Dall’SA1 al Monte Bianco di Jacopo Baldi

P1020240 (2)downloadAnnuario 2014 – La chiamata: si parte… destinazione Monte Bianco. Le previsioni sembrano dare bel tempo fino a lunedì, quindi fiduciosi si preparano gli zaini, si spolverano gli sci e si carica la macchina.

Approfittando del lungo viaggio, si cerca di mettere ordine nel programma della gita, ma purtroppo rimangono troppi “se” e troppi “forse”. L’idea di massima è arrivare a Chamonix, trascorrerci la notte e la mattina dopo prendere la prima funivia dell’Aiguille du Midi. Quindi fare il Mont Blanc du Tacul o il canale Gervasutti alla Tour Ronde e andare a pernottare al rifugio des Cosmiques.La mattina dopo riprendere la funivia fino al Plan de l’Aiguille, salire con gli sci fino alla Jonction e arrivare al rifugio dei Grands Mulets, oppure scendere il ripido canale des Cosmiques che ci consentirebbe di arrivare direttamente alla Jonction senza dover riprendere la funivia. L’ultimo giorno invece toccherebbe a lui, il re delle Alpi… tentare la vetta del Bianco, se le condizioni meteorologiche ce lo consentiranno.

Jacopo Baldi
Jacopo Baldi

Stanchi per il viaggio si arriva finalmente a Chamonix, dove non aspettiamo altro che andare sotto le coperte per fare una bella dormita, ma sarebbe ovviamente troppo facile. Svolte infatti le normali procedure con il gestore dell’albergo, che sembra più un pub, prendiamo le chiavi della camera, ma aperta la porta troviamo tutti i letti occupati; al che Nicco esclama: “Oh, questi ‘un gli sono entrati dalla finestra!”. Con tanta pazienza torniamo allora dal gestore il quale ci dà un’altra chiave ma ahimè anche questa stanza sarà piena. Iniziamo allora a pensare che anche il gestore oltre a servire birra ai clienti, se ne beveva tanta pure lui! Poi, al terzo tentativo ci si fa: tutti a letto! Dopo una discreta dormita e un’ottima colazione siamo davanti alla stazione dell’Aiguille du Midi; ci siamo caricati gli zaini in spalla pronti per andare a prendere la funivia, ma c’era ancora un quesito che attendeva una risposta: una picca o due picche? Dopo una breve discussione optiamo per portarne due… dovessimo fare il canale Gervasutti ci servirebbero entrambe! Troppo ottimisti non riusciamo ovviamente a prendere la prima funivia, ci vorrà infatti la seconda per arrivare in cima. Durante la salita Leon ci fa notare che dei pazzi (perché bisogna essere pazzi per farlo) qualche giorno prima avevano sceso la Nord dell’Aiguille du Midi.

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Dalla terrazza della stazione si apre un mondo incredibile: una distesa infinita di neve che risplende al chiaror del sole; picchi impressionanti si ergono dal pianoro sottostante, minacciosi e imponenti governano lo spazio circostante… guardo il Dente del Gigante e laggiù le Grand Jorasses, la punta Helbronner in lontananza e nascosto invece dietro a una bastionata rocciosa fa capolino il Mont Dolan. Piano piano riconosco tutti i monti, i “Grandi” delle Alpi che per tanto tempo avevo sentito nominare, ma che mai avevo visto con i miei occhi. Quasi accecati da tanta bellezza, decidiamo di scendere sci ai piedi dall’Aiguille du Midi: è Leon il primo a buttarsi. La neve sembra molto bella e superata qualche prima difficoltà, ci immettiamo in un ripido paginone. Durante la discesa risuonano le grida di gioia di Nicco: “Yu-huuu!”… ma non si fa in tempo a prenderci la mano che siamo al pianoro. La quota si fa già sentire: il cuore è accelerato e le pulsazioni premono sulle tempie, ma il panorama intorno a noi è ancora magico. Al pianoro optiamo per andare sul Tacul, rinunciando così alla Tour Ronde. Alleggeriti dunque gli zaini e lasciata la seconda piccozza in una buca lungo la traccia di salita, si parte!

