“Quel muro color ocra” di Roberto Masoni

Gennaio 2010

Se mi chiedessero un valido motivo per giustificare perché, per tanti anni, ho frequentato Maiano non avrei esitazioni a rispondere che la bellezza del luogo ha sempre prevalso sull’aspetto tecnico. Con qualunque mezzo vi si giunga, Maiano è pur sempre una boccata d’ossigeno, un immergersi fra le colline che si trovano a settentrione di Firenze, dove si può camminare, leggere, magari fermarsi anche solo per qualche minuto a scambiare due parole con gli amici di sempre e, mentre l’occhio corre sui merli della Torre di Vincigliata, trovare tutta la serenità che questo luogo sa trasmettere.

Bollettino del Marzo 1987E’ pur vero, tuttavia, che Maiano è essenzialmente conosciuto, nel nostro ambiente, per la sua parete di roccia. Nel 1987 apparvero sul nostro bollettino due articoli, uno di Leandro Benincasi, l’altro di Andrea Astorri, che avevano l’obiettivo di celebrare i vent’anni di attività della palestra simbolo degli arrampicatori fiorentini. Ne sono passati, ad oggi, oltre quaranta; motivo di più per raccontare gli ultimi vent’anni ed, al tempo stesso, ricordare l’importanza che questo “muro color ocra”, come Leandro lo chiamò, ha svolto nella realtà fiorentina.
Maiano nasce, alpinisticamente parlando, nel 1967 anche se, è pur vero, che vi si arrampicava anche prima di tale data, già dai primi anni ’50. Fu “per iniziativa di Paolo Gori che … nasce”, infatti, “nel 1952, in una cava di Monte Ceceri ancora in parte interessata dall’attività estrattiva, la prima “palestra alpina”, un nome mutuato da altre palestre dell’arco alpino. Fu intitolata ad Emilio Comici, un nome che richiamava la memoria di colui che, forse più di altri, era considerato, in quel periodo, un idolo per le nuove generazioni di alpinisti” (da: Roberto Masoni – Mezzo secolo di alpinismo). Fra questi primi frequentatori della palestra, ne cito solo alcuni anche se l’elenco sarebbe molto più lungo, ricorderò Paolo Melucci, Giancarlo Dolfi, Sandro Cencetti, Guido Ridi. Successivamente alla “Comici”, e sempre nel comprensorio di Monte Ceceri, fu aperta quella che, a breve distanza di tempo, avrebbe assunto il nome di “ASNU”

La Palestra di roccia di Maiano

dal nome del consorzio incaricato della pulizia urbana della città, l’odierna Quadrifoglio per intenderci. Siamo nella seconda metà degli anni ’60. Il nome ASNU “dice tutto sul genere di degrado lamentato: la cava veniva usata come discarica delle immondizie del comune di Fiesole e presto ne divenne impossibile la frequentazione” (da: Leandro Benincasi – Quel muro color ocra).

Dall’abbandono di questa discarica nasce la palestra di Maiano. A scorgerla ed a valutarla, come poi verificatosi, potenzialmente adeguata all’arrampicata furono

I "tetti" di Maiano

Leandro Benincasi e Giancarlo Campolmi. “A trovare questo nuovo muro … furono … Istruttori della Scuola che per primi ne tracciarono le vie, una tradizione che si è d’altronde protratta nel tempo. Quasi tutte le vie di Maiano sono state aperte da Istruttori della Scuola, per primi Benincasi, Ghiandi e Ponticelli, seguiti dai Verin, Bertini, Barbolini, Denti ed altri, passando attraverso le esperienze dell’arrampicata sportiva, con i tracciati aperti da Cirri, Schlatter, Virgilio, Piccini, fino a giungere agli anni ’90, alle ultime linee di arrampicata aperte da Masoni” (da: Roberto Masoni – Mezzo secolo di alpinismo).

