L’Autore, Graham Bowley, racconta, con naturale scioltezza, gli eventi che portarono alla terribile sciagura, l’ennesima sciagura purtroppo, che nell’estate del 2008 si verificò sotto la cima del K2. E’ una cronaca puntuale degli eventi, talvolta cruda, sconvolgente, eppure reale.
Bowley non tralascia talune scomode verità di alcuni sopravissuti, nemmeno viene meno al compito del cronista, sia quello di esaltare il formidabile altruismo di alcuni alpinisti coinvolti nella sciagura come pure quello di documentare il freddo cinismo che talvolta traspare in alcuni altri evitando tuttavia di muovere giudizi. E’ questo, d’altronde, il mondo dell’alta quota, quel mondo al quale, da tempo ormai, attribuiamo il termine di “zona della morte”.
Tutto nasce, come in altre simili occasioni, dall’affollamento che talvolta si presenta su certe cime di una certa importanza, in gran parte dell’Himalaya e del Karakorum. Affollamento di solito causato dall’alto numero di spedizioni presenti, molte di esse a scopo commerciale. Solo nel 2008, nei mesi di cui parliamo, al campo base del K2 erano presenti spedizioni coreane, americane, olandesi, italiane, norvegesi, francesi.
Dire che tutto ciò comporti tutta una serie di problemi è un eufemismo. Così come è superfluo ricordare che la maggior parte dei problemi si verifica, di solito, nei tratti critici, quelli ad esempio in prossimità della cima dove solo passaggi obbligati permettono di raggiungerla. Tutto ciò crea una pericolosità evidente, fuori da qualunque logica.
Tanto per rendere l’idea, osservate la foto che vedete sotto, una foto presa dal sito en.paperblog.com, che mostra la situazione creatasi, nella primavera 2012, lungo la via del Colle Sud all’Everest. Lo stesso Simone Moro ha dichiarato a www.montagna.tv: “Domani sarà un disastro. Oggi c’erano 210 persone sulle corde fisse che salivano. Impossibile superare, lentissimi …”.
Graham Bowley racconta come, sull’ormai famoso Bottleneck (Collo di bottiglia) e quindi sul successivo traverso del K2, si sia giunti al momento di collasso. Racconta la storia degli alpinisti coinvolti, gli umori, i tentativi di salvataggio e la crudezza delle morti senza tralasciare verità successivamente rimesse in discussione come quelle di Marco Confortola. Verità contestate dai familiari di Gerard McDonnell, l’irlandese morto sulla via del ritorno nel tentativo di soccorrere tre coreani. Avevo già letto il libro di Confortola, Giorni di ghiaccio, nel quale l’alpinista offre una versione dei fatti che cozza con le foto scattate dal Campo 4. Ho sempre creduto agli alpinisti, per principio, perché ho sempre rifiutato la menzogna. Perché mai un alpinista dovrebbe mentire? Certo è che, in questo caso, i dubbi ci sono e Bowley li esprime senza malizia, senza cattiveria.
No way down è, insomma, un bel libro.
Roberto Masoni