“Un lievito di nome Club Alpino Italiano” di Sergio Rinaldi

Gennaio 2008

 

Fedele al mio 60° anno di appartenenza al Club Alpino Italiano mi permetto, da osservatore esterno, di fare alcune riflessioni sulla abilità organizzativa del C.A.I. Firenze. Questo sodalizio, tra i più longevi d’Italia, ha accumulato negli anni una dose di risorse, capacità e cultura invidiabili su tutte le attività che vi si svolgono sia all’interno che all’esterno di esso. Ha un clan di eletti e provetti istruttori di indubbia capacità in tutti i settori, che con il loro ricambio gestionale assicurano una validissima e variata fonte di espressione e di iniziative, seguite e coadiuvate dall’attuale reggente Aldo Terreni onnipresente  ed aperto a tutte le iniziative inerenti la montagna, coltivando con sensibilità le adesioni e gli interessi sia dei più piccoli che dei più anziani. Non manca all’interno la fede nelle più giovani leve che si distinguono per dimostrata meritocrazia e per attaccamento, conquistando gradatamente posizioni di rincalzo forse un po’ troppo premurose.

 

Sergio Rinaldi - autoritratto ad olio

A questo proposito penso che le nuove generazioni debbano coscientemente riconoscere i propri limiti e non spingersi oltre ma imparare a superarli poco alla volta, seppur spinti dall’ entusiasmo e da una  specie di assurda sfida contro l’ignoto. Con la maturità si otterrà, come premio di fedeltà, la conoscenza personale delle Montagne e della loro storia, allargando le proprie esperienze e considerando che non basta la dimestichezza con i nodi di cordata ( di aiuto o di sicurezza) o la propria abilità tecnica per evitare alla cordata alpinistica brutte sorprese come il calo di prudenza e di attenzione specie nel ritorno a valle. Ricordarsi che l’esperienza si acquista nel tempo col passare di almeno 15/20 anni di scalate o di escursioni e l’aumento di un curriculum che per ciascuno sarà motivo di orgoglio ma mi auguro anche di riservatezza.

L’intuito è quella caratteristica che si impara da soli e non può essere insegnata nelle Scuole del C.A.I. e serve per affrontare ed eventualmente evitare i pericoli legati alla montagna, seppure la lotta per vincere le difficoltà sia più importante ed adrenalinica rispetto allo scalare e conquistare la cima di una vetta. Ai miei tempi era vero il contrario, ma i tempi ora sono cambiati e diverso è il rapporto tra  uomo e la montagna, però per un anziano il compenso alle proprie fatiche per raggiungere una cima ha sempre un valore molto stimolante ed importante.

Mi sovvengono le parole di Mummery che dovrebbero far riflettere :
Alcuni alpinisti molto noti, l’opinione dei quali ha naturalmente molta importanza, hanno di recente espressa la convinzione che i pericoli dell’alpinismo hanno cessato di esistere. L’abilità, la tecnica e i libri di testo ( e aggiungo … le Scuole ) li hanno sbaragliati e relegati fra ubbie ormai sparite

Queste opinioni applicabili anche oggi fanno meditare e pensare erroneamente che ormai i rischi in montagna non esistono più, come se tutto si riducesse ad una tranquilla passeggiata o ad un ascensore meccanico. Sì oggi le montagne sono più conosciute e spesso protette da validi chiodi nei punti più difficili, ma i pericoli sono sempre in agguato e nessuna Scuola potrà mai sconfiggerli del tutto perché oggettivi ed imprevedibili