A frequentare, per primi, la palestra furono, insieme a Leandro, anche Umberto Ghiandi e Paolo Ponticelli. Nel 1967, data che, come abbiamo detto, segna ufficialmente l’inizio dell’attività di Maiano, aprono la loro prima via. Come era ovvio che fosse, sfruttarono il tratto di parete da loro giudicato più vulnerabile, la via si chiamerà via dei diedri neri, nome che, nel tempo, si trasformerà in via dei neri, i neri, attualmente solo Neri. Fu aperta naturalmente dal basso, come costume voleva, utilizzando i normali chiodi per la progressione. Seguì poco dopo l’apertura della via dell’acqua minerale, nome legato al nobile gesto di qualcuno che “in una giornata di lavoro alpinistico particolarmente calda ebbe l’amorosa idea di andare a comprare una bottiglia di minerale e di offrircela” (L. Benincasi – c.s.). I tre non si fermano, aprono Nicoletta, in onore di Nicoletta Strambelli in arte Patty Pravo, via destinata poi a scomparire a causa dei numerosi crolli (attaccava all’incirca in corrispondenza dell’attuale Acqua Minerale e finiva traversando fino al terrazzino, poi crollato, della Neri), e Le Mura, il primo itinerario che affrontava la fascia di placche centrali all’apparenza così repulsive. C’è da dire che, oltre la sosta attuale, la via Le Mura proseguiva quasi in verticale e terminava non lontano dalla sommità della parete. Fu aperta nel 1968 e fu chiamata Le mura superiore, credo che molti degli attuali frequentatori di Maiano non sappiano nemmeno sia esistita.
Con la scoperta della parete di Maiano si aprono anche nuove opportunità d’insegnamento per la Scuola di Alpinismo Tita Piaz che subito ne usufruisce per i propri corsi.  La utilizza infatti, già nel 1967, per tre uscite del corso di alpinismo. Ricercando fra le carte della Scuola dirò che gli allievi di quel corso erano: S. Barucci (1950), P. Bruscoli (1942), D. Bonosi (1943), G. Campi (1943), L. Campolmi (1951), A. Casini (1940), G. Casini (1946), P. Cavini (1950), A. Del Taglia (1946), S. Donati (1942), D. Fantaccini (1950), F. Fattirolli (1952), E. Martinelli (1943), V. Minelli (1939), E. Perrone (1946), E. Pranzini (1947), F. Torricini (1944), T. Torricini (1939), M. Vicario (1950), R. Pagnini (1941), C. Toccafondi (1947), A. Vieri (1949). La quota di iscrizione del corso ammontava a 5.000 lire mentre per i Soci del GSF e minori di 21 anni si riduceva a 3.500 lire. Dirò anche che Gilberto Campi, allievo del corso, parteciperà, solo due anni dopo, alla spedizione all’Ararat organizzata dalla Scuola, composta anche da Valdo Verin e Giancarlo Campolmi, sotto la guida di Paolo Melucci.
Nel 1968 Mario Verin e Giovanni Bertini fanno il loro ingresso a Maiano, un ingresso vitale che segnerà il futuro della palestra che già svolgeva un ruolo allenante ma era, pur sempre, un tipo di attività che aveva una connotazione propedeutica. La palestra cittadina come una montagna in miniatura, dove vigevano, tuttavia, le regole fondamentali dell’attività alpinistica vera e propria. In questo contesto la presenza di Mario Verin riuscirà a produrre un sostanziale cambiamento della mentalità ed a dare una nuova visione del concetto di “palestra” e quindi dell’effetto addestrante che tale pratica procurava. Il livello si innalzerà subito, i problemi tecnici del momento saranno entro breve risolti.
Verin e Bertini aprono quella che sarà considerata la via più dura del momento, Aulin, dedicata ad Ewa Aulin, attrice svedese dalle abbondanti quanto accattivanti forme. Quindi in rapida successione la diretta le mura e lo spigolino, oggi comunemente chiamato spigolo, che Giovanni apre, in artificiale, in compagnia di Leopoldo Fiaschi. Nel giro di pochi mesi vedono la luce Charlie Brown e Charlie Brown Superiore. Quest’ultima coincideva esattamente all’attuale Piri Piri. Una variante, aperta da Mario Verin, usciva a destra prima del traverso per giungere al punto di sosta delle Mura superiore, di cui ho già parlato. Nello stesso periodo viene aperta anche Che Guevara, via che porta la firma di Giovanni Bertini e Paolo Melucci. Va detto, a beneficio dei più giovani, che Che Guevara aveva uno sviluppo completamente diverso dall’attuale, il tracciato originario coincideva grosso modo con l’attacco attuale della Dio, quindi  obliquava a sinistra aggirando il grande tetto alla sua destra e raggiungendo, tuttavia, il medesimo punto di sosta odierno. Vale la pena ricordare un episodio curioso legato all’apertura di questa via. Sembra, infatti, che, una volta ultimata la chiodatura, fosse posta, al riparo del grande tetto, un’immagine incorniciata del celebre rivoluzionario argentino. Sufficiente a scatenare la reazione di sostenitori dell’altra sponda che, sfruttando il buio della notte ed a più riprese, cercarono di abbattere il quadro a sassate, senza tuttavia riuscirvi. Buon senso volle che, per il quieto vivere, il ritratto fosse tolto. Certo è che l’episodio, siamo nel 1969 non dimentichiamolo, ebbe il merito di provocare acute e astute riflessioni, da parte dei frequentatori più smaliziati, del tipo “l’alpinismo è di destra o di sinistra?”. Nel clima goliardico del momento le discussioni si sprecavano con altrettante varianti, ad esempio “la pastasciutta è di destra o di sinistra?” e così via.
Carlo Barbolini e Marco Passaleva a Maiano

