento, Cesare se ne stava seduto accanto alla porta d’ingresso del rifugio, un’ora di cammino dal paese. Sfiorava con la mano il legno consumato della panca chiedendosi da quanti anni fosse muta testimone di arrivi e partenze, di zaini appoggiati e rimessi sulle spalle, di bambini che saltano, di corde gettate alla rinfusa, di panini mangiati in fretta prima di ripartire. E mentre rifletteva, buttava ancora un occhio sul materiale disteso per terra in attesa dell’arrivo di Walter: corda, moschettoni, qualche attrezzo. Da quella posizione poteva vedere buona parte del sentiero che menava al rifugio, Walter ancora non si vedeva. Tirò fuori il tabacco dallo zaino, si costruì una sigaretta, l’accese guardando con piacere gli arabeschi di fumo dileguarsi grazie allo stesso alito di vento che, in quel momento, stava asciugando la fronte di Walter.

Saliva veloce, ora, Walter. Il bosco aveva lasciato spazio al cielo aperto, ma mano che saliva si andavano scoprendo in tutta la loro bellezza splendidi appicchi rocciosi dei quali conosceva ogni segreto.
“Ma sì … Marco ha ragione – pensava fra se – c’è troppa autocelebrazione. Solo in pochi riescono a trasmettere qualcosa di più interessante di una banale sequenza di movimenti, di passaggi sempre più duri, brillantemente risolti dal protagonista del libro. Quasi nessuno parla della natura se non per raccontarne gli eccessi, imprevisto che accresce ovviamente il valore della salita”.
Si fermò improvvisamente.
Ma sì … perché non ci aveva pensato prima, finalmente una luce.
“Ma non sarà proprio il congenito protagonismo degli alpinisti, la competitività fra loro, a limitare qualunque forma di racconto?”
Walter ne sapeva qualcosa … si era sempre impegnato per migliorarsi, per rendere migliore la sua forma fisica, impegnato a salire sempre un gradino in più di quella bizzarra scala che è alla base dell’azione. Ma insieme ai gradini aveva scalato anche la sua smania di protagonismo, tante, troppe volte manifestata senza ragione, ostentata senza gli fosse chiesto. Anche ora salendo al rifugio avvertiva la stessa smania ben sapendo che Cesare lo stava aspettando con impazienza.
“Si … Marco ha ragione. Ci sono libri, racconti che non trasmettono niente; il senso di una salita, la percezione di ciò che ci circonda, talvolta anche solo il significato di una gita. Solo in pochi riescono ad ascoltare un bosco, i suoi animali, ascoltare il profondo silenzio di una valle riuscendo a descriverlo. Da ora in avanti – pensò Walter – scriverò solo delle mie emozioni”. Immerso in questi pensieri giunse al rifugio. Cesare lo guardò negli occhi senza dire niente ma non servivano parole fra loro. In quegli occhi Walter lesse ciò che voleva sentire, lesse che era valsa la pena essere lì, ora, in quel momento, e condividere con lui questa nuova esperienza. Non potevano fermarsi ora, ad un passo dalla sfida.
Anche il vento sembrò rendersene conto, soffiava ora con più vigore quasi a coronare i loro intenti. Prepararono il materiale con la massima attenzione, poi Cesare si allontanò qualche metro. Walter prese a correre e finalmente … l’aquilone volò. Lassù, vicino alle poche nuvole rimaste, sullo sfondo di imponenti guglie, si fece anch’egli accarezzare dal vento.
E nel vento, guardando il cielo, provarono una profonda felicità. Cesare aveva sciolto il nodo che legava il fazzoletto che portava al collo, si asciugò la fronte. Appoggiò l’altra mano sulla spalla di Walter, che ancora ansimava, e gliela strinse forte.
Capirono in quel momento, dopo tanto girovagare sulle pareti del mondo, dopo aver affrontato mille pericoli, che la vita è anche poesia. Sì, ne era valsa la pena. Seguendo con lo sguardo, come bambini frastornati, i volteggi di quel semplice gioco, un pezzo di carta attaccato ad una corda, capirono che il loro viaggio non sarebbe finito fintanto si fossero sentiti liberi di volare con la mente … E così fu.
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