Il Passo della Futa è un importante valico stradale dell’Appennino Tosco-Emiliano, tra le valli della Sieve e del Santerno.E’ situato a 903 m slm ed è percorso dalla strada Statale n.65 Bologna-Firenze. Dista circa 50 km da Bologna e 45 da Firenze. E’ situata nel Comune di Firenzuola. Al Passo si trova un punto di ristoro con albergo, bar e ristorante.
Origini storiche
Fin dall’antichità, e soprattutto in epoca romana, esistevano collegamenti tra Firenze ed i vicini centri verso l’Emilia, dei quali si ricorda l’importante via “Flaminia minore” o “Flaminia Militare”. La controversa attribuzione e localizzazione di questi tracciati ha aperto un ampio dibattito tra gli studiosi.
E’ solo in epoca medievale, infatti, che e’ testimoniato il percorso corrispondente alla direttrice della Futa. A partire da questo periodo essa ha trovato ragione di essere in una serie di motivazioni quali i transiti commerciali, il circuito del Grand Tour, le percorrenze della fede, su cui si e’ fondato non solo il rapporto tra i due straordinari centri di Bologna e Firenze ma anche tra questi, Roma e l’Europa. Finita l’epoca delle invasioni barbariche e del predominio Longobardo nel Nord Italia, si crea una situazione favorevole all’incremento del traffico fra Bologna e Firenze dovuta principalmente all’estensione della potente famiglia degli Ubaldini che estese il suo potere nei territori tra le due città, stimolando un accordo con il comune toscano affinché fosse tutelato ufficialmente il transito commerciale sulla via della Futa.
Dalla seconda metà del XIII sec. si fa menzione direttamente “strada per la quale si va a Firenze… e che porta a Bologna” in vari itinerari dell’epoca, negli “Annales Stadenses”, in Statuti, Deliberazioni consiliari e Convenzioni fra i due Comuni. Ancora, però, non si transita dall’attuale Passo. Lungo la strada della Futa, in occasione del giubileo del 1300 indetto da Bonifacio VIII, vi fu un cospicuo passaggio di pellegrini provenienti dall’Europa settentrionale diretti a Roma. La strada per questa occasione viene definita “romea”.
La rinascita delle città e la crescita del potere comunale, aprì una fase di conquista dell’Appennino da parte dei centri della pianura bolognese e del bacino toscano, che si concluse, nel XIV sec., con l’affermarsi della dominazione di Bologna (Papato) e di Firenze (Medici). Nel Quattrocento il confino tra Bologna e Firenze viene fissato definitivamente sul rio Rosignolo o rio dei Confini. La strada viene usata per il collegamento ordinario fra le due città.
Iniziano a moltiplicarsi i diari di viaggio e le lettere che descrivono le difficoltà, le scomodità e l’asprezza del tratto montano. L’esistenza di vari ed efficienti servizi lungo il percorso rendeva solo in parte più agevole il transito. Vi erano punti di ristoro, “hospitalia”, e stazioni di posta per il cambio dei cavalli. Il regolare e intenso uso della strada evidenziò sempre più i problemi della sua manutenzione. Già dal XVI sec. questa veniva affidata dall’ “Assunteria di Governo” alle varie Comunita’ interessate, incaricate di svolgere sopralluoghi e stendere relazioni, mentre nel secolo successivo le Comunità finanziavano i lavori che venivano affidati ad un impresario tramite appalto.
Cambiamenti di particolare rilievo non si registrano fino al XVII sec. quando si cominciano ad attuare interventi migliorativi coordinati dall’ “Assunteria della strada Toscana” (1626) che trasforma una semplice mulattiera in una strada carrozzabile.
Le condizioni generali della viabilità montana rimangono pessime nel periodo invernale. Raramente i valichi erano transitabili proprio a causa dell’altitudine a cui la strada si spinge per aggirare gli ostacoli naturali, e anche le strade di fondovalle con le piene primaverili erano difficilmente percorribili. A quest’epoca la via (larga 4-5 piedi; 1 piede = 38 cm.) risulta selciata ma molto faticosa da percorrere, nei tratti pianeggianti era inghiaiata con ghiaia minuta e nei tratti di forte pendenza e di attraversamento di abitati, massicciata e inghiaiata. A fine secolo, con vari lavori di sistemazione, viene ad avere una larghezza media di 14-18 piedi. Fra il 1715 e il 1717 viene nuovamente ristrutturata e allargata da renderla percorribile a due ruote. Nella metà del settecento (1760) la direttrice Futa viene trasformata in strada carrozzabile per iniziativa lorenese (per facilitare le comunicazioni tra Vienna e Firenze), e il suo tracciato venne spostato al valico attuale. Prima passava per il Passo dello Stale, circa 1 km a nord-ovest.