Meglio andare avanti …

Siamo agli inizi degli anni ‘70, Maiano si va popolando ed attrae un numero sempre crescente di frequentatori. Frequentatori ai quali è ben chiaro quale fosse il livello, per non dire il pensiero eminente di difficoltà che “… era in quegli anni direttamente legato al grado di chiodatura dell’itinerario (concetto di ispirazione messneriana che affermava che un vero passaggio di VI grado è tale solo se superato da primi di cordata, con l’ultimo chiodo di sicurezza posto per lo meno a 10 metri di distanza). Per questo motivo molte vie erano spesso chiodate con eccessiva scarsezza …” (L. Benincasi – c.s.).
Si cominciano ad esplorare molti tratti di parete facendo uso della corda dall’alto, si va delineando un costume che diverrà, nel tempo, consuetudine: l’apertura dall’alto. I chiodi tradizionali saranno sostituiti con quelli a pressione. E’ con questa tecnica che saranno aperte Miriam (aperta in artificiale, attaccava più a destra dell’attuale nella quale si inseriva all’altezza della prima placca), il Diedro, Francobollo a lungo chiamato “il passaggio di Mario”, Giulia. Fa la sua comparsa a Maiano nel 1971, appena uscito dal corso roccia 1970 della Tita Piaz, Carlo Barbolini. Aprirà alcune delle vie ancora oggi più frequentate, le prime nel 1972: diretta lo spigolo e Dio. Tolgo la curiosità sull’origine di questo nome che avrebbe dovuto avere, nelle intenzioni di Carlo, qualcosa al seguito. In poche parole, una best… ehm … un sostantivo sacrilego. Colto sul fatto, mentre stava scalpellando il nome della via sulla roccia, fu tuttavia convinto a più miti e pii propositi. Il nome si fermò a Dio, questa la vera storia di un nome sul quale molto si è discusso. Per ironia della sorte, solo un anno dopo, nel 1973, Stefano Denti, detto Gesù, apre, appunto, Gesù, poco distante dalla Dio. Due vie dal condensato mistico. Dirò anche che la diretta lo spigolo fu successivamente rinominata in Salto dello Sgranocchiatore a causa di Stefano Costa, conosciuto appunto con il soprannome di Sgranocchiatore, volato e caduto a causa della rottura di un moschettone. Ancora nello stesso anno, nel 1972, Carlo apre Barbara, via che volle dedicare alla bellissima Barbara Bouchet, attrice allora molto in voga in film stile commedia all’italiana, e l’anno successivo la Diretta al diedro. Ed a proposito di nomi, viene aperta in questo periodo anche Nancy, via dedicata a Nancy Sinatra, figlia di Frank, che in quel periodo riscosse notevole successo, scalando la cima, per rimanere in tema, di tutte le classifiche, con la canzone “These boots are made for walking”. Canzone che ha segnato i ricordi di tutti coloro che fanno parte della nostra generazione.
Nella prima metà degli anni ’70 vengono, inoltre, aperte due vie, che ho lasciato volutamente per ultime e che segneranno una tappa fondamentale nell’evoluzione dell’arrampicata a Maiano. Si tratta di Istruttori e 3V. La prima viene aperta dai soliti, terribili, Benincasi, Verin, Bertini e Ghiandi, la seconda da Walter Persico, Valerio Campioni e Valdo Verin, fratello di Mario; tre “V” come le lettere iniziali dei loro nomi. Va detto anche che originariamente, prima che Mario Verin risolvesse il problema del passaggio iniziale, Istruttori attaccava dopo un prolungato traverso a sinistra che si affrontava dal ballatoio iniziale della 3V. Si avverte in questo periodo, un