Scusatemi se, data la mia non più tenera età che vola verso gli ottanta, oso, per quel poco tempo che ancora mi rimane, pensare che le parole scritte siano ancora utili a qualcuno per parlare di alpinismo e di prevenzione rischi. Un “progetto di ascensione o di escursione” dovrebbe essere valutato e preparato bene prima di farsi coinvolgere, come in un vortice, in qualche problema non previsto o assai più grande delle nostre capacità del momento. Ricordiamoci che la montagna non sempre è attrazione ed esaltazione o fascino ma a volte essa può presentarci i suoi lati più oscuri con un senso di nausea e di repulsione come la perdita di un caro amico. Allora lo shock che ne deriva è davvero doloroso come un pugno nello stomaco, tanto da chiederci se ne valeva veramente la pena perdere così il bene più grande ed inestimabile che abbiamo e se è giusto stimolare gli allievi o gli amici verso questa grande passione a volte inspiegabile ed emozionante. Passa del tempo, poi si riprende a salire come se fosse per noi una necessità fisiologica senza fine, pensando che l’alpinismo o l’escursionismo spinto abbiano in se un valore aggiunto, intrinseco, educativo ed esaltante anche con grandi sacrifici e a caro prezzo. Per questo nelle varie Scuole Fiorentine di Alpinismo, Scialpinismo, Speleologia, Escursionismo, etc., che dal punto di vista tecnico e pratico non hanno nulla da invidiare alle migliori Scuole Italiane e straniere, mi auguro che sia stata inculcata in tutti gli allievi anche una massiccia dose di ipersensibilità e rispetto verso quello che di bello ci presenta la natura nei vari aspetti, tutelando l’ambiente col suo mutare delle stagioni dove ognuno potrà ritrovare la poesia e i motivi che più gli appartengono.

Con tuttociò, nonostante che l’alpinista sia stato definito:  … il più nobile prodotto di Dio spero che guide alpine, istruttori, alpinisti, scialpinisti, speleologi, escursionisti, accompagnatori giovanili, sciatori possano cavarsela sempre da soli e non abbiano mai bisogno dell’aiuto del Soccorso Alpino o del telefonino, come ebbe a dire il buon Barbolini, con quella dote di concentrazione e di responsabilità che li sa distinguere dai più semplici e tranquilli turisti.
Voglio aggiungere una personale e semplice critica psicologica rivolta a chi non usa solo un doveroso rispetto verso il vertice organizzativo dell’organigramma del C.A.I., ma ripone soprattutto una specie di venerazione o di esaltazione malcelata verso questa o quella persona nota. Questo atteggiamento di riservatezza, per fortuna non reciproco, tende ad accentuare il distacco all’interno dell’Associazione tra elementi di indubbia meritocrazia , ponendoli su un piedistallo inarrivabile come la statua della Libertà, trascurando il loro lato umano e fugace e quindi non eterno, e la massa dei soci meno dotati che svolgono una attività individuale anonima portando ugualmente in alto il buon nome e i valori del C.A.I. di Firenze in campo nazionale ma anche fuori d’ Europa e nel mondo intero. Per questo sarebbe necessario abbattere o socchiudere le porte che separano le varie attività o “parrocchiette” perché alcune iniziative hanno la possibilità di essere ravvicinate come per esempio l’uso delle ciaspole nell’escursionismo sulla neve, gli sci da fondo, lo scialpinismo etc. . I programmi sezionali non sempre vengono reclamizzati a dovere e chi occupa qualche poltrona spesso non ha il tempo di occuparsene per motivi personali e quindi non solo si sente la necessità di istruzioni per l’uso, ma un maggiore senso del WELFARE per i valori umani e le necessità collettive di aggregazione e di informazione da seguire attentamente sull’eccellente Rivista Sezionale di Alpinismo Fiorentino.

Gli istruttori aumentano forse l’interesse e la fiducia dei soci verso le attività e i programmi del C.A.I. Firenze ma mi auguro che possa crescere di pari passo quel lievito indispensabile a cementare ed espandere il sentimento di partecipazione basato sulla spontaneità e solidarietà di tutti e di tutte le tendenze, specie dei giovani, necessario per garantire al C.A.I. Firenze la sua sopravvivenza e il suo sviluppo proiettato nel futuro ma basato sulle salde radici del suo passato. Mio nonno diceva spesso: … a certa gente gli manca l’ignoranza ! … Questo per dire che la sapienza deve sempre essere accompagnata da una certa dose di umiltà e di comprensione verso il prossimo a volte meno dotato. Bisogna inoltre evitare che i giovani allievi usciti dalle Scuole di Montagna siano abbandonati a se stessi e privi della copertura, dell’appoggio, della sicurezza e dell’informatica di un così grande Sodalizio Nazionale. Così se oseremo con prudenza, partecipazione, solidarietà e in armonia tra di noi potremo avere ancora tante cose belle da raccontare ai nostri nipotini.

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