È Leon in testa a guidare il gruppo e in poco tempo, dopo qualche inversione e qualche sosta per riprendere fiato, ci ritroviamo davanti al primo ostacolo: la prima crepaccia terminale. Provvisti di una corda da 40 mt., che scopriremo il giorno dopo essere invece da 30 mt., ci leghiamo tutti insieme e messi gli sci sullo zaino si attraversa uno per volta il minaccioso crepaccio. Leon e Matteo decidono di rimanere legati, mentre io e Nicco, provvisti della seconda corda da 30 metri nello zaino, procediamo slegati. Rimessi gli sci raggiungiamo in breve la seconda crepaccia terminale che però riusciamo a passare senza doverci legare; velocemente ci portiamo così fuori dal tiro dei giganteschi seracchi che per tutta la salita incombevano sulle nostre teste, distratto guardo l’altimetro e con stupore leggo: “4.030 mt.”… il mio primo 4.000 mt., mai stato tanto in alto!

Manca poco ormai alla vetta: ancora 200 mt. e ci siamo, ma la testa fa male e le vene iniziano a pulsare violentemente, senti il cuore battere forte nel petto e un senso di stanchezza generale ti pervade… la quota si inizia a sentire.

Arrivati alla cresta, vediamo dall’altra parte il ripido ma famoso canale Gervasutti. Rimessi gli sci sullo zaino e ricompattato il gruppetto ci dirigiamo verso il pianoro soprastante. Devastati dalla quota, tranne Nicco che sembra essere a Monte Morello a fare una passeggiata, ci portiamo sotto le roccette finali sopra le quali si innalza la vetta: sono passate appena 2h35 dalla partenza dal pianoro sottostante. Dopo una breve chiacchierata decidiamo di fermarci li, a 30 mt. dalla vetta… ma va bene così, dobbiamo conservare le energie per i giorni successivi, ma soprattutto dobbiamo non farci male! Bevuto qualcosa e presa una bustina di Oki per tenere a bada il mal di testa, è ora di scendere. Calziamo gli sci e uno a uno scendiamo con prudenza la cresta fino alla sella sottostante. Adesso si apre davanti a noi un ideale pendio a 35 gradi coperto da 40cm di neve fresca. Fatto qualche video e disegnata qualche splendida serpentina in una neve quasi perfetta, raggiungiamo il pianoro sottostante. Recuperiamo quindi le cose lasciate e, ripellato, ci dirigiamo verso il rifugio dei Cosmiques.

Leon e Matteo sulla cresta finale del Tacul
Leon e Matteo sulla cresta finale
del Tacul

Durante la breve salita facciamo una sosta sul ciglio della cresta per vedere le condizioni del canale che probabilmente scenderemo il giorno dopo. Leon esulta: “domani alle 10 il canale sarà perfetto per sciare!”, le ultime parole famose… Breve dormita al rifugio e poi una cena abbastanza deludente che si è salvata dalla collera di Matteo grazie solo all’incredibile dolcino finale che ha risollevato il morale del gruppo. Vista l’ora decidiamo di fare qualche partita a briscola per ingannare l’attesa: non si può andare a letto senza aspettare che tramonti il sole! Spiegate allora le regole di gioco a Matteo, inizia una dura lotta che vede impegnata la coppia Raffaelli-Cattaneo da una parte e Baldi-Femfert dall’altra … per farla breve, non riusciamo a vincere nemmeno una partita! Sconsolati usciamo sulla terrazza del rifugio e ammiriamo stupefatti il panorama: incredibili colori dipingono il cielo davanti a noi. Un mare di nuvole copre la valle sottostante, abbracciando i pendii innevati del Monte Bianco. I raggi del sole fanno capolino all’orizzonte, illuminando di rosa il fianco irto del Tacul. Sbalordito scatto quante foto, poi il buio. È ora di andare a letto. La notte a 3600 mt. si è fatta sentire, mi sveglio infatti con una testa talmente pesante che decido di rimanere al rifugio insieme a Matteo. Leon e Nicco invece si dirigono un’altra volta sul Tacul, ma questa volta su un pendio opposto. Risaliti 200 mt. si godono una discesa bella ripida e in poco tempo sono di nuovo da noi al rifugio.

Calzati dunque gli sci, ci dirigiamo all’attacco del canale: la neve è ancora troppo dura per sciare, quindi decidiamo di calarci in doppia per un centinaio di metri, sci ai piedi… ed è ora che scopriamo la vera lunghezza della corda! Leon va per primo, a seguire Nicco che deve andare ad attrezzare la sosta successiva, dato che le nostre corde son troppo corte per arrivare alla sosta già attrezzata, poi Matteo e, a chiudere, io. Serviranno quattro doppie per riuscire a uscire dalla strettoia iniziale del canale. Eccoci, ora non ci sono più corde: solo noi, i nostri sci, i nostri bastoncini e un lungo, lunghissimo canale ghiacciato! Derapiamo per buona parte, cercando di perdere quota senza farsi male. Leon intanto scia tranquillo come fosse in pista: fa le curve saltate che pare un grillo!