certo calo di interesse da parte dei frequentatori della palestra. Il mondo alpinistico, d’altronde, va lentamente modificandosi “… profondi mutamenti vengono a scuotere l’ambiente un po’ stanco di Maiano. Decisiva risulta la concomitante azione di due fattori: il primo costituito dall’afflusso in palestra di giovani alpinisti provenienti spesso da ambienti diversi dalla consueta matrice della Scuola di Alpinismo di Firenze, il secondo costituito dall’influenza, che anche qui in Italia si comincia ad avvertire, delle nuove esperienze provenienti dall’estero e che si possono sintetizzare nella cosiddetta arrampicata sportiva” (L. Benincasi – c.s.).
Sono gli anni dell’ingresso nella scena mondiale di Wolfang Gullich, grande personaggio che portò l’arrampicata a livelli impensabili. Livelli che, all’epoca, sembravano riconosciuti solo a quei grandi arrampicatori d’oltre oceano che rispondevano al nome di Warren Harding, Royal Robbins, Yvon Chouinard, Wayne Merry, Galen Rowell, Chuck Pratt, Tom Frost, John Harlin, Greg Lowe, Ray Jardine, Jim Bridwell (mamma mia … e sono solo alcuni). Nel 1972, anno in cui viene accolto nel Club Alpino Accademico, Giampiero Motti, padre del “Nuovo Mattino”, scrive “I Falliti” sulla Rivista mensile del CAI. Insomma è un periodo di profondi cambiamenti che, pur nel nostro piccolo, sono avvertiti anche a Maiano.
Con l’avvicinarsi degli anni ’80 la ricerca sistematica di nuove linee riprende. Nel 1978 Giovanni Bertini e Raffaele Gallo aprono una delle vie, ancora oggi, più impegnative dell’intera palestra: Polverosa, un mix di difficoltà e ricerca estetica del movimento. Nel 1978, Andrea Astorri e Massimo Boni aprono Placca Bianca. Carlo Barbolini apre, nel 1979, Dino poi chiamata Lametta (anche se i ricordi non sono unanimi e anche se oggi la presa della “lametta” non c’è più), e nello stesso anno, Cirri, detto Ciro, e Astorri aprono la via del Ciro con tre soli chiodi! Una via che ha subìto, purtroppo, alcuni crolli iniziali tanto da non poterla ripetere, oggi, nel suo sviluppo originario. Il livello tecnico è cresciuto molto a Maiano e le nuove vie aperte lo testimoniano ampiamente.
Si dovrà attendere, comunque, il 1983 per festeggiarne l’apertura di una nuova. Anno in cui Leonardo Piccini apre Strizzaiola ed in compagnia di Nicola Gambi Pizzaiola. Arriva il 1984, Piccini e Federico Schlatter aprono una variante al diedro chiamata Tetto del diedro, quindi Brodo di giuggiole (riveduta e corretta da chi scrive dopo alcuni crolli), quindi viene aperta Filetto (Astorri-Piccini), Controfiletto (Piccini-Schlatter), Camomilla (Palagi-Schlatter) e Flipper (Palagi-Piccini). Tutte vie che alzano notevolmente il livello di difficoltà della palestra, effetto di una nuova tendenza molto influenzata dal consolidarsi dell’arrampicata sportiva più in generale. Nel 1985 Piccini apre Lavorare stanca che nasce come una variante di Lametta. Piegava infatti a destra prima della placca centrale, quella della lametta, per poi superare direttamente lo strapiombo posto sotto la sosta. Sempre nel 1985, Piccini e Schlatter aprono la Fessura, oggi praticamente scomparsa e sconosciuta ai più, a lungo considerata la più impegnativa via di Maiano. Saliva verticalmente dalla sosta della Charlie Brown ed usciva a destra, dopo la fessura, fino alla sosta delle Mura superiore.
Roberto Masoni su il "Tetto del Diedro"

