“Dalla civiltà del cotto a quella della terra cruda” di Valerio Sestini

Gennaio 2009

ARCHITETTURA E AMBIENTE IN HIMALAYA

Un viaggio dalla valle di Kathmandu alle alte valli himalayane tra culture e ambienti diversi sulle orme del Tucci

(tutte le immagini sono di V. Sestini)

Il complesso del Palazzo Reale a Gorkha

Meta di questo lungo viaggio da Kathmandu è un noto e famoso luogo ai confini col Mustang ed il Tibet ritenuto sacro sia dalle popolazioni di fede induista che di cultura tibetana. Un luogo santo in cui due religioni convivono ed ognuna ha costruito architetture nelle forme, nei materiali e nelle tecniche costruttive secondo le proprie tradizioni. Questo dimostra che, a parità di risorse disponibili in rapporto all’ambiente, nell’uso dei materiali interviene una propria cultura: l’induismo utilizza il laterizio o la pietra, il buddhismo tibetano la terra cruda.

Su di una collina isolata sulle colline pre-himalayane ad occidente di Kathmandu sopra l’abitato di Gorkha, da dove si domina l’imponente scenario himalayano, si trova un antico palazzo: Upallo Durbar. Da qui, nel 1768, il principe guerriero gurkha Prithivi Narayan Sash si mosse per conquistare la valle di Kathmandu, iniziando l’unificazione del Nepal. Questo regno venne fondato nel 1559 da Drabya Shah, quando un gruppo di Rajput emigrò dall’India per sfuggire all’invasione musulmana. Il palazzo fortificato si caratterizza per uno stile, analogo a quello presente nella valle di Kathmandu, che impiega legno e laterizio: infatti elaborate finestre lignee si inseriscono nei paramenti murari rossi di cotto, mentre le coperture inclinate, sporgenti rispetto ai muri, sono sostenute da grandi puntoni intagliati. Adiacente all’abitato di Gorkha un secondo palazzo (Tallo Palace) costruito con lo stesso stile del precedente ha portato anch’esso in questi luoghi lo “stile newar” (1) ovvero l’uso preponderante del cotto insieme al legno, caratteristico proprio della valle di Kathmandu.
Gorkha è una “città santa: santa per i Gurkha e per una doppia ragione: perché Prithivi Narayan, che assicurò alla propria stirpe il dominio del Nepal ed eliminò o rese vassalli i molti re che si dividevano il domino di queste contrade, nacque proprio a Gorkha……sacra poiché in una grotta sulla cima del monte visse e meditò Goraksa, l’asceta e taumaturgo sotto la cui protezione i Gurkha si posero prendendone il nome”  (2).
Insediamento di Tukche Valle della Gandaki - Nepal Occidentale

Pokhara, un centro più ad ovest di Gorkha, un tempo era un piccolo paese in un’ampia vallata coltivata e caratteristica per il grande lago, il Pewa Tal, nelle cui acque si rispecchiano  varie vette himalayane innevate tra cui l’Annapurna, il Machhapuchhare e il Lamjung Himal,  una tra le più note e splendide visioni dell’Himalaya. Oggi è divenuto un importante centro turistico sviluppatosi in gran parte sul lago.

Da Pokhara inizia un percorso caratteristico per la varietà di paesaggi che si susseguono in uno spazio temporale esiguo: dalle valli con vegetazione sub tropicale ai boschi e prati alpini fino alle alte vette innevate e poi le montagne desertiche che preannunciano l’ambiente tibetano.
Attraverso vari villaggi, caratteristici per le case a forma tonda o ovoidale, con tetti coperti in paglia  e caratteristici loggiati, posti sulle colline prehimalayane, interamente modellate dai terrazzamenti coltivati a riso, si giunge al passo di Khare. Successivamente, procedendo verso nord, si attraversano passi sempre più alti con  prati o foreste coperte da  rododendri arborei, felci e liane, per poi scendere nella stretta gola della Gandaki.
Palazzo reale di Dzong (Chohang) Valle di Muktinath - Nepal Occidentale

E’ questo uno dei fiumi principali del Nepal,  divenuto nel tempo una naturale via di comunicazione tra il Tibet, il Nepal e l’India, favorendo nei secoli continui scambi culturali, religiosi e commerciali fra questi  paesi. Infatti il Tucci nel viaggio nella Gandaki, come descritto nel suo libro Fra giungle e pagode, intendeva trovare proprio in questa valle l’anello di congiunzione tra la cultura nepalese, induista e proveniente dal sud, e la cultura tibetana, discesa dal nord.

