“Uomini delle nevi 1” di S. Rinaldi & C. Labardi

Gennaio 2007

Sci alpinismo di ricerca nei Monti Sibillini. Dalla bozza  di un libro scritto a sei mani e mai pubblicato ….

“ non c’è futuro senza le storie del nostro passato …” ha scritto autorevolmente Sergio Zavoli. Queste brevi righe sono dedicate alla generazione passata o scomparsa, e  a quella presente e ci auguriamo forse futura che hanno seguito e seguiranno integrando le fuggevoli tracce lasciate dagli sci  di noi predecessori sulle nevi della dorsale appenninica Centrale.

Pizzo del Diavolo e del Redentore

Per noi non è stato sempre semplice lasciare a valle i nostri problemi e gli  affanni della nevrosi cittadina, vincere la pigrizia di una levata mattutina, ritrovare vecchie e nuove amicizie, ma questa è la molla che ci ha fatto scattare verso una meta lontana avvolta nella sua vesta invernale, scegliendo itinerari poco battuti e a noi sconosciuti, spinti verso qualche nuova avventura celata nella solitudine e nella bellezza della natura, mettendo a nudo sia il carattere che la resistenza. Il passaggio di testimone ereditato da Andrea Bafile e da Arturo Ponticelli è servito come stimolo per ereditarne l’esperienza e per generare un impulso “costruttivo” nel mondo  scialpinistico toscano e soprattutto fiorentino.

L’uomo non dovrebbe sentirsi troppo al centro dell’ambiente che lo circonda ma lui ne è inconsapevolmente il protagonista poiché essendo le montagne irremovibili spetta solo a lui Maometto risolvere l’incognita di avvicinarle, circuirle, scalarle e amarle e poi discenderle con umiltà e determinazione, sfidando a volte le condizioni atmosferiche ed ambientali avverse. Salire lassù verso quelle bianche cime è una libera scelta personale, nel rispetto di valori umani ideali come espressione vitale nel rapporto uomo/montagna, in simbiosi con una lealtà reale e rispettosa, priva dell’ansia e dell’ambizione rivolta solo verso il proprio successo. Ogni tanto è di monito ripensare agli amici caduti in montagna, non come una sorte di passato remoto ma come esempio di dedizione estrema per stimolarci e guidarci sempre nelle nostre azioni. Le tracce lasciate dalla nostra generazione sono come il seguito di quelli che ci hanno preceduto, senza illuderci di avere aperto la porta al futuro dei prossimi scialpinisti, pensiamo solo di avere preparato il terreno su cui i giovani di domani ritroveranno nuovi incentivi e la voglia di vivere momenti irripetibili di gioia e di ricerca a contatto con la storia del nostro popolo e con la sua natura wild, continuando una tradizione che ci auguriamo non vada dispersa ma tramandata ai nostri posteri. Per brevità di spazio non possiamo qui dettagliare gli itinerari percorsi, rimandandone la descrizione alla bibliografia e cartografia richiamata in calce, e ne daremo solo un accenno per stimolare l’interesse a cui possono ispirarsi tutti gli sciatori alpinisti dotati di buona volontà e di una certa capacità tecnica, integrando a piacimento i percorsi secondo la propria sensibilità, attitudine e preparazione. Ripercorrere un viaggio con ricordi sfumati nel tempo, con vecchi o nuovi amici, alla ricerca di mete ed itinerari lontani dalle piste di neve battuta e alla moda, risalire con pelli di foca, piccozza e ramponi pendii scoscesi e ripidi canaloni, cascate ghiacciate, creste aeree e nevose, orlate da ardite cornici forgiate dal vento, tutto questo affascinante mondo ha generato in noi una benefica scossa di adrenalina che ha contribuito a formare l’entusiasmo del nostro carattere volitivo e deciso ma anche soprattutto riflessivo. Non si può vivere solo di ricordi, anche se buoni, ma bisogna sapere affrontare la vita e i suoi risvolti mettendosi in gioco in prima persona, avendo l’audacia di elaborare iniziative e progetti di azione a volte tratte dal mondo onirico dei nostri sogni. Ci auguriamo di essere riusciti, nel nostro piccolo, a trasmettere alle nuove generazioni un esempio di modello di correttezza oltre che di incitamento sportivo.

Monte Bicco

In una lontana giornata limpida di inverno, dalla sommità del nostro Pratomagno, oltre la Val Tiberina, il vento proveniente da SUD/EST trasportò fino a noi il profumo e la brezza di monti lontani innevati che i marchigiani hanno chiamato Sibillini. Quella visione fu per noi la rivelazione di un mondo nuovo e lontano ancora da scoprire e che certamente avrebbe suscitato il nostro interesse scialpinistico alla ricerca di nuove avventure. Scoprimmo poi che un legame visivo si snodava lungo la nostra penisola italiana, da Regione a Regione, da monte a monte, estendendosi verso SUD per quel crinale montuoso che costituisce l’ossatura portante dell’Appennino Centrale. Così dalle montagne del nostro Appennino Settentrionale Toscano il nostro colpo d’occhio e la nostra attenzione si estese dapprima verso quei monti Sibillini Umbro-Marchigiani a noi più vicini e da questi si passò ai monti Reatini nel Lazio, poi ai monti della Laga, del Gran Sasso, del Sirente, del Velino e della Maiella in territorio Abruzzese.