Il 1986 è l’anno della più bella, estetica, elegante via di Maiano (almeno per me): Eta Beta. Ad aprirla sono due giovani che dimostreranno, nel tempo, tutto il loro valore: Cristiano Virgilio, oggi affermata Guida Alpina, ed Alberto Tommasi. Astorri traccerà una variante d’attacco ancora più impegnativa e, sempre nel 1986, Alberto aprirà anche Rossella. Siamo quasi agli anni ’90.

Ed è proprio a cavallo degli anni ’90, che intorno a questo “muro color ocra” si venne a creare un discreto movimento di giovani arrampicatori. Mimetizzati all’interno di quest’ultimi anche un gruppetto di agguerriti “meno giovani” che avevano ereditato, sì, la cultura alpinistica dei “padri nobili” ma che avvertivano in ugual misura un certo prurito arrampicatorio. Tutta gente che non ha, e non ha avuto, la pretesa di entrare negli annali di Maiano ma che ha dato un proprio, inequivocabile contributo anche se taluno lo considererà irrisorio. I “tempi d’oro” erano passati ma Maiano suscitava ancora interesse, vi era soprattutto la percezione che certe “linee” fossero ancora possibili e assicurassero ancora una certa logica. L’ambiente era preparato, un mix di “vecchi tromboni” e “giovani leoni” che non mancavano di guerreggiare amichevolmente fra loro, ma con sempre maggior esasperazione, sui passaggi più duri, talvolta meno frequentati. A Maiano il più era stato fatto, eppure vigeva ancora il desiderio di emulazione, la voglia di trovare linee nuove che potessero amalgamarsi con quelle ormai credute decisive degli anni ’70-’80.
Avevo ripreso a frequentare Maiano sul finire degli anni ’80. Fra gli habitué si era ormai sedimentato il concetto che la parete fosse satura, che non vi fosse più spazio per nuove proposte; in una parola, che l’evoluzione, se di evoluzione vogliamo parlare, si fosse arrestata poiché non vi era più niente da chiodare. Scrutando la parete inventammo, tuttavia, qualcosa di nuovo. Banale certo, ma nuovo almeno. Fra quelle mediocri “invenzioni” scoprimmo il “traverso alto”, salivamo lo spigolo e traversavamo fino al diedro, più o meno all’altezza delle catene; praticamente stavamo in parete un pomeriggio intero. Enrico Sani, uno dei più assidui, passava ore e ore in parete alla ricerca di nuove soluzioni, nuovi problemi da risolvere. E di solito ci riusciva. Inutile ricordare che, da almeno vent’anni, esisteva anche il “traverso basso”. Antesignano del bouldering il traverso era, ed è, un “particolare percorso che si snoda a quota modesta da terra per tutta la lunghezza della palestra … dove ognuno, nell’ambito delle proprie possibilità, può spingersi fino all’estremo limite delle forze e del volo, senza rischi apprezzabili” (L. Benincasi. c.s.). A conferma della diffusa grullaggine, sembrerà strampalato ma lo facevamo, talvolta, anche con metodi del tutto inusuali. Innanzitutto eliminando una mano, e legandosi naturalmente il braccio inutile dietro la schiena, talvolta senza utilizzare – ma solo in certi tratti – ambedue le mani, il che richiedeva ovviamente tempi di progressione lunghissimi e giochi di equilibrio degni di un mimo. Carlo lo affrontò con tanto di benda sugli occhi, talvolta lo facevamo cronometro alla mano (i tempi migliori erano sotto i due minuti!). Insomma … divertimento allo stato puro.
