“Della logica, dell’eleganza … alla ricerca di una linea di giudizio” di Roberto Masoni

Gennaio 2009
Torno su un argomento al quale ho fatalmente accennato su uno degli ultimi Bollettini e che ha suscitato un’attenzione che, io per primo, non mi aspettavo. Ne riepilogo rapidamente i termini: l’oggetto del mio contributo era quello di celebrare, a distanza di 70 anni, la prima salita dello Sperone Walker. Nel contesto di quell’intervento ho espresso un’opinione, che evidentemente non è passata inosservata, riguardo ad alcune affermazioni sostenute da A. Gogna nel suo libro “Grandes Jorasses” e rispetto alle quali ho manifestato la mia perplessità in merito alla logicità ed all’eleganza dell’attacco scelto da Cassin.
Inutile sottolineare che non v’era, non v’è, da parte mia, alcun tono polemico; ammiro Gogna come alpinista e come scrittore. Ma poiché l’alpinismo è anche discussione, a prescindere dalle singole capacità, ho pensato, visto l’interesse, che fosse il caso di approfondire l’argomento. La recente pubblicazione di “Dolomiti e calcari di nordest”, scritto da Gogna (bel libro) me ne offre un’ulteriore opportunità anche se, prevedo con più di un briciolo di immaginazione, saranno molti a non reputare l’argomento degno di discussione. E per quanto possa essere considerato inutile, cosa che peraltro mi scuote meno di un tuono improvviso, è pur vero che, rientrando nell’orbita della nostra attività e volendo, perciò, porre un termine di valutazione – per quanto criticato e discutibile come tradizione alpinistica contempla – ritengo se ne possa ragionare iniziando da alcuni parametri che ciascuno di noi, a Voi la scelta, giudicherà più o meno accettabili.
Ripartiamo dunque da quanto ho scritto su Alpinismo Fiorentino: “mancanza di logica e mancanza di eleganza sono, per una via di montagna, due cose completamente diverse […] Spesso l’eleganza di una via è tale anche a dispetto della logica, tutte le vie realizzate, ad esempio, nel periodo della “goccia d’acqua” sono illogiche se vogliamo, ma molte di loro sono estremamente eleganti, così come tutte le vie fatte nel periodo del “nuovo mattino” sono quasi sempre logiche ma molte non sempre eleganti”. Giudizio discutibile. Non v’è dubbio. Provo allora, ad uso e consumo degli indifferenti, a formulare un’ipotesi, scevra da qualunque presunzione. D’altra parte l’essere un mediocre alpinista non mi autorizza a nessuna superbia.
Dirò allora che … una via logica è quella che sfrutta le proprietà naturali della roccia, quelle sequenze di camini, fessure, diedri che, di volta in volta, si pongono di fronte all’alpinista senza che questi, giudicandole di difficoltà superiori alle proprie capacità, vada alla ricerca di un itinerario alternativo per aggirarle. Una via elegante è invece quella che, non necessariamente nell’ambito di questa logica, permette all’alpinista di tracciare un itinerario di largo respiro che contenga una certa espressione creativa.
Detto così, me ne rendo conto perfettamente, non impiegheremmo molto a stilare un elenco di vie eleganti ed uno di vie logiche. Ma … anche di vie eleganti non ritenute logiche o viceversa. Oppure di vie che, nel loro sviluppo, godono di ambedue le virtù o nessuna delle due. C’è di più … valuteremmo infatti vie che, in tale contesto, lascerebbero affiorare un vizio di forma, quello dovuto all’epoca di apertura della via, un vizio quindi di evoluzione tecnica. In sostanza dare un giudizio è meno facile di quanto, pur con tutta la buona volontà possibile, si possa prevedere. A maggior ragione se consideriamo che il livello di difficoltà non può, in ogni caso proposto, mostrarsi vincolante.
Procediamo allora per esempi, generalmente è la cosa migliore, utilizzando come pietra di paragone vie conosciute, più o meno, dalla maggior parte degli alpinisti, beninteso mediocri come il sottoscritto.
Se dico che la “normale” al Campanile Basso è una via logica, molti storceranno il naso.
Se dico che è anche elegante, sfido chiunque, alpinista naturalmente, a darmi ragione.