MONTI SIBILLINI

Queste montagne formano un gruppo montuoso, esteso per circa 30 chilometri, posto a cavallo tra il Mare Tirreno e il Mare Adriatico con una ventina di cime superiori ai duemila metri inserito nel cuore delle Regioni Umbria  e Marche. Questa struttura di cime è caratterizzata da due dorsali poste una ad Oriente e l’altra a Ponente della Piana Grande di Castelluccio di

Salita nella Valle del Lago Pilato

Norcia. Sul lato Orientale, data l’elevazione maggiore e la prolungata presenza di neve (specie nei canali), sono stati tracciati i più interessanti percorsi scialpinistici del gruppo. Quasi tutti i fiumi scorrono verso l’Adriatico, mentre solo il fiume Nera, a Occidente di Visso, riversa le proprie acque, come affluente del Tevere, nel Mare Tirreno. La dorsale Orientale è incisa da valli a pettine che immettono le acque in profonde strettoie rocciose e incassate, mentre le faglie Meridionali, con una struttura più distensiva, hanno formato ampi bacini di origine carsica su altipiani a gradini come quelli del Piano Grande, Piccolo e Perduto, nella zona di Castelluccio di Norcia a circa 1300 metri di altitudine.

Su questi altipiani, nella bella stagione, si estende una flora ed una vegetazione unica al mondo che mutano col variare dell’altezza e delle condizioni climatiche. In queste immense conche fioriscono distese di croco, primule, orchidee, graminacee, margherite, genziane, ranuncoli, narcisi, papaveri, garofanini, rinnovando ogni anno, nello stesso periodo, una tavolozza accesa  dai colori più vivaci della natura. Ma possiamo anche divertirci a riconoscere sulla neve le orme delle volpi, delle lepri, del gatto selvatico, del lupo, dell’istrice o della martora. Lassù in alto i corvi imperiali e i gracchi dominano le vette, mentre lontano l’aquila o il falco pellegrino si librano per l’aria osservando tutto dall’alto del cielo di queste montagne.

Salita in Val di Panico

Frantumazioni rocciose dovute agli alterni cicli di gelo e disgelo, con ac-cumuli detritici, hanno originato pen-dii e ghiaioni caratterizzando sul lato Occidentale cime e creste ampie dalle forme affilate in contrasto con i lati più precipiti del versante Orientale con le cornici nevose stagionali aggettanti lasciate dall’inverno. Favolose leg-gende sono ancora presenti nella memoria popolare e contadina di queste comunità agresti narrandoci della mitica Maga e Regina Sibilla che abitava in una grotta a 2.174 metri di altezza, dove le genti di ogni parte del mondo si recavano ad ascoltare l’oracolo, traendo consigli pratici sui vari lavori, sull’allevamento, sull’artigianato, sulle tecniche agricole e sui piccoli problemi della comunità. Un altra storia locale ci narra di quando il Proconsole Romano Ponzio Pilato fu trascinato, dopo la sua morte, da due bufali inferociti fino alle gelide acque di un laghetto, che prese poi il suo nome, alla base delle rocce del Pizzo del Diavolo e del Vettore. Luogo che ancora oggi non è privo di fascino, circondato da quella atmosfera mitologica e misteriosa.

Nel 1876 Damiano Marinelli (da Firenze) dette inizio con due guide locali alla prima salita invernale dei monti Vettore e Redentore. Ma il merito maggiore della divulgazione scialpinistica di questi monti fu opera di Beretta, Mainini e Renzi che con la loro guida scritta del 1970 sugli Alti Sibillini seppero interessare un mondo più vasto di appassionati delle pelli di foca. Così anche noi fummo affascinati da quel demanio bianco per scoprire poco a poco ed apprezzare quel mondo invernale fantastico, col suo alone leggendario che rendeva questo gruppo montuoso più incantato dall’aria inavvicinabile come quei ripidi appicchi del Monte Bove Nord che sovrastano la chiesina di Casali di Ussita. Nell’inverno del 1990 un minuscolo gruppo di amici presero a salire,  assieme a noi due, il groppone del Monte Bove Sud per prendere confidenza e visione dell’Appennino Centrale, scoprendo con lo sguardo nuovi ed invitanti picchi innevati di questi Monti Sibillini dai contorni dolci o precipiti che la fantasia umana ha battezzato con nomi appropriati. Così toccarono, nel periodo inverno-primavera, le principali cime del gruppo: il M. Sibilla, il M. Rotondo, il Pizzo Berro e Regina, il M. Bicco, il M. Bove Nord (per l’impegnativo canale Nord da Casali di Ussita), il M. Vallinfante, il M. Bellavista o Porche, il M. Argentella, le cime  dell’Osservatorio e del Redentore, il M. Vettore, la cima del Lago, etc., salendo e discendendo con gli sci diversi itinerari dove le condizioni erano più ideali e la loro fantasia ne era più stimolata.