Dal 1764 la strada della Futa può essere considerata propriamente una strada transappenninica e di interesse nazionale, percorribile in un solo giorno. Il viaggio tra Bologna e Firenze richiedeva dalle 12 alle 15 ore, secondo la condizione della strada. All’inizio del periodo napoleonico la direttrice viene inserita nella strada imperiale n. 6 che da Parigi andava a Roma e a Napoli (1811) e quindi tenuta in efficienza a spese del Tesoro pubblico.
Finito il potere napoleonico e ristabilita la sovranità del Papa a Bologna, la strada viene inserita, nella parte emiliana, fra le Regie Postali : “Regie erano anzitutto le strade classificate postali, nelle quali lo Stato assicurava il cambio dei cavalli e il servizio dei viaggiatori in luoghi prestabiliti”. Lo Stato Pontificio assicurava la manutenzione e il miglioramento della strada. Questa esigenza di efficienza si scontrava però con una realtà fatta di mancanza di fondi, per cui di fatto la strada rimase per lungo tempo senza manutenzione.
Per quasi tutto il corso dell’Ottocento, la strada rimase quella della ristrutturazione settecentesca. Solo fra il 1888 e il 1922 furono apportate modifiche al tracciato per le nuove esigenze di percorribilità dettate dai moderni mezzi di trasporto. Vennero abbandonati i tratti di cresta a più forte pendenza e sostituiti da altri aperti lungo i contrafforti immediatamente sottostanti.
Nel 1944-’45, a causa delle operazioni belliche connesse allo sfondamen to della Linea Gotica, vennero colpiti irrimediabilmente i centri disposti lungo la strada della Futa, cancellando numerosi edifici storici e testimonianze della storia della strada e dei suoi abitanti.
Con la realizazione di grandi vie di comunicazione interregionali, dalla costruzione (1856-1864) della ferrovia transappenninica, potenziata nel 1934 dalla ferrovia “Direttissima” Bologna-Firenze, all’apertura (1960) del tronco transappenninico dell’autostrada del Sole, verranno radicalmente superate le difficoltà di collegamento tra Bologna e Firenze. Se questa rivoluzione pose inevitabilmente la strada della Futa in una posizione secondaria, facendole perdere il ruolo da protagonista che aveva avuto per tanti secoli, le assegnò comunque un valore dal punto di vista storico e paesaggistico.
Avvenimenti storici
In prossimità del valico si trova il grande cimitero di guerra tedesco, realizzato in pietra arenaria, dal quale si spazia su ampio tratto della dorsale appenninica. Esso accoglie le spoglie di circa 30.000 soldati che qui combatterono durante l’ultima guerra mondiale. Qui ed in un ampio tratto dell’Appennino tosco-emiliano, nel settembre1944 i tedeschi in ritirata costruirono un articolato sistema difensivo che venne denominato “Linea Gotica”. Adempì egregiamente al compito attribuitogli: ritardare per il maggior tempo possibile l’avanzata alleata. Roberto Masoni ne parla più diffusamente in altra pagina di questo Annuario. Ancora oggi lungo quella che fu la Linea Gotica è facile vedere i segni delle fortificazioni e fare ritrovamenti di residuati bellici.
Paesaggio
Dal Passo della Futa passa lo spartiacque che divide nettamente il territorio appenninico in due aree: quella emiliana, degradante lentamente nella pianura, e quella toscana, assai più ripida, con notevoli dislivelli. In basso la grande vallata del Mugello si snoda quasi parallela al crinale, dando origine a vasti e suggestivi paesaggi che difficilmente si vedono sul versante emiliano-romagnolo. Il luogo è reso ancora più suggestivo dalle ampie vedute su un ampio tratto dell’Appennino a nord e a sud, nonché sulle Alpi Apuane. Verso est il paesaggio è dominato dalla cima vulcanica del Sasso di Castro (m 1276) che, unitamente al Monte Beni, offre un buon esempio dei processi di erosione selettiva che si esercitano su questi grandi ammassi di rocce vulcaniche inglobate nelle argille appenniniche. Nelle vicinanze sono visibili tratti di un antico selciato facenti parte della antica “Flaminia Minore” o “Flaminia Militare” di cui diamo qui di seguito alcune notizie.