Eppure, visti i tempi, è entrambe le cose. Certo, con la mentalità di oggi non è pensabile sfruttare tutti i versanti per cogliere l’obiettivo della cima, se avessi citato altre vie (la Fehrmann o la Preuss per dirne due) probabilmente il parere sarebbe diverso. Eppure, secondo me, anche la parete Pooli, per quanto sia solo un settore dell’intera via, è di estrema eleganza. Ruota intorno allo spigolo quando la parete si fa strapiombante, è vero, ma rimane elegante nei fatti, nella concezione, nello spirito delle difficoltà incontrate al momento della sua conquista (cioè il 1899), quindi per niente banali. Pooli, corre l’obbligo ricordarlo, non era certo privo di talento. Aprirà una variante pochi anni dopo, insieme a Trenti, proprio sul Campanile Basso, ancora oggi ritenuta unanimemente il primo V+ delle Alpi intere.
Certo l’alpinismo, quello per così dire pionieristico, non si poneva problemi del tipo che stiamo affrontando. Era un alpinismo di conquista, sfruttava i punti deboli della parete, ed era contemplata, nella quasi totalità dei casi, solo la conquista della cima. L’evoluzione della tecnica e dei materiali diverrà, nel tempo, uno strumento fondamentale dell’eleganza e della logica. Con il superamento di sempre più alti livelli di difficoltà, con lo spostamento delle linee naturali dai camini e dalle fessure all’aperta parete, il discorso è divenuto più complesso. Torniamo a Gogna riportando alcuni esempi, sempre provvidenziali, da lui citati nel libro.
Parlando della Punta Emma e della celebre fessura, sostiene che Piaz desiderava a tutti i costi “una “Torre Piaz”. Ma quando fu in cima cambiò parere: la vetta, anche se abbastanza difficile, non era certo un modello di eleganza. Così vi portò la cameriera del rifugio Vajolet […] e in cima la battezzò con il nome della compagna”. Lasciando perdere l’accenno all’Emma e, aggiungo io, all’ampia testimonianza che Piaz ci dà di lei e delle sue braghe ammesso che ce le avesse, sono d’accordo con Gogna. Certo la fessura non è elegante, non lo sarebbe nemmeno oggi, era tuttavia logica come linea di salita.
Spostandosi di qualche chilometro, alla parete nord ovest del Civetta, lo stesso Gogna sostiene illogica, ad esempio, la Comici-Benedetti. Anche in questo caso sono d’accordo con lui, soprattutto perché offre un termine di confronto utile alla nostra discussione. In sostanza Gogna rafforza il concetto che le vie che hanno un attacco, come nel caso della Comici-Benedetti, molto distante dalla verticale della cima, sono da ritenersi illogiche. Concetto discutibile ma non così peregrino.
Diversa invece l’opinione, per restare sulla medesima parete, sulla linea della Lettembauer-Solleder. Abbiamo detto, poco sopra, lo ricordo per non concedere pause alla discussione, che possiamo considerare “logiche” tutte quelle vie ove l’alpinista, giudicando le difficoltà superiori alle proprie capacità, “vada alla ricerca di un itinerario alternativo per aggirarle”. Va da sé che, in tale contesto, ciò che aggiunge verticalità alla via è da considerarsi ancor più “logico”. Gogna non sembra di questa opinione, giudicando infatti logica, … così com’è, la Lettembaur- Solleder e bocciando la variante Rittler-Leiner (non si sa quanto voluta) che non può pretendere, per quanto raddrizzi in modo sostanziale la via, a fare della linea originale una via illogica: “la via originale è logica e se abbandona per trecento metri la linea di camini non è per sfuggire alla parete, ma per collegare i punti più deboli”. Ecco allora un altro punto di confronto. Il fatto che molte vie “classiche” abbandonino la verticalità per cercare soluzioni nei due sensi dando vita, talvolta, a lunghi traversi, non è elemento indiziato di illogicità.
Smentendo, anche se solo in parte, quanto scritto fin ora, diremo, allora, che non sempre la verticalità è sintomo di logicità. Prova ne è che, parlando a proposito della via aperta da Luigi Micheluzzi al pilastro sud della Marmolada, Gogna in parte si ripete, in parte non stenta a definirla una “mirabile impresa” che raccoglie “le stesse idee di Rudatis sulla dirittura geometrica, e in più ottenendo un itinerario secondo la più ferrea logica antica, sul quale ogni variante pecca di illogicità”. Stesso discorso quindi della variante Rittler-Leiner al Civetta.