Risalendo il corso del fiume il paesaggio muta lentamente. Nel primo tratto la valle è molto stretta con pendici ripide, inospitali, dove le acque del fiume scorrono tumultuosamente, soprattutto durante il monsone, provocando spesso ampie frane; poi con gradualità i fianchi della valle divengono meno ripidi ed il paesaggio assume caratteristiche di tipo alpino, sottolineate dalla presenza boschi di conifere e varie specie legnose.
Oltrepassata la grande catena himalayana tra le cime del Dhaulaghiri (m 8172) e l’Annapurna 8078), fra gli abitati di Lete e Larjung, dove le piogge monsoniche non vi arrivano per il riparo dovuto dalle alte vette, l’ambiente diviene sempre più arido, scarsa è la vegetazione;  anche la morfologia della  valle muta divenendo sempre più ampia e le acque del fiume scorrono nel fondovalle piatto.
La latitudine, l’altezza, la morfologia del terreno ed il clima, fattori determinanti nel caratterizzare l’ambiente naturale, hanno influenzato, imprimendo caratteristiche differenti, lo sviluppo e le forme degli insediamenti umani. Ma non meno determinante è stata l’influenza delle due diverse culture, la nepalese e la tibetana. Ciò è facilmente riconoscibile dalla forma degli insediamenti, dall’architettura delle case le cui forme, colori, i materiali e soprattutto gli spazi ed il loro uso differiscono in rapporto alla influenza delle due culture presenti nella valle.
Insediamento di Marpha (Valle del Gandaki - Nepal Occidentale)

Il mutamento sia ambientale che culturale e antropologico si avverte già presso il villaggio di Ghasa: qui è ben evidente il punto d’incontro tra le due civiltà. Convivono edifici dalle forme nepalesi e tibetane: i tetti delle case nepalesi sono a capanna, ricoperte con paglia o lastre di pietra, con loggiati aperti verso la strada, al loro interno i pavimenti sono ancora in terra battuta, costantemente lisciata. Quelle di origine tibetana hanno invece tetti piani, gli spazi interni sono quelli caratteristici della cultura scesa dal nord e le pavimentazioni sono in legno. Il villaggio è ancora sviluppato lungo la strada. Questi mutamenti nelle case divengono sempre più evidenti nei successivi abitati tra Lete,  Larjung e Tukche dove le abitazioni tendono a raggrupparsi in isolati compatti, e ben evidenti sono i segni del lamaismo con muri mani, chorten, porte simboliche e bandiere delle preghiere  (3).

“Il villaggio di Larjung ci viene incontro con la festa delle case bianche; sotto il tetto piatto corrono bande di color rosso; sventolano sulla cima dei pali conficcati per terra banderuole di stoffa bianca con impresse formule di preghiere; come nel Tibet, lungo la strada sfilano muriccioli sopra ai quali sono adagiate lastre di pietra con iscrizioni e figure di Buddha….. Siamo davvero ad un confine: confine etnico, religioso, linguistico. Qui arriva l’ultima spinta del Lamaismo rifluito dal nord e ancora resiste alla penetrazione indù che lenta, accomodante, ma implacabile si è diffusa: come succede nelle zone dove due culture si toccano le due religioni stingono facilmente l’una nell’altra….”  (4).
Con i villaggi di Ghasa e Tukche si entra nel distretto abitato da Thakhali (5), un gruppo di origine tibeto-birmana.  Tukche è stato il più importante insediamento quando gli scambi commerciali tra Nepal e Tibet erano fiorenti. I nepalesi scambiavano diverse qualità di cereali, legumi e prodotti provenienti dall’India con sale, lana e pelli.
Insediamento di Tukche

A Tukche le case sono ampie e confortevoli con stalle e magazzini, grandi ambienti per la vita familiare (6) e annessi vari, in ognuna di esse vi è un cortile interno per ripararsi dai gelidi venti del nord; le abitazioni sono raggruppate in isolati, l’ambiente circostante è completamente arido ad eccezione delle oasi verdeggianti adiacenti l’insediamento con orti e campi, un canale proveniente dal fiume divide il terreno coltivato dalla struttura del villaggio.

Tukche è inoltre nota nella storia delle esplorazioni alpinistiche: qui soggiornò a lungo la spedizione francese (1950) guidata da Herzog nel tentativo di salire prima sul Dhaulaghiri e poi sull’Annapurna, impresa quest’ultima coronata da successo. Herzog stesso ricorda le varie vicende della spedizione francese nel libro Uomini sull’Annapurna (7).
“A Marpha (abitato successivo a Tukche) le ultime tracce del Nepal scompaiono, siamo in pieno Tibet. Nel centro del villaggio, dominandolo, rosseggiano due monasteri (8). Da tempo uno di questi è parzialmente in rovina, l’altro ha subito in tempi assai recenti varie trasformazioni.
L’insediamento si trova sulle pendici della valle sulla destra del fiume a ridosso di una parete rocciosa dove è un piccolo romitorio ben individuabile dal colore bianco e rosso.
Da Marpha alla confluenza tra la Gandaki e la Muktinath Khola, vi sono altri villaggi (Syang, Thini, Jhomson) di cui l’ultimo è Kagbeni dove un tempo  “comandava un re (rgyal po) dal turrito castello che ora si sbriciola in rovine: la dinastia è spenta, ma secondo alcuni notabili del paese un ramo si sarebbe trasferito a Jumla. Al margine estremo del villaggio, su una breve sporgenza del terreno, sorge il gompà “(9). Questo è un semplice tempio a più piani dal colore rosso greve dall’aspetto massiccio simile ad una piccola fortezza, isolato rispetto all’abitato.
Muktinath - tempio di Vishnu