Rileggendo gli appunti di: Uomini delle nevi

…. Quel mattino di primavera del ‘99 Sergio, Claudio e Leo procedevano senza parlare e con prudenza, con gli sci sul sacco, sulla cresta della Cima di Prato Pulito e sulla Cima del Lago poco innevata ma esposta e coperta da sassi detritici sdrucciolevoli. Le condizioni atmosferiche erano particolarmente avverse costringendo i tre amici a procedere con gli sci quasi orizzontali per limitarne la resistenza a quella natura scatenata battuta dal vento. Quella dimostrazione di forza e di equilibrismo mise a dura prova le loro energie che, intimamente per libera scelta, sentivano di dovere affrontare dominando le avversità del momento, aumentando quel senso di masochismo che forse era in loro. Magari inconsciamente aspettavano con ansia un accenno di debolezza da parte di uno di loro per desistere dal continuare. Oltre il vento una fitta coltre di nebbia si mise a celiare tutto. Arrivarono finalmente, dopo quasi tre ore, alla selletta Sud prima della Cima del Redentore. Ormai la cima era a portata di … piedi. Lasciarono gli sci e salirono in vetta scalinando per l’aerea cresta. La tempesta non accennava a diminuire. Discesero alla selletta per attendere l’evolversi del tempo. Brevissime schiarite fecero un’apparizione fugace sul ripido pendio sottostante a S.E. che volevano discendere, gettandovi una luce sinistra poco invitante. Si intravedevano sfuggevoli scivoli nevosi, salti rocciosi sporgenti, avvolti da lembi di nuvole che ne stravolgevano le difficoltà alpinistiche.

Discesa della Valle di Orteccia, sullo sfondo il Pizzo Berro

I due amici Claudio e Leo guardavano Sergio imbarazzati pensando ad un ritorno mogio a valle con gli sci sullo zaino per la cresta Sud già percorsa all’andata. Invece Sergio era agitato solo al pensiero di rinunciare a quella discesa dei Ghiaioni sul Lago di Pilato, suo sogno da quando aveva conosciuto i Monti Sibillini. Lui emanava una tale energia che sembrava far vibrare l’aria, quasi come una carica elettrica, e pensava con ansia all’eventuale insuccesso della discesa, specie per gli amici meno dotati di lui e di cui era un po’ preoccupato. Era nervoso e andava avanti e indietro, come una tigre in gabbia, indispettito per l’incertezza del tempo. Poi tolse dallo zaino in cordino di 12 metri, piantò a fondo le code dei suoi sci nella neve e chiese a Leo di assicurarlo per calarsi a vedere oltre la cornice aggettante sul pendio dello scivolo sottostante. Si calò assicurato usando piccozza e ramponi e facendo qualche tacca sulla neve indurita dal vento. Finita la lunghezza della breve corda, prese a scavare con la piccozza un terrazzino a mò di cengia, lungo  più degli sci, poi sbirciò verso il basso e risalì abbastanza soddisfatto.

In qualche modo riuscì a tranquillizzare e a convincere i due amici a calarsi là sotto col suo aiuto e del cordino e a calzare gli sci sulla cengia nevosa. Poi Sergio scese con cautela fino al gradino sottostante che aveva precedentemente preparato, quindi anche lui si mise gli sci. Il pendio era sui 45-50 gradi di inclinazione ma non era possibile valutarlo meglio data la scarsa visibilità in mancanza di contrasti. Sergio partì deciso affidando alle lamine la tenuta laterale con una diagonale verso SX. Poi un saltello e oplà era a destra e un altro ancora a sinistra a saggiare le condizioni. La neve reggeva bene. Allora gridò agli amici di iniziare la discesa perché la neve era OK. I due presero a scendere guardinghi e con stem-cristiania si portarono verso di lui. Ripresero la discesa calandosi sul vasto pendio del canalone che si fece meno ripido e con una visuale leggermente migliorata. Scivolarono diagonando verso DX. per non trovarsi sopra la bastionata rocciosa dello sperone che precipita dal Pizzo del Diavolo.

Dopo la traversata si trovarono sull’ampio zoccolo della conoide basale, dove fu più semplice inanellare le curve. La fiducia ormai era entrata in loro, avendo lasciato l’ansia lassù in alto sulla cornice del monte. Ormai era fatta, la discesa dei famosi “ghiaioni” non riservava più misteri per loro. Lasciarono scorrere gli sci veloci fino a quando questi si tuffarono nelle gelide acque basse del Lago di Pilato e lì si rigirarono per vedere da dove erano fuggiti. Una fitta coltre grigiastra impedì di scorgere le tracce alte delle loro acrobazie, ma in cuor loro erano felici perché sapevano di avere dominato la montagna con decisione e un po’ di audacia.

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