In questo contesto, chiodai la mia prima via a Maiano alla quale detti nome Anestesia mentale, francamente, non ricordo perchè. Una via che niente aveva di particolarmente attraente salvo assicurare almeno un paio di movimenti interessanti. Poco prima, Bobo, con l’aiuto del Conte, al secolo Alvaro Ghini, aveva aperto Oggettino per amatori, via di notevole intuito, niente male come livello di difficoltà, un cazzotto allo stomaco per la concentrazione richiesta se eseguita con alcune, fondamentali “regole”. L’anno dopo, con l’aiuto di Luciano Burgalassi, chiodai Saluta tutti, tormentone del momento che si rifaceva ad un noto personaggio di Panariello, via che portammo poi fino al bordo superiore della palestra, su terreno a dir poco delicato. Praticamente ghiaia e nemmeno di quella buona. Ma c’era ancora il grande tetto, a destra della via, da risolvere. Provammo, riprovammo … poi finalmente, trovata la chiave, aprimmo il Tetto delle meraviglie in un clima da tregenda, in un’atmosfera da Giudizio Universale che ci costrinse a lungo, a ripararsi sotto il nostro tetto appena chiodato. Meraviglie fu mutuato da una nota via del Muzzerone, oggi non più praticabile a causa di un crollo di grandi proporzioni.
Ma la linea più bella (più bella per me, ovvio) ancora non c’era. Presi dalla frenesia di chiodare, ormai senza freni, e dopo aver aperto una via all’Argentario, a destra dello spigolo delle Canne d’Organo, richiodammo, dopo questo breve intervallo, Neasmi tarroccandola un po’ e trovandole una nuova uscita, più impegnativa. Per i curiosi dirò che la via originale aperta da Cantali significa Nucleo Esercito Accademia di Sanità Militare Interforze, NEASMI appunto. Poi … in un afoso giorno di primavera mi avventurai su Piri Piri, via frequentata pochissimo, forse a causa del temuto traverso prima dell’uscita sopra i tetti centrali. Fu da quel punto di osservazione che realizzai come nessuna via passasse a sinistra dei grandi tetti. L’ispirazione impiegò poco a manifestarsi concretamente. Con Luciano aprimmo Tanta voglia di lei, via impegnativa ed ancora oggi, a quanto mi dicono, per questo la cito, unica via non ancora “liberata”. Ma non era ancora finita. Quelle realizzate erano tutte vie aperte dall’alto, tanto da volermi cimentare, scimmiottando i “padri nobili”, con l’apertura dal basso. In una calda mattina di fine autunno, aprii Accendi beppe. Beppe è, al secolo, Giuseppe Cortesi. “Beppeeeeeeeee, accendi il compressore perdio ………” vociavo. Nacque così quest’ultima via. Anzi .. penultima visto che circa un anno dopo vide la luce Beatrix, un clone di Giulia, poco più.
Ad essere sinceri c’era anche un altro progetto. Progetto appunto … perché mai finito, ma che desidero ugualmente ricordare soprattutto per tornare con la mente ad un amico che purtroppo non c’è più e che ha molto frequentato Maiano. Se levate gli occhi verso il bordo della parete, in alto, più o meno in corrispondenza della Placca Bianca, vedrete una catena isolata, inutile. Questa catena doveva essere il punto di sosta di una via mai ultimata che avrebbe dovuto chiamarsi 27.7.97. Avrebbe voluto essere un omaggio a Nicola Galeazzo, Istruttore di alpinismo della Scuola Vero Masoni del CAI Sesto, con il quale ho avuto il piacere di arrampicare, morto il 27 luglio 1997 sullo Sperone Frendo, all’Aiuguille di Midi nel Gruppo del Bianco. Lo seppi dalla radio mentre tornavo a casa. Nicola era una persona splendida, era innanzitutto un amico, un ottimo alpinista, una persona che aveva dedicato molto se stesso per portare in montagna gruppi di handicappati. Bisognerebbe fare di più, a cominciare da me, per ricordarlo.