nella prima parte del Canale des Cosmiques

Osservando Nicco che piano piano scende facendo qualche curva, prendo un bel respiro, mi concentro e mi cimento anch’io in una curva saltata… è venuta! Addirittura Nicco mi fa i complimenti per com’era venuta bene, ma mi sa che era solo fortuna! Presoci gusto, continuo sempre titubante, a fare qua e là qualche curva, poi si arriva finalmente a metà canale: la neve qui ha mollato, si può sciare decentemente! Arriviamo così in fondo al canale e dopo un divertente salto sopra la crepaccia terminale, siamo sulla famosa Jonction. Leon incalza per spronarci a fare presto e perdere meno tempo possibile: vuole uscire da lì velocemente. Messe le pelli agli sci, ci dirigiamo al rifugio. La Jonction è completamente tappata da quanta neve c’è, quindi passiamo tranquillamente, legandoci solo per attraversare gli ultimi 100 mt. che sono un po’ più rischiosi.

Usciti dai “pericoli” mancano ancora 500m al rifugio che fatti sotto un insopportabile caldo saranno veramente devastanti. Arrivati sotto la bastionata rocciosa su cui poggia il rifugio, lasciamo gli sci infilati nella neve e percorriamo velocemente la ferrata che ci porta in cima. Levati gli scarponi, l’imbraco e lo zaino ci precipitiamo dal gestore e gli chiediamo 3 bottiglie d’acqua che dopo 10 minuti saranno tutte finite! Dopo un brevissimo riposino, è ora di mangiare: finalmente una cena decente! Sono appena le 18:30 e siamo già sotto le coperte … mi sa che oggi il tramonto non si vede!

Nel silenzio della notte risuona la sveglia, sono le 1.00. Non ho fatto in tempo ad addormentarmi che è già ora di alzarsi. Dopo una ricca colazione, indossato l’imbraco e preso lo zaino, scendiamo la ferrata fino agli sci … maledizione, sono ghiacciati! Impossibile mettere le pelli in queste condizioni. Con un po’ di pazienza rimuoviamo il ghiaccio, pelliamo e partiamo. Leon è in testa e con un passo perfetto ci porta alle spalle dell’ultimo gruppetto. Lo superiamo. Intanto intorno a noi regna l’oscurità, solo le sfocate luci di Chamonix risplendono in lontananza. Proseguiamo a passo spedito fino al pezzo più ritto: dobbiamo mettere i ramponi. Fatto il cambio assetto, percorriamo la cresta, se così si può chiamare, del Dôme du Goûter. Intanto alle nostre spalle il sole sta iniziando a fare capolino da dietro il profilo dell’Aiguille du Midi, il cielo si tinge di arancione e la neve brilla sotto i raggi del sole: è l’alba. Scatto qualche foto per immortalare il momento.

nella seconda parte del Canale des Cosmiques

Superato qualche metro ghiacciato, possiamo rimettere gli sci. Supero con soddisfazione il punto dove l’anno prima mi ero fermato con Brenno, costretto a tornare indietro per uno sci rotto; poi anche il punto dove Nicco e gli altri si erano dovuti fermare per il brutto tempo. La salita continua tranquilla: siamo a 4000 mt. e in lontananza si intravede la Capanna Vallot da dove dovremmo proseguire a piedi. Ecco l’ultimo pendio che affronteremo con gli sci, adesso è Nicco a guidare il gruppo. La traccia è perfetta, con una pendenza costante arriviamo al pianoro accanto alla Vallot. Finalmente un po’ di riposo: la stanchezza inizia a farsi sentire! Siamo a 4.362 mt. Seduto sullo zaino per riprendere fiato, mi guardo intorno: lo spettacolo è avvincente. Incredulo mi fermo a pensare: “ma io sono qui, qui accanto alla Vallot, la famosa Vallot di cui tanto avevo sentito parlare… gabinetto d’alta quota per molti alpinisti e rifugio di salvezza per tanti altri”.