Tutti questi villaggi sono popolati da un altro gruppo etnico simile a quello dei Thakhali: i Baragaunle, i quali hanno maggiori caratteristiche tibetane. Dall’abitato di Thini si può osservare un ulteriore mutamento, non nell’ambiente e nella struttura del villaggi, ma nel modo di costruire: inizia la civiltà della terra cruda. Due sono le tecniche impiegate: l’adobe, ovvero “mattoni cotti al sole” (10), o il pisè, getto di terra frammisto a ciottoli di varia grandezza costipati dentro casseforme rudimentali in legno. Quest’ultima tecnica si può osservare nei ruderi di vari antichi insediamenti, in particolare in quelli posti su un modesto colle isolato presso il villaggio di Thini. Questi mostrano ancora la forma dell’abitato ma al loro interno non sono rimasti  né segni caratteristici, né iscrizioni, né pitture, nulla che documenti la civiltà passata. Qui l’uomo ha lasciato una testimonianza del suo potere e della sua debolezza con le tracce delle mura difensive e i resti di un palazzo. Ma il tempo lentamente ha cancellato e sta ulteriormente cancellando queste antiche vestigia.

Altre antiche tracce di insediamenti si trovano sulle pendici adiacenti al fondovalle nei pressi degli attuali insediamenti, i quali erano stati  costruiti più in alto per una maggiore difesa. Anche a Kagbeni l’uso della terra cruda è ben evidente, in particolare nei muraglioni in rovina dell’antico palazzo, come già osservato dal Tucci, e nel tempio, ambedue costruiti in pisè.
Da Kagbeni, risalendo la Gandaki, si entra nel mitico regno del Mustang dove case, templi, palazzi, chorten ed ogni tipo di costruzione sono in terra cruda e “lo dimostrano spesso le rovine, le quali si confondono con le rocce; hanno lo stesso colore ed il disegno” (11). La capitale di questo antico regno era Lo Mantang, descritta per la prima volta da un esploratore al servizio del Survey of India che riuscì, nella seconda metà dell’Ottocento, a penetrare in Nepal e raggiungere questa città effetuandone una descrizione: “Mustang è difesa da una muraglia bianca costruita con terra e piccole pietre, alta 4,50 per 2 metri di spessore; la muraglia forma un quadrato intorno alla città e ciascuno dei suoi lati misura 400 metri e vi si accede da una porta ad oriente. Al centro sorge il palazzo reale del ragià, un edificio di quattro piani alto circa 12 metri. E’ questa l’unica costruzione visibile dall’esterno delle mura” (12).
A Kagbeni si ha la confluenza tra la Gandaki con la Muktinath Khola, fiume che proviene dal luogo sacro di Muktinath, a circa 4000 metri, ritenuto tra i più santi dell’Himalaya. Questo è meta di pellegrinaggi in alcuni periodi dell’anno e si trova inserito in un’ampia valle ben esposta al sole, punto di arrivo del lungo viaggio.
Nella valle vari sono i villaggi con case in terra cruda al centro dei quali emergono ancora muraglioni e torri di antichi castelli, sedi di feudatari quando una volta l’economia dell’intera regione era più florida.  Costruzioni, abbandonate da tempo, sono  ancora visibili nel paesaggio, di queste rimangono ancora esili tracce che, erose dall’intemperie, restituiscono alla natura quanto da questa l’uomo aveva sottratto. Anche i castelli abbandonati e ridotti a scheletri informi mostrano la loro struttura in pisè, mentre le case dei villaggi ancora abitate sono invece costruite in adobe.  L’insediamento meglio conservato è Zarkot (Dzong), primo villaggio nella valle non molto distante da Muktinath. Questo è posto su di una cresta dove sono ben mantenuti  un monastero, al cui interno vi è un tempio con molte opere scultoree in legno, e una porta simbolica dal caratteristico modello tibetano. L’antico castello è oramai in parziale rovina.