Insisto sul concetto di dirittura geometrica, caratteristica che sposa ambedue le ipotesi della nostra discussione, perché elemento del carattere e, naturalmente, del bagaglio tecnico dell’alpinista che fidandosi “più nel caso e nella propria forza, nutrendo un’istintiva confidenza con le rocce, favorisce molto la geometria naturale di una via. Vinatzer dimostrò che l’istinto è il miglior architetto”. Abbiamo quindi introdotto nella nostra discussione un ulteriore elemento. Questo elemento è l’istinto dell’alpinista. Istinto come sintomo di logicità, istinto come prerogativa di validità estetica di una via. Istinto … sinonimo di carattere, impulso, indole, temperamento, non a caso l’esempio di Vinatzer. Quando ho scritto che tutte le vie realizzate nel periodo della “goccia d’acqua” sono illogiche intendevo dire, anche se mascherato, che se togliamo l’istinto come prerogativa di questi itinerari e togliamo loro anche la virtù di sfruttare le debolezze della parete, ciò può anche configurarsi come sintomo di illogicità. Abbiamo tuttavia compiuti, grazie a Gogna, notevoli progressi e cioè che la dirittura geometrica, come fattore logico indipendentemente dalla tecnica di progressione utilizzata, è sintomo di logicità salvo, come nel caso della Rittler-Leiner o di altre varianti, non raddrizzi una linea di salita che già sfrutta in modo logico i punti deboli della parete.
Messner, su “Sesto Grado”, avvalora questa tesi parlando a proposito della Hasse-Brandler-Lehne-Low alla Cima Grande definendola una via “logica […] sulla quale tanti uomini arditi e coraggiosi avevano combattuto battaglie che la storia non dimentica”. Nello stesso modo, scrive Gogna a proposito della Cassin alla nord della Ovest, e che certo non è un simbolo di dirittura geometrica, che è la via “più imperfetta ma più logica delle Dolomiti”.
Stando così le cose è difficile dare significato alla nostra discussione, ogni manifesta espressione ne viene svuotata. “Allora avevamo ragione noi quanto dicevamo che questa discussione è inutile …” diranno gli scettici. No, non è così, rimane un elemento fondamentale di cui abbiamo parlato, utile per continuare questo scambio di idee senza gridare allo scandalo: l’istinto.
Istinto come anello fondamentale di quella catena che unisce logicità ed eleganza. Istinto come strumento di coesione e di unione che tende a mostrarsi come strumento di creatività dell’alpinista. Istinto cioè come specchio dello stile, della forma, dell’espressione. Chi ha ripetuto una Cassin, una Soldà sa che sono vie di un certo stile, diverso il paragone, per quanto ugualmente formidabili, con le Castiglioni, le Vinatzer, le Comici. Le difficoltà, indipendentemente dal periodo d’apertura della  via, non contano più così come non contano più le conoscenze tecniche, i materiali, l’approccio. E’ lo stile allora che fa l’eleganza e la logicità di una via? Quello stile inteso anche come sinonimo di audacia anche se, diceva Jim Bridwell: “La linea che divide l’audacia di un alpinista dalla stupidità è sottile come la lama di un rasoio”. Niente di più vero.
E’ naturale chiedersi, concludendo, in quale modo potremo oggi interrogarci su un esauriente protocollo delle vie di montagna. Lo “scalatore” è divenuto, rispetto a quanto illustrato, un “arrampicatore”, la “spaccata sagittale” è, se vogliamo, divenuta, in certe condizioni, una posizione “omolaterale”, la compressione a due mani opposta alla posizione dei piedi, una “sostituzione evoluta”. Questo il motivo per cui oggi difficilmente si tende ad esercitare l’istinto e quindi – dico io – a limitare la creatività, cioè l’eleganza di una via. Ah … il metodo. Oggi tutto è metodo, calcolo, programmazione, allenamento specifico talvolta anche preconfezionato. Quanto di tutto ciò è logico ed elegante nelle proprie espressioni alpinistiche? Convinto di essermi abbondantemente guadagnato il ceppo destinato agli eretici …
lascio a Voi la parola e  … non siate severi.
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