Guglie di granito scandiscono l’orizzonte tagliando qua e là qualche raggio di sole. La parete Nord del Bianco si erge davanti a noi: maestosa domina l’ambiente circostante, scandita da imponenti seracchi tra i quali fanno capolino le tracce di discesa di qualche sci alpinista. Il riposo è finito, quindi calzati i ramponi e fissati gli sci allo zaino ci incamminiamo verso gli ultimi 500m di dislivello che corrono lungo la bellissima cresta delle Bosses. La quota torna a farsi sentire: i muscoli iniziano a essere indolenziti e le vene premono forte sulle tempie… avrò 1500 pulsazioni al secondo! Il passo si fa sempre più lento, facciamo 10 mt. e ci fermiamo. La cresta adesso si restringe, i piedi ora ci stanno precisi sulla sommità nevosa. Attento a non scivolare, punto bene i bastoncini per rimanere in equilibrio. Supero il tratto più delicato e sono di nuovo fermo a riprendere fiato. Alzo gli occhi verso l’alto: la vetta è lì, lì davanti a me … ancora pochi metri e ci sono. Nicco mi precede, ha già superato l’ultima rampetta e adesso è sul pianoro soprastante. Faccio anch’io qualche passo e il pendio che mi copriva la vista sparisce: sono anch’io sul pianoro. Percorro gli ultimi 200 mt. di cresta e solo adesso, mentre cammino, realizzo dove sono, dove sono riuscito ad arrivare: sono sulla cima più alta d’Europa. Non mi sembra vero: sono riuscito a coronare un sogno.

L’emozione è tanta. Trattengo le lacrime. Nicco dalla vetta ci sta riprendendo. Esulto. Ore 10:18: 4.810 mt., la vetta del Monte Bianco è stata conquistata. Mi fermo un attimo a riflettere, sono ancora incredulo. Intanto arrivano anche Matteo e Leon, scatto loro qualche foto: dai volti si percepisce chiaramente la loro felicità. Siamo soli sulla cima, appoggiamo gli zaini in terra e scattiamo una foto di gruppo. Continuo a girarmi intorno ammirando il panorama: tutto è più basso di noi, in questo momento siamo le persone più in alto d’Europa. Incredibile. Un abbraccio con tutti per congratularsi e via, si rimettono gli sci e ci buttiamo giù per la parete Nord del Bianco. La neve è decente: qualche centimetro di fresca nasconde uno strato più duro. È difficile fare le curve, i muscoli sono ancora indolenziti per la salita. Continuiamo a perdere quota e in breve ci ritroviamo in una strettoia, all’ombra dei giganteschi seracchi che incombono su di noi: meglio andar via velocemente di qui. Matteo guarda l’altimetro: siamo ancora a 4.000 mt. Intanto un seracco è caduto proprio dove noi eravamo pochi minuti prima, sbalorditi lo fissiamo cadere verso valle. Percorso il Grand Plateau ci imbattiamo nei detriti di un vecchio seracco: come cadaveri stanno lì, fermi, aspettando che il sole li sciolga. A fatica riusciamo a passare: il percorso è obbligato. Cercando di non prendere troppa velocità facciamo lo slalom intorno ai grossi blocchi, seguendo uno stradellino che ricorda un po’ una pista da bob.

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Siamo fuori. In lontananza s’intravede il rifugio, dall’alto dello sperone roccioso domina la valle. Percorriamo anche l’ultimo pendio, questa volta con neve molle per l’irraggiamento solare e in breve siamo sotto al rifugio. Io e Nicco saliamo per riprendere le cose lasciate, io ne approfitto anche per levarmi la calzamaglia: mi sto sciogliendo! Buttata la roba nello zaino scendiamo nuovamente per raggiungere Matteo e Leon, ma non prima di aver comprato una bella boccia d’acqua. Ripreso fiato e sistemato a modino gli zaini sciamo sull’ultimo pendio prima della Jonction, dove decidiamo di ripellare e legarci per passare il tratto più delicato. Sfortunatamente le pelli di Nicco non ne vogliono sapere di rimanere incollate, quindi nel bel mezzo di un dossetto circondato da grossi crepacci gli si levano del tutto, facendogli fare uno scivolone all’indietro. Si ferma subito fortunatamente, evitando di infilare in uno di quei grossi e tetri buchi neri. Buttate le corde sugli zaini, percorriamo l’ultimo tratto finale della Jonction godendoci al massimo l’ottima neve e i dolci pendii del ghiacciaio. Dopo qualche sali e scendi arriviamo alla morena, l’ultimo ostacolo prima della seggiovia. Buttiamo rapidamente gli sci sulle spalle e la percorriamo di buon passo. S’intravede ora la stazione intermedia, felici la raggiungiamo: sono le 14:10. Un’altra stretta di mano per congratularci l’un con l’altro e poi via, giù a valle.

Durante il viaggio di ritorno, non sazi dell’incredibile avventura del fine settimana, pensiamo già alle prossime future gite. Grazie a tutti

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