“Il mio CAI, l’esperienza di una nuova socia” di Christiane Büchel

Gennaio 2007

Essere socia del CAI è stato per me, per tanti anni, una meta ambita ma  mai realizzata. Perché tra le mie conoscenze fiorentine non c’era nessuno entusiasta del trekking …E poi non sapevo come avvicinarmi al CAI. Mi sembrava non opportuno – o diciamolo pure –  mi mancava il coraggio, di telefonare semplicemente in sede per dire: “Voglio diventare socia del CAI” – Chissà che avrebbero avuto da obiettare, pensavo.

Poi nacque la mia bambina Elena e al trekking non c’era più da pensarci, nè quando era piccolissima, ne quando cresceva. Portarsela in giro sulle spalle non era conciliabile al tipo di camminate in montagna che sognavo. Ma di quanto avrei dovuto rimandare questo progetto? Infine, una mattina di febbraio, quelle mattine brumose, fredde, quando si sogna l’estate o almeno la primavera, scoprii sulla scrivania della custode scolastica un depliant, con la foto di una montagna, anche questa brumosa, e l’invito a partecipare ad un “Corso di Escursionismo”. Mi faceva sorridere: un corso trekking, come  se non sapessimo mettere un piede davanti all’altro. Cosa mai ci avrebbero potuto insegnare?

In un passato lontano ero andata in montagna, in Austria, nell’ Alto Adige –  così, con dei bei scarponi di cuoio, lo zaino, una cartina Kompass e via. Poi avevo addirittura portato gruppi di bambini in vacanza sui Dolomiti, sempre sostenendo che i bambini hanno più risorse degli adulti per affrontare la fatica della montagna. Si, erano passati più di vent’anni da quell’epoca, ma cosa mai era cambiato, che ora in un apposito corso si dovesse imparare il trekking? O, come si dice nella mia lingua madre, il Wandern, termine apparentato al “viandare”, un’arte di sopravvivenza che nessuna scuola mai avrebbe insegnato, se non la vita stessa. Ma forse, riflettevo, era un corso per quelli iperattrezzati che affrontavano vette, ghiacciai e vie ferrate, quelli che cercavano il brivido, la sfida esistenziale. No, certamente questo non faceva per me. Poi però l’occhio cadde su chi lo organizzava,  il CAI di Firenze appunto. O meglio, il Gruppo Escursionistico del CAI di Firenze, che si rivolgeva “a tutti coloro che intendono iniziare a frequentare la montagna”. D’un tratto vidi davanti a me l’occasione unica, attesa da tanto, di avvicinarmi a questa associazione in modo del tutto naturale, senza grandi complicazioni, se non quella di iscrivermi al corso.

La prima sera del corso vidi per la prima volta iscritti e accompagnatori, di cui alcuni nell’andare degli anni sarebbero diventati amici e veri punti di riferimento. Eravamo in tanti apprendisti, forse una trentina, e ogni lunedì sera ci incontravamo in una bella saletta storica del nostro quartiere, per imparare cose davvero illuminanti. Certo non come mettere un piede davanti all’altro, ma nemmeno cose da iperspecializzati. Abbiamo imparato ciò che già all’epoca remota delle mie vacanze nella zona alpina mi sarebbe piaciuto sapere. La meteorologia (Alfio Ciabatti), la cartografia (Marco Orsenigo), la geologia (Marco Bastogi), ma anche cenni sulla nostra fisiologia, sull’energia corporea in gioco quando siamo in montagna (Alessandro Bacci), e poi, fondamentale per me dopo la pausa quasi ventennale, l‘abbigliamento, i nuovi materiali, i loro pregi e difetti (Marco Isidori). Insomma, un’esperienza davvero stimolante e ricca di sostanza. Con l’avanzare del corso però guardavo preoccupata in avanti alle prove pratiche, le “uscite propedeutiche”: liberarmi la sera non era stato un problema, ma nelle giornate delle escursioni avrei dovuto portare la mia bambina – di nemmeno cinque anni. Cosa avrebbero detto i responsabili? Quel dubbio mi tormentò. Invece tutto si risolse nel modo migliore e alla prima camminata io – come tutti gli altri “apprendisti”, carica del sapere acquisito durante la teoria e piena di energie per affrontare la prima piccola camminata sulle colline Fiesolane – potevo partecipare insieme alla bambina. I primi sguardi preoccupati degli accompagnatori cambiavano presto in sorrisi incoraggianti quando era chiaro che la bambina camminava volentieri e senza problemi.

Ben sapendo che il CAI di solito si rivolge ad un altro tipo di camminatori, vidi d’un tratto uno spiraglio per unire la mia vecchia passione per le camminate in montagna con la necessità di stare con la bambina. La seconda uscita, questa volta sul Pratomagno con pioggia e neve, fu la prova al fuoco, e da allora ci sentimmo parte della grande famiglia del CAI. Elena venne accolta con grande cordialità dai membri del gruppo escursionistico “Emilio Orsini”. Iniziarono a chiamarla stambecchino e mascotte del gruppo. Per lei rimane sempre una esperienza di gioia e divertimento, di sfida, certamente, e di quella grande solidarietà che si avverte comunque camminando insieme. Di coloro che parteciparono al corso, invece, solo pochi hanno continuato a frequentare il CAI. Io per conto mio ero felice di aver trovato accoglienza e notavo subito con sollievo e soddisfazione la grande serietà con la quale gli accompagnatori del CAI affrontavano ogni escursione. Mi sentivo sin dall’inizio rassicurata a maggior ragione perché il mio intento di coinvolgere la bambina richiedeva la mia massima attenzione specie sotto l’aspetto della sicurezza. Nelle persone del CAI ritrovai il rispetto per la montagna, la coscienza sia della sua bellezza sia dei rischi oggettivi che si affronta ogni volta che si mette piede in montagna. Ricordi tristi di un caro amico perso più di venticinque anni fa sui monti austriaci non avevano mai potuto estraniarmi dall’amore per la montagna, ma mi avevano convinto profondamente che la sicurezza è la premessa principale per poter godere serenamente le bellezze che ci offre la natura. Questo spirito percepisco in ogni escursione del CAI e ne sono molto grata.

Da ormai due anni ci presentiamo sempre più spesso alle escursioni, preferibilmente quelle della stagione invernale, un po’ più corte e di meno dislivello, adatte appunto alle nostre esigenze e capacità. Abbiamo visto molti bei posti della Toscana: i monti, ma anche le piane (Padule di Fucecchio) e il mare (a San Fruttuoso e poi l’Elba). Al momento siamo in attesa di una nuova stagione invernale, sui sentieri della catena appenninica della Toscana e saremo lieti di rivedere tutti i numerosi amici delle camminate del CAI.

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