Narra Tito Livio nel libro XXXIX della sua monumentale opera La storia di Roma che, nel 187 a.C, le legioni romane, guidate dal console Caio Flaminio, sconfissero e sottomisero le popolazioni liguri autoctone dell’Appennino tosco-emiliano e, portata la pace in questi territori, costruirono una strada da Bologna ad Arezzo. Questa strada, realizzata evidentemente per scopi militari, cadde in disuso già in epoca imperiale. Scomparve per l’incuria e lo sciacallaggio degli uomini, per le distruzioni provocate dagli eventi naturali e, ove si era conservata, per la millenaria sedimentazione che l’ha coperta. Fino agli ultimi decenni del XX secolo non se ne era trovata traccia. Gli studiosi si erano limitati a fare soltanto congetture ed ipotesi sul suo tracciato.
Dal 1977 due cittadini bolognesi, Cesare Agostini, avvocato e Franco Santi, artigiano- scultore, le cui famiglie sono originarie di Castel dell’Alpe, paese sito nell’alta valle del torrente Savena, sulla base della concisa ed unica notizia di Tito Livio, hanno impegnato tutto il loro tempo libero alla ricerca di questa opera stradale romana. Essi si erano convinti che, se il racconto di Livio era veritiero, qualche tratto della strada, seppur sepolto, doveva essersi conservato, in specie nei luoghi rimasti da sempre disabitati e selvaggi dei valichi appenninici tosco-emiliani ove l’uomo non aveva avuto facilità a predarne le pietre e dove le frane e le acque l’avessero risparmiato. Pur consapevoli delle grandi difficoltà che avrebbero dovuto affrontare, Agostini e Santi, appunto nel 1977, hanno iniziato le ricerche percorrendo in lungo e in largo tutti i crinali che dal territorio bolognese si protendono verso i valichi appenninici tosco-emiliani, nella fascia compresa fra le valli del Reno e quella del Sillaro. Al termine delle loro prospezioni di superficie hanno capito che il percorso più conveniente, per brevità, modesti dislivelli e stabilità del terreno, era quello che sfruttava il crinale fra il torrente Savena e i torrenti Setta-Sambro, che da Bologna raggiunge direttamente il passo della Futa e, di là, il Mugello. Avvalendosi della loro conoscenza del territorio, i due bolognesi si sono buttati con l’entusiasmo dei pionieri nella fitta boscaglia, tagliando cespugli, rovi, felci e quant’altro poteva ostacolare la loro ricerca, facendo piccoli scavi qua e là lungo la linea di crinale, ove con maggiore probabilità poteva essere stata costruita la strada. Speravano di intercettare sotto terra alcune pietre contigue che testimoniassero l’opera dell’uomo. Soltanto nel 1979 la loro costanza è stata premiata con il rinvenimento, vicino alla vetta del monte Bastione, 60 cm sotto terra, di un primo tratto di pavimentazione largo m 2,40, corrispondente esattamente ad 8 piedi romani, costruito con grosse pietre ben allineate. Dopo questa prima scoperta, per ben dieci anni e con grande entusiasmo hanno proseguito sempre da soli le ricerche e gli scavi manuali, portando alla luce tratti di strada lastricata per una continuità di 7 km, fino al passo della Futa, ed altri imponenti reperti quali i Castellieri liguri di monte Bastione, di monte Poggiaccio e di Poggio Castelluccio, le fornaci di Piana degli Ossi, etc. Poi, negli anni successivi, anche con l’aiuto del volontariato di amici, hanno proseguito le prospezioni e gli scavi verso sud, oltre il passo della Futa, portando alla luce altri tratti di strada lastricata perfettamente conservata. Nel maggio 2000 C. Agostini e F. Santi hanno pubblicato un volume su tutte le loro scoperte ed i loro studi e che porta il titolo: “La strada Bologna-Fiesole del II secolo a.C. (Flaminia Militare” – Casa Editrice CLUEB – Bologna. Il tracciato di questa strada conferma l’importanza, fin dai tempi antichissimi, dell’asse Bologna-Firenze, sul quale si snodano anche oggi i collegamenti autostradali e ferroviari. Il libro è particolarmente interessante per gli amanti della natura, della storia antica e dell’archeologia. Essi potranno cogliere l’occasione di effettuare bellissime gite sul tracciato romano documentandosi con le descrizioni e le illustrazioni contenute nel volume. Potranno così vedere magnifici tratti di strada lastricata ancora perfettamente conservati portati alla luce nella parte più alta del valico appenninico, da Pian di Balestra al passo della Futa, ed oltre fino a Santa Lucia, sul versante toscano.