Vari sono i templi di ambedue le religioni all’interno di un vasto recinto sacro, in parte in stato di degrado ed altri restaurati in tempi recenti. Questi non sono molto antichi perché un tempo il culto avveniva all’aperto. La sacralità del luogo è dovuta a delle sorgenti di acqua  e ad alcune fiammelle di gas che escono da fessure nel terreno. I templi buddhisti sono modesti e di scarso valore artistico, tra questi il “tempio delle lampade” (Marmelacàn) la cui divinità tutelare è Padmasambhava, e quello “del sacro fuoco” (Mevar), mentre il tempio denominato Sarwa Gompa, “il tempio nuovo” (Gompasarmà), ha un certo interesse per i vari spazi interni dove si trovano le immagini di Avalokiteswara e Sakyamuni. Questi templi sono tutti costruiti in terra cruda.
I due templi induisti all’interno del recinto mostrano forme analoghe a quelli della valle di Kathmandu, la cella quadrata è ristretta ed hanno più coperture aggettanti. Le murature di questi sono in pietra intonacata. Uno di questi templi, dedicato a Vishnu / Lokeswar è meta di numerosi pellegrini induisti che vengono a purificarsi in una vasca d’acqua o alle 108 cannelle dalla forma di testa di toro, ambedue adiacenti al tempio. Ma secondo il Tucci, nei pressi del recinto sacro, esiste ancora una traccia dell’antica religione bonpò, religione preesistente al lamaismo nella valle di Muktinath (11).
Qui finisce il viaggio sulle orme del Tucci descritto in Giungle e pagode, libro che non è un semplice diario come asserisce l’autore stesso, ma una importante testimonianza su civiltà con i loro costumi ed usanze e su luoghi con opere architettoniche in gran parte modificate o addirittura scomparse.
(1) Vari autori hanno definito lo stile dell’architettura della valle “stile newar” o “stile nepalese” per il costante uso di pietra e legno, molto diverso da quello di altre culture limitrofe.
(2) G. TUCCI, Fra giungle e pagode, Libreria dello Stato, Roma, 1953,  pag. 42. La spedizione del Tucci nella Gandaki risale al 1952.
(3)  Brevi osservazioni sul lamaismo  (buddhismo tibetano) e sulla religione bonpò, nonché sui simboli di buon augurio e la formula sacra “on mani padme hum”, impressa su bandiere o scolpita su lastre di pietra, sono contenute nel libro di Valerio Sestini, HIMALAYA, architettura e ambiente nelle valli del Nepal (editrice Alinea, Firenze, 2006) a cura di Caterina Bonapace.
(4) G. TUCCI, op. cit., pag. 68.
(5) Cfr. V. SESTINI, E: SOMIGLI, Contributo alla conoscenza e alla tutela dell’Architettura Thakhali, in “Bollettino n. 83, Annuario del Comitato Scientifico Centrale” del CAI, Milano, 1985. (6) Nella casa thakhali caratteristico è il vano comune ampio e ben pavimentato in legno dove due sono i punti più importanti: il pilastro al centro del vano stesso ed il focolare, quest’ultimo il sancta sanctorum della casa come lo definisce il Tucci (op. cit. pag. 70).
(7) M. HERZOG, Uomini sull’Annapurna, i Garzanti, Milano, 1970.
(8) G. TUCCI, op. cit., pag. 72.
(9) G. TUCCI, op. cit., pag. 74.
(10) La dizione “mattoni cotti al sole” è spesso citata nella letteratura di  studiosi o viaggiatori eruditi che fin dalla metà dell’Ottocento che hanno visitato il Tibet e le regioni himalayane. Talvolta si parla anche di “ciottoli cementati con terra” o più semplicemente “di mota”.
(11) G.TUCCI, op.cit., pag. 87.
(12) MONTGOMERIE T.G., Extracts from an Explorer’s Narrative of his Jurney from Pitoragarh, in Kumaon, via Jumla to Tadum and back  along the Kali Gandak to British Territory, in “The Journal of the Royal Geographical Society”, J. Murray, Londra, 1875. La traduzione è tratta dal volume Himalaya del Nepal di H.W. Tilman, edito a Milano nel 1953 da Baldini & Castoldi, pag. 225.
(13) “Il tempietto bonpò si chiama Sanglin (bSam glin); è appartato, una modesta cappella in una casa di campagna, fra capre, vacche e bambini.”  G. TUCCI, op. cit., pag. 96.
Nota della redazione
Nella valle della Gandaki e in quella di Muktinath Valerio Sestini, con alcuni suoi collaboratori, ha svolto varie missioni per lo studio e la documentazione delle tradizionali opere architettoniche (1978, 1980, 1981, 1982 ) di cui la prima risale al 1971. A tali epoche pertanto si riferiscono commenti e fotografie.
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