In questo periodo di cui ho parlato, Maiano non era solo vie, traversi, esplorazione. Maiano era anche luogo di incontro, salotto, luogo di grandi feste; non solo l’abituale panettone di Natale ed il brindisi di capodanno, come tradizione vuole, ma anche grandi grigliate, di solito in luglio, alle quali partecipavano, talvolta, 100/120 persone, tutte orbitanti nell’ambiente dell’arrampicata fiorentina.
Si partiva presto, il pomeriggio. Qualcuno prendeva un giorno di permesso per aiutare nell’organizzazione: taglio dell’erba, approvvigionamento di ciccia, rosticciana, salsicce e, di solito, tanto vino. Si smontava la “porta” di ferro della palestra per utilizzarla come grande griglia sopra massi, messi in circolo, sotto Lavorare stanca. Paolo di Scandicci, detto Decò, che lavorava alle Ferrovie, procurò traversine di legno, quelle per intendersi dei binari, che servirono per fare panchine. Piero Staderini, ancora oggi rimpianto, procurava la carne dal suo macellaio di fiducia. Pierdomenico, che lavorava all’Enel, e Aldino Pentericci si incaricavano, di solito, di mettere le luci. L’effetto, al calar del sole, era alquanto orientale ma, devo dire, estremamente pratico. Tante lampadine collegate da un unico cavo dalla neri alle mura e alimentate dallo stesso generatore che utilizzavamo anche per “chiodare”. Era un ambiente arruffato, forse, ma appassionato.
Verso le sei del pomeriggio la carovana degli ospiti cominciava a muoversi. Fra costoro, sempre, Andrea Bafile, Giancarlo Dolfi, altri. Il bello, tuttavia, veniva dopo. Probabilmente, io credo, per effetto del vino, tutto prendeva una piega di assoluto benessere comune. Organizzammo anche una gara di arrampicata, certo non era il Rockmaster di Arco, ma ci divertimmo. Mettemmo una campanella alla sosta della Neri, da utilizzare, stile “Lascia e raddoppia”, per interrompere il cronometro. Campanella gentilmente prestata, fra mille raccomandazioni, dall’amico Roberto, l’inventore del “nodo Marotta” per intenderci, oggi affermato e capace titolare della Libreria Stella Alpina. E poi nel mezzo … anche un po’ di follia. Ricordo serie di “ripetute” su Miriam, sulle Meraviglie, con scarpe da ginnastica e pila frontale, ricordo un mezzo spogliarello sul “love stone” (chi vuole può cercarlo, è un grande masso sul quale vi è scolpito, appunto, “love stone”), uno spogliarello talmente improvvisato e così velocemente interrotto che ancora oggi grida vendetta (ovviamente si dice il peccato e non il peccatore). Ricordo grandi battaglie a suon di gavettoni, Ricordo, soprattutto, e con nostalgia, le poesie, la chitarra e gli stornelli di Andrea. Poi, quando a notte fonda la maggior parte dei presenti faceva ritorno alle proprie abitazioni, qualcuno di noi, diciamo una quindicina ai quali sarebbe stato sufficiente un cerino davanti alla bocca per dare fuoco a tutto il prato di Maiano, rimaneva a tirare mattina salvo verso le tre, le quattro, scantonare veloci scortati dagli abitanti del luogo armati di bastoni.
Di storie da raccontare ve ne sarebbero ancora molte, per ora chiudo qui.
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