Consigli per visitare la strada romana. Tenendo conto che i tratti visibili si trovano alla quota variante da 900 a 1200 m s.l.m., in zone disabitate e boscose, si consiglia di effettuare i sopralluoghi da maggio a settembre. Ci si può avvicinare ai tratti scoperti da tre luoghi diversi, accessibili con una autovettura: da Pian di Balestra, dal Passo della Futa o dall’Apparita.
Viaggiatori illustri
Riteniamo interessante, a questo punto, riportare un brano sui viaggiatori illustri che hanno varcato l’Appennino nei pressi della Futa, tratto da “Lame da offesa e da parata. Costumi e cerimoniale principesco” di Giuseppina Carla Romby , ed. Centro di Ricerca e Documentazione sull’ Artigianato dei Ferri taglienti. Corazze, pugnali, stiletti, spade, picche, sono state le componenti dell’ armamento di eserciti nazionali, di corpi di guardia cittadini e principeschi, ma accanto alla preminente funzione difensiva e offensiva hanno assunto, nel corso del Cinquecento e Seicento, valenze legate alla ostentazione del potere e alla magnificenza reale e principesca.
I re dei grandi stati nazionali europei come i principi dei più piccoli stati regionali, ed anche tutti coloro che possedevano un qualche titolo nobiliare, avevano una scorta armata che poteva trasformarsi in corteggio d’ onore in tutte le occasioni previste dal cerimoniale e dall’ etichetta di Corte. Insieme alle insegne nobiliari, alle livree, alle carrozze ed ai cavalli, corazze finemente cesellate, pugnali e stiletti dai manici lavorati e preziosi, spade dalle lame damascate e intarsiate, facevano parte degli innumerevoli “segni” che dovevano distinguere il rango e la potenza del signore. Quando un Grande si muoveva per raggiungere la corte di un principe o di un re, per partecipare a cerimonie pubbliche, per raggiungere un campo di battaglia, il corteo armato era imprescindibilmente presente e non serviva solo per difendersi dai pericoli che, inevitabilmente, potevano incontrarsi lungo la strada. Così per le vie cittadine come le grandi strade che collegavano città, paesi e stati, diventavano il palcoscenico privilegiato per i principi e le loro corti che sfoggiavano armi e armature confezionate secondo fogge e abbellimenti adatti alla “parata d’ onore”.
Nella prima metà del Cinquecento la transappenninica del Giogo è stata attraversata da milizie, uomini d’ arme e cortei di viaggiatori illustri; tra il marzo e l’ aprile 1526 transitarono le armate lanzichenecche del Marchese di Saluzzo, che stabilirono il campo a Borgo San Lorenzo (22 aprile) prima di raggiungere le armi imperiali che si stavano dirigendo ad assediare Roma (1527).
E’ ancora la strada del valico del Giogo con i suoi diverticoli, ad essere attraversata dalle truppe che dovevano porre l’ assedio a Firenze (1529); la più grossa schiera fu quella del capitano Ramazzotto che occupò e saccheggiò Firenzuola e, valicato l’ Appennino, si fermò a Scarperia dove venne raggiunta dalle truppe regolari inviate dal Papa. Durante il principato mediceo sono stati numerosi i cortei armati che hanno accompagnato illustri viaggiatori lungo la strada del Giogo. Un viaggiatore molto importante fu il Legato pontificio Pietro Aldobrandini che, nel 1600, si recava in Francia per celebrare le nozze di Maria de’ Medici col re di Francia; dopo essere stato accompagnato dal Granduca in persona (Ferdinando I) fino alle “delizie” di Pratolino, venne trasportato su una veloce carrettella fino a Scarperia, per valicare l’ Appennino a dorso di mulo ed a cavallo fino a raggiungere Firenzuola. Superato il confine il cardinale proseguiva, con una scorta di 100 archibugieri, verso Bologna.
Nel 1739 percorreva la Bologna-Firenze il duca di Lorena Francesco Stefano che veniva a prendere possesso della Toscana, acquisita dopo l’ estinzione della dinastia Medici. Il corteo, preceduto da carrozze cariche di bagagli, viveri, masserizie e persone, riuscì ad attraversare l’ Appennino in tre giorni, con l’ aiuto di traini supplementari di buoi forniti da tutti i contadini e pastori della zona. Dopo aver toccato Scarperia e S. Piero a Sieve il granduca e la sua famiglia sostarono alle porte di Firenze, a Villa Corsi, e di qui si formò il corteo per l’ ingresso solenne in città, dalla Porta San Gallo. Forse la durata e il disagio del viaggio offrirono l’ occasione per la realizzazione della più agevole carrozzabile della Futa.
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